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18 - Doppiaggio (seconda parte)

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«Allora sollevava un dito con aria minacciosa ed esclamava – è l'unico suono acuto che io abbia mai sentito da lui – "Fàlsul", "Falso!" calcando l'accento sulla a così a lungo che la parola gli usciva di bocca minacciosa e lamentosa al tempo stesso»1.

Il lettore modello del film doppiato è una persona che si presume non in grado di apprezzare la poetica della voce di un attore. Il lettore modello del film sottotitolato ha un potenziale cognitivo superiore rispetto all’omologo del film doppiato. Infatti, come afferma Delabastita, un film doppiato richiede uno sforzo cognitivo meno intenso da parte del fruitore rispetto al film sottotitolato. Questo lettore modello è quindi poco dotato di capacità di apprezzare l’opera dal punto di vista estetico e ha una capacità cognitiva ridotta. Per queste considerazioni fatte dai distributori nella scelta delle strategie di marketing, ritengo che sia lecito considerare poco lusinghiero essere percepiti come appartenenti a una cultura in cui prevale il doppiaggio.

Inoltre il fruitore modello del film doppiato è una persona che non deve accorgersi della clamorosa contraddizione insita nel fatto che gli attori "parlano" la sua lingua ma sono in un mondo del tutto estraneo culturalmente, con scritte e riferimenti in altra lingua.

La cultura dei paesi dove prevale il doppiaggio è una cultura che a poco a poco si abitua a non fare più caso alle contraddizioni, ai punti di incontro e di scontro tra la cultura propria e la cultura altrui. Il tachimetro dell’automobile, ripreso in primo piano, segna «60», e l’attore commenta «Stiamo andando a cento all’ora». L’attore preme nell’ascensore il tasto «1», e l’ascensore va al piano terreno, e nessuno nel film e nemmeno fuori fa facce strane né si meraviglia.

Quello che nel parlare comune viene chiamato «provincialismo» culturale è la tendenza a estendere mentalmente i princìpi e le usanze vigenti nella propria cultura al resto del mondo, senza porsi il problema della culturospecificità del proprio modo di essere e di fare. Tale mentalità è favorita dall’assenza o dalla scarsezza di indizi a favore della presenza di culture diverse in altre parti del mondo. Maggiori sono le possibilità di comunicazione e di spostamento delle persone, minore è il provincialismo.

È vero che in certi casi prevale un tipo di turismo in cui si pretende di avere riprodotta intorno a sé in miniatura la propria cultura di appartenenza, quando si va nei villaggi vacanze e non si entra affatto a contatto con le popolazioni locali e la loro cultura. Ci si introduce in un microcosmo artificiale dove si ha l’illusione che anche là dove ci si trova si viva in quel modo, non soltanto al di qua del muro, ma anche nel resto del territorio.

Ma quando invece si visita davvero una terra straniera, ci si vive e si hanno scambi e interazioni con le persone che ci abitano permanentemente, ci si accorge che abitudini e usanze che avevamo sempre date per scontate possono essere diverse a seconda del paese in cui ci si trova. Si giunge così a formarsi un proprio concetto personale e privato di relativismo culturale, la cui elaborazione è tanto più grande quanto più il provincialismo gli lascia spazio. Sono due concetti supplementari.

Nella traduzione filmica, il doppiaggio è lo strumento attuativo del provincialismo culturale. Il cinema, di per sé, come tutti i media tende a essere un ottimo strumento per la sprovincializzazione. Le culture mediante i film entrano a contatto e a confronto, e gli spettatori dopo la fruizione di ciascun testo filmico vedono il mondo da un punto di vista diverso.

Tale ampliamento della visuale, tale possibilità di vedere un numero maggiore di sfaccettature della realtà è attutito e attenuato dal doppiaggio, per due motivi:

  • innanzitutto perché non mette il fruitore in stato di allerta come avviene in presenza di culture diverse, poiché è una forma di traduzione implicita e non esplicita, che cerca di far passare il testo tradotto per un originale;
  • inoltre perché priva il fruitore di quello straniamento culturale che è dato dalla differenza linguistica; il messaggio subliminale che passa col doppiaggio è: «in tutto il mondo si parla la mia lingua».

