a) Semantica e psicologia
L'origine degli stati nazionali segue di molto il consolidarsi di
famiglie linguistiche con caratteristiche omogenee, su basi territoriali e
razziali. 'Stato' e 'Nazione' sono due entità non
sovrapponibili: il primo è a base politica, la seconda culturale. La
linguistica definisce 'cultura' l'insieme dei codici
religiosi, linguistici, mitologici, sociologici, artistici, che entrano a far
parte di una 'tradizione', e la cui conoscenza viene assimilata
dalla coscienza dell'individuo durante il suo processo formativo. Melanine
Klein parla di 'introiezione dei modelli', per sottolineare il
carattere mimetico di questo processo di apprendimento. I 'classici'
non sono altro che le opere comunemente assunte a paradigma di questi modelli, e
dunque più frequentemente imitate.
Come le rovine dei templi, le suppellettili, i miti, anche le parole sono
'monumenti' storici delle culture nazionali, perché serbano
in sé tracce di costumi e tradizioni scomparse, ed anche - elemento
più importante - perché rappresentano attraverso la loro
costruzione morfologica e la loro semantica la psicologia con cui ogni cultura
osserva, in maniera peculiare, il mondo esterno. Prendiamo il caso del Tedesco,
dove le parole che indicano concetti astratti hanno una terminazione in
-heit e -keit. Con la prima, si indica un insieme di oggetti
concreti, una 'categoria' materiale; con la seconda, un concetto
astratto, una 'categoria' dello spirito; vale a dire, una delle
forme secondo cui viene articolato il pensiero. Per esempio: Ewigkeit,
"Eternità'... La lingua tedesca concepisce il mondo
secondo categorie a priori; è in Kant che questa - per così
dire - ascensionalità astrattiva culmina riflettendo, al contempo,
su se stessa. Questo comporta, in Tedesco, una maggiore attenzione alla
posizione di un individuo nello spazio e nel tempo che non alle sue
qualità corporee, a ciò che di lui viene percepito dai sensi. I
colori, in Tedesco, vengono percepiti in base alla loro capacità di
riflettere la luce, e non al reciproco contrasto, come avviene in Francese. Il
blau tedesco è un colore profondo e trasparente, non un colore
notturno. Il blue inglese, invece, è una tinta dell'anima,
capace di assumere a simbolo stesso di introspezione meditativa e malinconica.
In Inglese, infatti, ogni categoria astratta è frutto di percezione, e ad
una percezione originaria rimanda. In Inglese Hume prende il posto di Kant, come
filosofo 'nazionale'. Non per niente Poe, ne Il Corvo, per
dare l'idea dell'eternità, ricorre consapevolmente alla
reiterazione della parola Nevermore. In Francese, ogni carattere è
tale rispetto ad un diverso carattere. Ogni cosa è, per così dire,
d'après o selon. La soggettività
dell'interpretazione è l'unica categoria percettiva
possibile. Quando Proust inizia la Ricerca con la frase
"longtemps, je me suis chouché de bonne heure",
ciò che gli interessa è il grado di attrazione-repulsione
semantica tra longtemps e de bonne heure: un paradossale
congiungimento che, in quanto dialettico, 'drammatico', rende
impossibile, di fatto, l'addormentarsi; in questa insonnia è
immanente tutto il plot della Ricerca.
b) Il problema della tradizione
Ogni lingua sottende una tradizione. Il gioco di recuperi, allusioni,
parodie, messo in atto da uno scrittore, si profila sempre come gioco di ombre
sulla superficie clastica del linguaggio. Ogni traduttore, dunque, deve essere
prima di tutto uno storico della lingua: la propria, e quella da cui traduce.
Accanto ad ogni scrittore c'è una folla di Sosia, che sono gli
esempi ed i modelli da cui egli attinge, per poi magari, freudianamente,
'uccidere' i propri Padri. Non per niente Joyce,
nell'Ulisse, fa sostenere a Stephen Dedalus l'ipotesi che, in
Amleto, Shakespeare proietti una propria pulsione di morte verso suo
padre... Per evitare che le ombre del passato sulla grotta del tempo
letterario diventino, come in Platone, i fantasmi del tempo reale, il traduttore
deve possedere in pieno i vari 'livelli' linguistici delle due
lingue entro le quali opera. A questo scopo, occorre operare una distinzione
fondamentale tra le lingue 'nazionali'. Esistono infatti lingue
inclusive e lingue esclusive; ogni lingua è ascrivibile in una di queste
categorie soltanto a partire dal rapporto in cui si pone rispetto al proprio
ceppo d'origine. L'Inglese, per esempio, è inclusivo rispetto
al Sassone; il Tedesco, esclusivo. Nel primo caso, le strutture sintattiche
costruiscono un codice alternativo rispetto al modello neolatino; nel secondo,
le articolazioni del Latino divengono il 'materiale di costruzione'
del senso. In Inglese, di conseguenza, è la lingua d'uso a dar
forma a quella letteraria; in Tedesco, come in Italiano, avviene il contrario.
