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2. Cultura e civilizzazione: elementi originari ed apporti stranieri nel progresso storico delle lingue

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b) Alla ricerca delle radici

Le radici latine del Sacro Romano Impero significano quell'uniformità di codici, nel Medioevo europeo, senza la quale il fenomeno del Latino come lingua 'ufficiale' della cultura, tra Quattrocento e Settecento, sarebbe inconcepibile. Allo stesso modo, la poetica della 'donna angelicata' diffusa dai Trovatori diviene il fulcro intorno a cui si organizzano le metafore dell'Anima in tutte le culture premoderne, con tutta quella loro simbologia di specchi, sorelle lunari e viandanti. Rispetto a questa tradizione, si pongono anche le lingue.

In Europa esistono lingue diurne e lingue notturne. Le prime auspicano l'oggettività, le seconde la soggettività. Le lingue diurne nascono da contesti federalistici in cui prevaleva l'interazione tra culture nazionali. Sono lingue della 'civilizzazione'. Le lingue notturne sono fermamente nazionalistiche. Sono lingue della 'cultura'. Le lingue diurne hanno come substrato i codici del linguaggio giuridico e mercantile. Chiunque si dedichi alla decodificazione delle lingue neolatine dovrebbe partire dalle Pandette di Giustiniano: la prima raccolta organica delle leggi comuni al mondo latino. Ci si accorgerebbe, allora, di come, nelle lingue diurne, l'elemento fondamentale è il nesso tra soggetto ed oggetto, mentre il complemento indica la situazione 'scenica' dentro cui va collocata una simile interazione. Tutto il contrario nelle lingue notturne, dove, semplicemente, l'idea di 'complemento' non esiste, se non come indicatore della 'modalità'; in questo senso, nelle lingue notturne il come conta più del cosa. In Tedesco, wenn connota la consequenzialità di un'azione dall'assolvimento delle condizioni nell'ambito delle quali sono maturate le sue premesse. Dunque, non corrisponde né a "quando", né a "qualora". Non è né una temporale né una causale. Semmai, implica l'idea che il tempo abbia una logica sua propria, e scorra al di fuori della nostra volontà. Al contrario, weil indica una successione temporale di fenomeni dal cui rigoroso svolgimento consegue un risultato immancabile (un destino? In Tedesco, l'eroe tragico è sempre figlio di un weil).

Se intendiamo, con metafora ormai codificata, la luce del giorno come simbolo della Ragione illuministica, e le tenebre della notte come espressione della cultura del Sosia, apparirà chiaro che le lingue della denotazione - le neolatine - sono lingue del giorno, quelle della denotazione - tutto il ceppo sassone-germanico - sono lingue della notte. Ovvero: le prime sono lingue delle denotazione, le seconde della connotazione. Ovvero: nelle prime, conta il cosa, definito dal rapporto gerarchico; nelle seconde, il come, definito dalle oscillazioni psicologiche dell'Io.

All'origine di questa straniante dicotomia c'è un processo storico. Le lingue neolatine sono derivate dall'assimilazione della cultura greca negli alvei di una lingua giuridica e commerciale che aveva due caratteristiche: 1) era un prodotto di sintesi artificiale, eretta su di una normativa accademica; 2) esprimeva le esigenze di coabitazione e le emergenze della vita di relazione tra culture e lingue diverse. La duttilità, o meglio quella che potremmo definire la posizione antropocentrica, dunque, non era la caratteristica peculiare del Latino. All'opposto, il Greco era la lingua di una cittadina di quattordicimila abitanti, l'Atene del quarto secolo, nata dalla strutturazione dialettica dei punti di vista propri alle diverse arti, ed i mestieri (sì, anche la Filosofia ed il Teatro) individuali. In Greco, dunque, esiste l'Aoristo, premessa al Preteritum tedesco ed al Present Continuous che, prima di essere Inglese, è Sassone. Nell'Aoristo, ciò che conta è il risultato: la circostanza per cui, se non si è compiuto l'evento A, l'evento B non è nemmeno pensabile (la Logica del 'terzo escluso' di Aristotele...). In Latino, invece, l'organizzazione del significato non è mai logica, ma sempre spaziotemporale e, quindi, gerarchica.

Il concetto di 'prossimo' e 'remoto', del prima e del poi, nelle lingue notturne, non esiste neppure. In senso lato, le lingue diurne potrebbero essere definite copernicane, le notturne tolemaiche. Nelle prime, è il significato ad articolare l'universo del linguaggio; nelle seconde, è il senso: umbratile, soggettivo, irriducibile a qualsiasi gerarchia linguistica. In sintesi: le lingue diurne sono centripete, le notturne centrifughe.


 



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