Si capisce molto bene come e perché il doppiaggio sia stato e in certi casi sia ancora congeniale alle dittature di tipo nazionalistico e sciovinistico. Il carro armato culturale della lingua invade – nell’immaginario aconscio dello spettatore del film doppiato – tutto lo spazio extranazionale, dove tutti lo accolgono senza nessuna resistenza. Il delirio di onnipotenza del nazionalista trionfa.

* * *

La tecnica del doppiaggio, rispetto a quella del sottotitolaggio, ha un costo enormemente più alto. Sono stati fatti degli studi al riguardo, nei quali si è giunti alla conclusione che doppiare costa ben quindici volte più di sottotitolare2. Tale costo elevato si ripercuote sul prezzo del biglietto del cinema, sulla quantità di pubblicità alla televisione, sul prezzo di DVD e videocassette in vendita e a noleggio. È una differenza che si può toccare con mano se si prova a controllare il prezzo di un film su supporto ottico o magnetico in vendita con la colonna sonora soltanto in lingua originale oppure anche con colonna sonora in altre lingue.

In alcuni paesi, per motivi essenzialmente di costo, si usa un sistema di traduzione del testo verbale filmico che non è sincronizzato con le battute di dialogo originali, né ha lo scopo di cancellare completamente il suono della colonna sonora originale. Lo spettatore, sostanzialmente, assiste al film, con l’audio originale a volume molto basso ma di tanto in tanto percepibile. Sopra questa colonna sonora, si intromette la voce di uno speaker (uno solo per tutti i personaggi) che si limita a leggere le battute di dialogo poco prima o poco dopo che vengano pronunciate, senza nessuna pretesa di somiglianza con il suono originario.

Questo sistema, in uso per esempio alla televisione nei paesi dell’Europa orientale, ha il vantaggio di non avere bisogno di ricorrere alla riproduzione di tutti i suoni estranei ai dialoghi, perché lo spettatore li può sentire dalla colonna sonora originale. Ha inoltre il vantaggio di presentare il film come palesemente non originale: addirittura l’originale viene ascoltato in sottofondo. E il testo tradotto non ha nessuna pretesa di sostituirsi all’originale, ma serve semmai ad aggiungersi all’originale. In questo caso si tratta dunque di una resa metatestuale. La colonna sonora originale (prototesto) viene offerta agli spettatori insieme all’apparato complementare (metatestuale) del voice-over.

In questo caso, lo spettatore non ha l’illusione di trovarsi di fronte a un originale. Anzi, il limite di questo metodo sta proprio nel fatto che la fruizione è resa pesantemente difficile dalla complicazione del voice-over, privo di espressività, freddo, come la lettura di una notizia al telegiornale, che in parte copre suoni e parole dell’originale che forse, se udibili, sarebbero d’aiuto.

 

Riferimenti Bibliografici

BAKER MONA e HOCHEL BRAŇO Dubbing, in Routledge Encyclopedia of Translation Studies a cura di Mona Baker, London, Routledge, 1998, ISBN 0-415-09380-5, p. 74-76.

BALLESTER ANA The Politics of Dubbing. Spain: A Case Study, in Translation and the Manipulation of Discourse: Selected Papers of the CERA Research Seminars in Translation Studies 1992-1993, Leuven, CETRA, p. 159-181.

CANETTI ELIAS Die gerettete Zunge. - Die Fackel im Ohr. - Das Augenspiel, München, Carl Hanser Verlag, 1995, ISBN 3-446-18062-1.

CANETTI ELIAS La lingua salvata. Storia di una giovinezza, traduzione di Amina Pandolfi e Renata Colorni, Milano, Adelphi, 1980, ISBN 88-459-0417-2.

FAWCETT PETER Transating Film, in On Translating Frenc Literature and Film, a cura di Geoffrey T. Harris, Amsterdam, Rodopi, 1996, p. 65-88.

LUYKEN GEORG-MICHAEL et alia, Overcoming Language Barriers in Television: Dubbing and Subtitling for the European Audience, Manchester, The European Institute for the Media, 1991.

SHUTTLEWORTH MARK e COWIE MOIRA, Dictionary of Translation Studies, Manchester, St. Jerome, 1997, ISBN 1-900650-03-7.


1 Canetti 1980: 34.
2 Luyken 1991: 106.


 



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