Questo comporta il fatto che, in Inglese l'eccezione, la deroga, siano
connotazioni dello stile letterario; in Tedesco, a parte alcuni luminosi esempi
(Jean Paul, Hoffmann, Kafka) questo non avviene. Ne consegue, per un traduttore,
la necessità di comprendere che cosa sia, lingua per lingua,
'norma', e che cosa 'artificio', tenendo presente che
l'arte è, semanticamente, sempre artificio.
Le lingue esclusive tendono a vedere negli arcaismi altrettante patenti di
nobiltà linguistica. La base sassone che riaffiora nel Tedesco moderno
assume sempre connotazioni - più o meno romanticheggianti -
di nobiltà, vittoria, eroismo. In Italiano avviene il contrario, come ben
sa chiunque conosca le farse di Giulio Cesare Croce, col suo Bertoldo, o
abbia letto la Secchia Rapita di Tassoni... Ma anche il caso di
Sterne, in Inglese, conferma questa regola: il Tristram Shandy è
tutto un gioco di parodie sui modelli classicistici della Tragedia
elisabettiana, dallo scrittore vista come paludamento artificioso
dell'angla purezza...
Si tratta dell'aspetto più faticoso (perché il più
umile) del tradurre: costruirsi attraverso letture e riflessioni uno schedario
di termini, un archivio dei registri semantici, con esercizi di corresponsione
tra le diverse lingue. È infatti necessario che ad un arcaismo di Gadda,
per esempio, col suo continuo rimasticare stilemi danteschi, corrisponda nella
lingua d'arrivo un arcaismo dal pari sapore evocativo, o dalla medesima
distorsione del senso. Un esercizio utile, nell'area inglese, è
prendere quel capitolo dell'Ulisse in cui Joyce ripercorre tutta la
storia della lingua inglese, da Caucher al se stesso di Dedalus, ad
immagine di quella biblioteca in cui si svolge l'azione. In Italiano, per
tradurre quel capitolo, si tratterebbe di partire dai poeti siciliani per
arrivare agli esperimenti semantici di un Sanguineti (Laborynthus).
Esistono, comunque, scorciatoie. Infatti, ogni esperienza narrativa è per
sua natura un'esperienza archetipa. Vale a dire che in differenti culture
esistono affinità tematiche ed analogie di intenti. Nell'Italia del
dopoguerra, il caso di Stefano d'Arrigo ripercorre molto da vicino quello
dell'ultimo Joyce. Horcynus Orca è un
'metaromanzo' in cui si affastellano e trovano la loro
'redenzione' espressiva arcaismi, idioletti regionali, tecnicismi,
parodie burlesche, stratificazioni di registri, nella stessa misura tentata da
Joyce nel Finnegan's Wake. Si può, dunque, passare da
d'Arrigo per sciogliere il nodo impossibile dell'ultimo Joyce. Allo
stesso modo, la sintassi ironica ed autoreferenziale del Machiavelli del
Belfagor e della Clizia, oppure gli 'eroici furori'
stilistici di Giordano Bruno, si dimostreranno falsarighe preziose, se si vuole
tradurre in Italiano il Faust di Marlowe.
c) La tradizione 'plastica'
Un'altra distinzione importante tra le culture linguistiche nazionali
passa per il concetto di 'canone'. Esistono culture persuase di come
una 'teologia dei modelli' sia formante l'identità
linguistica nazionale, e culture che fanno della trasgressione al canone
l'elemento poetico normativo. La sistematizzazione di questo fenomeno non
è semplice. Prendiamo come esempio il modello francese, dove Boileau
fissa le regole del Bello, e Racine erige, con le sue tragedie, una vera
'liturgia' di come la lingua debba rimanere impermeabile alle
perturbazioni del sentimento. La conseguenza inevitabile è quel
proliferare di movimenti sovversivi dell'ordine, di scuole della
trasgressione, che ha segnato l'evoluzione della letteratura francese: da
de Sade a Lautrémont, da Nerval a Baudelaire; e poi Mallarmé,
Breton, ecc. Ma la trasgressione è tale se applicata ad una norma, che il
traduttore deve conoscere, se vuole evitare di sovrapporre le proprie pulsioni
creative a quella mimesi attoriale che l'operazione del tradurre sottende.
