«[...] para describir al personaje tomé y adorné y recompuse algunos rasgos físicos de la persona, y eso indujo a confusión sin duda a los superficiales»1.
"[...] in order to describe the fictional character I selected and embroidered upon and shifted around certain physical attributes of the real person, which must have been what led superficial readers into confusion"2.
Nell'unità 11 abbiamo visto che in una cultura può esistere o mancare una metacoscienza culturale: i cittadini che vivono in una cultura (sia essa l'osteria, la fabbrica, la scuola, il circolo, il sindacato) possono essere consapevoli di vivere in un angolo di mondo che si differenzia dal resto del mondo per varie caratteristiche che vengono date per acquisite, oppure possono pensare che tutto il mondo sia fatto allo stesso modo, sia soltanto un'estensione territoriale degli usi, costumi e dati impliciti presenti nel proprio microcosmo.
I due fattori che determinano in grande misura la propensione per uno di questi due poli del continuum isolamento versus consapevolezza comunicativa sono l'ignoranza o la conoscenza di culture diverse dalla propria e il bisogno e il desiderio più o meno forti di comunicare all'esterno. Volendo è possibile rintracciare nelle relazioni tra culture elementi che le accomunano alle relazioni tra individui: a un estremo possiamo collocare una tendenza autistica a interessarsi soltanto a ciò che è presente all'interno del gruppo, il solipsismo, l'ermetismo. In questi casi la cultura altrui viene negata o minimizzata. Man mano che il grado di socievolezza aumenta, progressivamente si moltiplicano strategie atte a tradurre la cultura propria in altrui e viceversa.
Tutti i membri di un gruppo che si adoperano per far conoscere la propria cultura all'esterno e per far conoscere le culture esterne all'interno svolgono funzioni traduttive, e incarnano la cultura del confine3. Tale funzione traduttiva non è solo linguistica, ma spesso è anche linguistica, perché ogni gruppo ha il suo lessico, il suo vocabolario, che rispecchia la peculiarità del non-detto nella cultura specifica di quel gruppo.
Intesa in questo senso molto più ampio di quello, angusto, tecnico, la traduzione è uno strumento di crescita e fecondazione reciproca tra culture. Il fatto di leggere la medesima realtà sotto punti di vista diversi arricchisce enormemente le capacità cognitive e suggerisce letture ancora diverse e soluzioni a problemi. Un esempio potrebbe essere costituito dalla lettura, in un giornale statunitense, della cronaca relativa all'Italia. Di certo tale realtà viene letta in modo molto diverso da quanto si faccia dall'interno, filtrata dalle categorie e dai sistemi di valori della cultura statunitense. Stesso tipo di straniamento avvertirebbe lo statunitense che leggesse la cronaca statunitense in un giornale italiano. E lo straniamento derivante dall'adozione di un punto di vista inedito è uno dei procedimenti letterari fondamentali individuati dai formalisti russi4.
Il fatto che tra le culture di due gruppi ci sia una tendenza centrifuga o centripeta, ossia di curiosità o di appropriazione, dipende anche dai rapporti di forza in essere tra i due gruppi. Il maggiore o minore interesse reciproco è dovuto sia alla concezione di sé che il gruppo ha sia alla considerazione per l'altrui. È noto che per i greci i popoli altrui erano bárbaroi, «balbuzienti», «barbari», mentre per gli slavi le popolazioni germaniche con cui confinavano a ovest erano nemcy, ossia «mute». I greci avevano un'alta - forse non immotivata - opinione di sé, perciò tendevano a considerare meno evolute e inferiori le culture che non avessero tradizioni politiche e sociali paragonabili. Gli slavi, dal canto loro, ritenevano che i popoli non slavi non parlassero una lingua diversa, ma, assolutizzando il proprio punto di vista, fossero decisamente incomprensibili o incapaci di parlare. In casi come questi, come avviene l'adattamento? Lascio giudicare al lettore se si tratta di un adattamento di trasparente curiosità verso la diversità o di assimilazione.
