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13 - Note del traduttore

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«Ma ad onta di questa spiegazione, sentivo che mi teneva lontano il libro come si tiene nascosto un segreto»1.

Al termine dell'unità precedente vedevamo che oltre alle varie alternative elencate si apre un'altra possibilità per la resa dei giochi di parole. Si tratta della resa metatestuale, come per esempio una nota del traduttore. Su questo punto i teorici faticano a mantenersi su un versante descrittivo e non normativo, perché da molti le note del traduttore sono viste come il fumo negli occhi, un momento di cedimento, di resa, di deposizione delle armi da parte del traduttore. Quasi il traduttore fosse personalmente responsabile dei problemi di traducibilità culturale e testuale, e dovesse, come un superuomo, essere sempre all'altezza, o sopra l'altezza di qualsiasi problema.

Per coerenza, a mio modo di vedere, chi è contrario alle note del traduttore dovrebbe essere contrario anche alle note dell'autore o del curatore. Se sono elementi che disturbano la corretta fruizione del testo, lo sono in tutti i casi. Nel caso del curatore di un'opera che aggiunge un apparato critico per rendere tale opera (non tradotta) più comprensibile, non credo che qualcuno si azzardi a considerare questa operazione come un momento di resa del curatore.

L'uso delle note fa parte della tendenza all'esplicitazione del contenuto dell'opera tradotta. E l'esplicitazione può essere utile, inutile o dannosa, a seconda del tipo di lettore a cui ci si rivolge. L'esplicitazione sistematica e incontrollata è comunque condannabile, perché finisce per essere applicata anche nei casi in cui il traduttore non è consapevole di farlo.

Sul fronte dei ricercatori contrari alle note sentiamo, per esempio, cosa dice Umberto Eco nel suo bellissimo libro in cui tratta le proprie esperienze di traduttore e di autore tradotto:

Ci sono delle perdite che potremmo definire assolute. Sono i casi in cui non è possibile tradurre, e se casi del genere intervengono, poniamo, nel corso di un romanzo, il traduttore ricorre all'ultima ratio, quella di porre una nota a piè di pagina - e la nota a piè di pagina ratifica la sua sconfitta. Un esempio di perdita assoluta è dato da molti giochi di parole2.

Eco in questo caso non potrebbe avere un tono distaccato, trattandosi dell'autore dei testi che vengono presi come esempi. Nel momento in cui parla delle note alle traduzioni dei propri testi non è il semiotico a prevalere, è l'autore, la cui intenzione (la famosa intentio auctoris che per gli autori morti o inaccessibili è al centro di tante discussioni tra gli interpreti delle loro opere), se espressa da lui stesso, è indiscutibile.

Ma ci sono anche teorici contrari alle note senza essere coinvolti coi propri testi in prima persona. Si tratta, naturalmente, di teorici della generazione precedente all'approccio semiotico descrittivo e, in particolare, di Paul Newmark, che non si identifica in nessuna "scuola" di pensiero sulla traduzione, desiderando piuttosto stare lontano da qualsivoglia "teoria". Newmark non a caso dichiara nella prefazione di rifiutare categoricamente che possa esistere una scienza della traduzione (Newmark 1981: 7).

Sulle note, Newmark sostiene che sia meglio evitarle inserendo invece la spiegazione necessaria nel testo. Questo metodo fa sì che il lettore della traduzione sia portato a credere che le informazioni aggiunte dal traduttore provengano invece dall'autore, poiché non c'è nessuna distinzione grafica tra le chiose e il testo. (Le chiose dei trascrittori sono tra le cause delle difficoltà che incontrano i filologi a ricostruire la lezione originaria di un testo.) Si tratta di un metodo mistificatorio e manipolatorio che presuppone un lettore modello incapace di capire la differenza tra leggere un originale e leggere una traduzione. È un metodo che impedisce la formazione di una consapevolezza, nel lettore, delle diversità delle culture altrui.