Così, a chi voglia tradurre Verlaine risulta indispensabile conoscere i
Parnassiani, per avere coscienza di quali siano i codici che il poeta mette tra
parentesi, attuando la propria rivoluzione estetica. Allo stesso modo, un
traduttore di Jean Paul deve possedere appieno il gergo dei notai, dei teologi e
degli uomini di legge, bersagli fissi dell'amara ironia dello scrittore
tedesco dal nome polemicamente francese. Per Heine, il riferimento è al
Volkslied, quelle canzoni per litanie assonanti che connotano la Germania
pietistica dei paesi renani. Il modello da rovesciare, qui, sarà Il
Corno Magico del Fanciullo: la ricognizione di Brentano e von Arnim nella
poesia di ispirazione popolare.
Stesso problema per il teatro: la tradizione del Masque elisabettiano
comporta una fusione tra musica e parola che ha per conseguenza
l'adozione, nella prosodia, di metri e ritmi al limite del gioco di parole
e del nonsense. In Germania, invece, prevale il Puppenspiel: il
teatro dei burattini, dominatore, fin dall'epoca barocca, della scena; per
conseguenza, il contesto linguistico è all'insegna di uno
sperimentalismo che comporta la sperimentazioni degli idioletti più vari,
spesso con funzioni caricaturali. Lessing tenterà di porre ordine a
questa situazione, ma l'Urfaust di Goethe dimostra come
l'approccio al dramma fosse, per uno scrittore tedesco, il riabbeverarsi
alle fonti intatte della natura, con la sua allegra anarchia linguistica. In
Francia, al contrario, il teatro è curiale, accademico, con una
connotazione linguistica incentrata sul rispetto delle schermaglie, le
proposizioni ed il linguaggio per elisioni della conversazione galante: tutto
quel rituale della parola come status-symbol ed insieme strumento di
consenso che viene parodiata da Moliére nel Bourgeois Gentilhomme.
Le problematiche relative alle differenze tra le tradizioni nazionali
investono il problema dei codici in una dimensione globale. Perfino i segni di
interpunzione non sono soggetti alla medesima regola. Chi si accinge a tradurre
Nietzsche entra in contatto con tutta una lingua 'non scritta', una
proliferazione di indicazioni diasegetiche che vanno dal trattino doppio alla
parola isolata tra due punti, oppure come lasciata vibrare tra due serie di
puntini di sospensione... Un altro esempio: l
le traduzioni di Kafka spesso operano una risoluzione delle frasi brevi ed
icastiche dell'originale in un periodare fluido e 'neolatino',
magari adducendo il motivo che il Tedesco del praghese Kafka non era una lingua
viva, ma un coacervo di substrati libreschi; il che è vero, ma in Kafka
esprime quel dominio della storia della lingua, quella capacità di
piegare le altisonanze del linguaggio 'sublime' ad esiti
caricaturali per troppa luce che costituisce il retrogusto demoniaco della sua
prosa. La punteggiatura di Kafka, con le sue virgole apposte ad interrompere la
continuità prosodica, i suoi punti e virgola che non introducono
meditazioni, ma lasciano sospese descrizioni inerti di luoghi chiusi, sono
quello che per un pittore sono i colori, per un musicista le pause: veicolano la
selva mirabile delle connotazioni, molto più importanti delle
denotazioni, se è vero che la letteratura è arte del non detto.
Ora: siccome il Tedesco ha avuto origine dalla traduzione della Bibbia
realizzata da Lutero mentre, nel castello di Warburg, cercava di non farsi
mettere sul rogo, è chiaro che questo procedere kafkiano per elisioni
sentenziose serve, per usare un'espressione di Lutero, a "dipingere
il diavolo sul muro"... Anche Hemingway, ne Il Vecchio e il
Mare, gioca con lo stile sospeso fuori dal tempo delle sentenze bibliche,
operando cesure e scansioni che fanno della punteggiatura un gioco cromatico di
canne d'organo. Il livello della connotazione, però, è del
tutto diverso; in questo caso, abbiamo a che fare con un'Etica calvinista
del sacrificio, del contatto tra le mani e la dura materia che sia viatico alla
grazia, ed insieme un'Estetica del mare come madre che raccoglie le
lacrime e le redime dalla loro insignificanza, del tutto opposti a quella sfida
gnostica contro il Dio-Padre che Kafka intende.
Insomma: ogni pagina letteraria è una partitura, denotata secondo le
convenzioni del linguaggio nazionale. L'operazione del trasporre i segni
autoreferenziali da un sistema linguistico all'altro è
l'esegesi, premessa ed insieme conseguenza di ogni interpretazione. Nel
prossimo capitolo, analizzeremo il modo opposto in cui le lingue inclusive e
quelle esclusive si comportano nei confronti delle fecondazioni culturali
straniere. Ovvero, di ciò che Spengler chiamerebbe la differente
qualità di 'cultura' e
'civilizzazione'.