Ci sono viceversa casi in cui culture egemoniche esercitano su quelle satelliti influenze fortissime. Nel presente, la cultura italiana è per certi versi al traino di quella statunitense. Libri e film statunitensi circolano copiosamente da noi, assai più di quanto non succeda viceversa. Un'analisi analoga si ha osservando la quantità d parole inglesi entrate nell'uso in italiano e il reciproco.
Sono fenomeni che, come vediamo, hanno forti ripercussioni anche sul modo di adattare le culture una all'altra.
Il primissimo adattamento traduttivo dei fenomeni culturali è preventivo, e consiste nelle aspettative che la cultura si fa su un fenomeno esterno. Tali aspettative assurgono talvolta al rango di pregiudizi non dichiarati e non del tutto consapevoli. Un film russo di tre ore è, a priori, considerato noioso, mentre Gone with the Wind, nonostante la lunghezza, è considerato da taluni un film di culto. Passando dalla lunghezza della pellicola a quella delle sequenze, basta la durata di un'inquadratura a far spazientire lo spettatore che è stato educato - inconsapevolmente - al canone statunitense delle inquadrature rapide.
Si può parlare di «periferia» e «centro» del polisistema culturale facendo riferimento alla marginalità o alla centralità di una cultura rispetto a un'altra. Nell'esempio sugli U.S.A. si trattava della cultura di una nazione, ma si potrebbero fare discorsi analoghi sulla cultura del libro rispetto alla cultura del film o del teatro, e così via. Più una cultura è marginale, meno è stabile perché maggiormente esposta alle influenze altrui. Viceversa, più è centrale, più è stabile.
Esiste un diverso grado di innovatività di un sistema culturale all'interno della cultura nell'insieme. Il carattere innovativo può derivare da una di queste tre condizioni della cultura: 1. si tratta di un sistema non ancora cristallizzato, di una cultura giovane, aperta agli stimoli esterni derivanti dalle altre culture; 2. si tratta di una cultura periferica rispetto a quelle dominanti a livello mondiale, oppure debole, o entrambe le cose; 3. sta attraversando una fase di svolta, di crisi, di vuoto5.
Un esempio di collocazione periferica o centrale di un sistema all'interno della cultura è dato proprio dalla scienza della traduzione. Per molto tempo lo studio della traduzione è stato considerato un aspetto della più ampia scienza linguistica. La traduzione era vista unicamente come trasposizione di un testo da una lingua all'altra (la «traduzione interlinguistica» di Jakobson). Di conseguenza, la collocazione delle ricerche sulla traduzione era periferica rispetto al sistema centrale della linguistica.
Quando Jakobson ha spianato la strada allo studio della traduzione in una prospettiva non solo linguistica ma, più in generale, semiotica, includendo nel concetto di «traduzione» anche trasferimenti di testi non linguistici o non interlinguistici, la traduzione è diventata un concetto sempre periferico ma relativo alla periferia di vari sistemi, non solo quello linguistico. Così ha cominciato a conquistarsi una fisionomia autonoma. Negli ultimi vent'anni del Novecento si è verificato un aumento notevole della produzione di testi che avessero come argomento centrale proprio la traduzione. Non a caso, in questo periodo la disciplina ha cominciato a darsi dei nomi6.
Con il nuovo secolo, sono stati fatti da più parti tentativi di inserire il concetto di traduzione al centro del sistema culturale semiotico: sulla scia di Lotman, Gorlée e Torop hanno parlato di «traduzione» come concetto fondamentale per la definizione della stessa semiotica. Così la traduzione ha compiuto tutta la strada dalla periferia al centro della cultura della comunicazione.
Oltre ai numerosi motivi teorici per abbracciare con «traduzione» anche aspetti extralinguistici, ve ne sono di pratici7. Pukin nell'Evgénij Onégin, parlando delle rive della Nevà, dice «tam nekogda guljal i ja», che all'incirca, dal punto di vista strettamente linguistico, significa «là un tempo passeggiavo anch'io». Tuttavia, se si prende in considerazione il senso del verbo guljat´ nella cultura di Pukin e dei suoi contemporanei, ci si rende conto che la traduzione meramente linguistica è angusta. «Guljat´» può significare anche «spassarsela», «divertirsi», «oziare»: l'affermazione del narratore cambia quindi prospettiva a seconda che nella traduzione si privilegi un approccio linguistico o culturale.