Tra gli autori che riescono a mantenere un tono distaccato sulla questione delle note c'è Dirk Delabastita, che tratta il problema insieme alle altre tecniche editoriali che hanno lo scopo di creare (meta)testi secondari. Si tratta di

possibilità compensative che derivano dal fatto che i traduttori possono instaurare un secondo livello di comunicazione, concedendosi di riflettere e commentare sul risultato di queste attività di trasferimento. Dato che il testo tradotto è già un metatesto a proprio diritto (ossia nei confronti del prototesto), questa meta-riflessione del traduttore può in definitiva avere relazione con il prototesto, con il metatesto e con il processo di trasferimento che ha portato dall'uno all'altro (Delabastita 1993: 218).

Ecco che dunque Delabastita delinea con molta chiarezza per quale motivo abbiamo due tipi di metatesto: l'uno che riflette il testo principale dell'atto traduttivo, quella che in senso più ingenuo e primitivo si identifica con la "traduzione"; l'altro, il metatesto complementare, che nel caso della traduzione interlinguistica ha due motivi per chiamarsi metatesto:

  • meta-testo in quanto meta-riflessione sul testo, quindi riflessione metalinguistica;
  • meta-testo in quanto risultato di un processo traduttivo riguardante il prototesto, e quindi "testo che viene dopo".

Delabastita stesso ravvisa i limiti semiotici di questa modalità comunicativa. Il gioco di parole ha la caratteristica di essere un piccolo corto circuito: da un lato ha un significato denotativo, dall'altro ha una riflessione metalinguistica su tale significato, che porta al cosiddetto "doppio senso". Il doppio senso finisce per generare umorismo proprio a causa del fatto che due percorsi di significato si incrociano quando tutto farebbe pensare a una loro esistenza autonoma.

Nel momento in cui un gioco di parole non riesce a trovare una sua traduzione soddisfacente nel metatesto principale, la resa nel metatesto complementare ha la caratteristica di non avere più una componente denotativa, poiché, per definizione, la nota o il commento sono interventi metalinguistici, metatestuali. Non si ha più quindi il "corto circuito" che provoca la risata, o comunque il godimento intellettuale, ma solo la spiegazione della causa della risata nella lingua originale. Il godimento diviene quindi assai meno diretto, poiché al posto del godimento si ha la spiegazione del mancato godimento nella propria lingua.

L'altro limite messo in luce da Delabastita consiste nella linearità della comunicazione verbale. Dato che la fruizione di un testo non può avvenire che in modo lineare, sequenziale (a differenza di un sogno o di un film, per esempio, nei quali gli stimoli colpiscono simultaneamente tutti i sensi, e la comunicazione è dunque multipla), è impossibile che il lettore legga il gioco di parole e, simultaneamente, la nota che lo spiega. Ciò ne altera la sostanza.

Delabastita cataloga poi il tipo di commento che può essere contenuto in una nota relativa a un gioco di parole. Il primo tipo riguarda il commento al gioco di parole nel prototesto. Il secondo tipo riguarda il commento al metatesto, nel caso in cui il traduttore tema che la propria traduzione non sia abbastanza efficace. Il terzo tipo è un commento sulla relazione prototesto-metatesto: una nota che per esempio parli dell'intraducibilità di un certo gioco di parole, o che parli del modo in cui il gioco di parole è stato tradotto con un altro gioco di parole, e del perché.

 

Riferimenti Bibliografici

CANETTI ELIAS Die gerettete Zunge. - Die Fackel im Ohr. - Das Augenspiel, München, Carl Hanser Verlag, 1995, ISBN 3-446-18062-1.

CANETTI ELIAS La lingua salvata. Storia di una giovinezza, traduzione di Amina Pandolfi e Renata Colorni, Milano, Adelphi, 1980, ISBN 88-459-0417-2.

DELABASTITA D. There's a Double Tongue. An investigation into the translation of Shakespeare's wordplay with special reference to Hamlet, Amsterdam, Rodopi, 1993, ISBN 90-5183-495-0.

ECO U. Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003, ISBN 88-452-5397-X.

NEWMARK P. La traduzione: problemi e metodi. Teoria e pratica di un lavoro difficile e di incompresa responsabilità, traduzione dall'inglese di Flavia Frangini, Milano Garzanti, 1988, ISBN 88-11-47229-6. Titolo originale: Approaches to translation, Pergamon Press, 1981.


1 Canetti 1980: 96.
2 Eco 2003: 95.


 



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