Non sempre è facile essere consapevoli del contenuto implicito della propria cultura. Il non-detto culturale è una sorta di inconscio collettivo (ma non universale come quello postulato da Jung), che solo una relazione con culture diverse può servire a far venire a galla. Una signora russa della buona società si scandalizza perché un giovanotto aspetta l'ascensore accanto a lei con le mani nella tasca dei pantaloni. Fino a quando qualcuno non le dice che, in Italia, avere le mani in tasca per un maschio non è segno di maleducazione, alla signora non viene in mente di enunciare chiaro e tondo una regola non scritta: «in presenza di signore il maschio non deve mettere le mani in tasca».
A seconda dei rapporti di forza8 esistenti tra due culture, l'interesse reciproco varia. Per esempio, una cultura periferica è molto motivata a capire anche nei dettagli il funzionamento della cultura centrale di cui è satellite. In questo caso, il mediatore culturale ha un lettore modello interessato, e ha la possibilità di spiegare ciò che non appare immediatamente chiaro. Quando, viceversa, è un testo di cultura periferica a essere tradotto per una cultura centrale, il lettore modello rischia di essere molto meno disponibile a scoprire le diversità e le novità.
S'è visto nelle unità precedenti che esistono due atteggiamenti di fondo nelle relazioni tra culture: ci sono culture dominanti che esercitano una forte influenza sulle altre e tendono a essere meno interessate a ciò che avviene al loro esterno, o a leggere ciò che avviene in culture diverse con i parametri e le categorie della propria cultura. E ci sono culture satellitari che per vari motivi sono molto focalizzate su una o più culture dominanti e tendono a importare molto volentieri modelli culturali da queste culture, adottandoli come stranieri.
Nella relazione con un elemento estraneo alla propria cultura, i due atteggiamenti sono così riassumibili: quando l'elemento estraneo viene appropriato negandogli l'identità di elemento estraneo, ma facendolo proprio come se fosse nato nella cultura ricevente, la preoccupazione principale è quella dell'accettabilità dell'elemento per la cultura ricevente; quando invece l'elemento estraneo viene importato conservando la sua identità di elemento proveniente da una cultura esterna, la preoccupazione principale del mediatore culturale è quella dell'adeguatezza del testo importato rispetto alla sua identità nella cultura emittente9.
L'adattamento focalizzato sull'accettabilità del testo per la cultura ricevente rischia di cancellare l'identità, l'origine del testo, di non tenere conto del fatto che si tratta di un testo importato, tradotto, che nella sua cultura d'origine ha un'identità ben precisa. In questo modo, tutte le caratteristiche del testo che lo possono far apparire diverso vengono eliminate o smussate, e la cultura che lo riceve non si arricchisce di elementi nuovi, di categorie nuove, di modi nuovi di concepire il mondo.
L'adattamento focalizzato sull'adeguatezza del testo alla cultura emittente rischia di rendere difficile la sua fruizione da parte del modello di lettore, ma quando ha successo è un canale molto importante per importare elementi altrui nella propria cultura, arricchendola. Tutte le caratteristiche del testo e rimandi intertestuali del testo originale sono portate nella cultura ricevente come elementi altrui, e per questo avviene il confronto con elementi locali e, come si sa, dal confronto matura la coscienza sia delle identità sia delle differenze.
Riferimenti Bibliografici
EVEN-ZOHAR I. Polysystem Studies, in Poetics Today, 11, 1, Tel Aviv, The Porter Institute for Poetics and Semiotics, 1990, ISSN 0333-5372.
MARÍAS J. Negra espalda del tiempo, Punto de lectura, 2000 (edizione originale 1998), ISBN 84-663-0007-7.
MARÍAS J. Dark Back of Time, New York, New Directions, 2001 (translated by Esther Allen), ISBN 0-8112-1466-4.
TOROP P. Translation As A Working Principle Of Culture, 2001.
TOURY G. Descriptive Translation Studies and Beyond, Amsterdam-Philadelphia, Benjamins, 1995, ISBN 90-272-1606-1.
1 Marías 2000, p. 41.