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3. Le lingue nazionali come visioni del mondo: le teorie della psicolinguistica

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b) Dall'idea alla parola

La neuropsicologia studia il modo in cui le caratteristiche della coscienza umana mutano l'oggettività della percezione, ovvero le modalità con cui la mente, quando osserva qualcosa, in realtà percepisce se stessa nell'atto di osservare qualcosa. Il linguaggio è sempre stato uno dei loci sacri della neuropsicologia, da quando Piaget e Laborit hanno cominciato a far coincidere la presa di possesso del mondo esterno del bambino con la sua capacità di stabilire nessi subordinanti all'interno del discorso. Nella loro teoria, per il bambino di tre anni ad ogni nome corrisponde un'azione di ricompensa: il nome è la parola magica con cui i desideri vengono soddisfatti. Rifacendoci a quanto detto prima, dunque, potremmo tentare questa formula: in un bambino di tre anni, il primo livello del linguaggio è quello rituale; entro questo livello, il codice primario è quello conativo, mentre la funzione espressiva è la pulsionalità del desiderio. La parola 'riverrun' con cui termina Finnegan's Wake di Joyce si colloca in questo sistema di variabili. Chi tenta di tradurre quell'enigma in parole del tardo Joyce senza accettare di sporcarsi di terra le mani, come un bambino che giochi con la creazione, non ha nessuna possibilità di spuntarla.

Lo stadio successivo, nella formazione della coscienza linguistica, è l'appropriazione del territorio. Le lingue ugrofinniche concepiscono il territorio linguistico come spazio, sistema di relazioni tra compresenze, piuttosto che successione articolata nel tempo, come è proprio delle lingue neolatine. La fissità climatica, l'avvicendamento indefettibile delle stagioni, con caratteri inalterabili, propria del clima finlandese ha avuto certo il suo effetto sulla genesi della lingua finnica, che tende al raggruppamento dei termini per assonanza, alla creazione di ceppi linguistici inalterabili che paiono richiamare sia le sacre querce secolari sia la struttura per clan del tessuto sociale. Allo stesso modo, il carattere dell'Ungherese, quel suo serbare nel tema, la parte centrale della parola, la connotazione di ogni termine, il suo appartenere al codice della affettività, o quello scientifico, o quello giuridico, o altri ancora; il modo in cui l'Ungherese conserva nella radice il legame della parola con la tradizione, nel mentre rende la desinenza duttile ad ogni intenzione espressiva individuale, pare legato alla storia di quel popolo, che seppe conservare le radici fisse nella propria storia solo attraverso una sempre più sottile duttilità nei confronti delle molte dominazioni culturali straniere. L'Ungherese appartiene a quella categoria di lingue che adottano il comportamento di certi microrganismi i quali, per sfuggire ai loro nemici, ne assumono alcuni caratteri genetici.

Uno studioso italiano, Luciano Mecacci, ha analizzato il modo in cui le lingue pittografiche, come il Cinese ed il Giapponese, descrivono il mondo come espressione di idee, piuttosto che di concetti. Per un Cinese, ogni idea è tale solo se è raffigurabile. Non è un limite da poco; la sua applicazione alla lingua tedesca toglierebbe di torno Nietzsche. Il fatto è che le lingue occidentali si basano su di un principio che potremmo definire la 'soddisfazione dell'attesa'. Soltanto se sappiamo già in anticipo dove l'argomentazione andrà a parare, possiamo essere certi di comprendere il discorso scritto.

La popolarità di Mishima in Occidente, negli anni Settanta, nacque da un equivoco. Il suo suicidio per seppuku durante una trasmissione televisiva ne fece una figura eroica, presso la coscienza tormentata dell'Occidente. Quel cacciarsi un coltello in ventre, venendo da un uomo che aveva reclutato un esercito personale di samurai per lottare contro la penetrazione in Giappone, dopo Hiroshima, della cultura tecnologica americana, creò dall'oggi al domani un mito. Ebbene: le traduzioni occidentali dei romanzi di Mishima sono state compiute in gran parte sulle versioni francesi. Prova ne sia la sistematica resa di 'quartetto d'archi' con ' quartetto a corde': come si dice in Francese. Anche Pa Chin, l'autore cinese di Gelide Notti, letto in traduzione sembra Balzac. Gli ideogrammi sono, per gli Occidentali, lettera morta. Secondo Mecacci, il motivo sta nel fatto che, per i linguaggi 'figurativi', il concetto è sempre tale nel suo rapporto con qualcosa, e non in se stesso. I termini 'assoluto', 'infinito', 'immortalità', in Cinese, sono espressi come dilatazioni indeterminati dei concetti di 'limite', 'tempo' e 'vita': hanno un simbolo di 'dilatazione' a margine, ma non esistono come 'concetti'. Del resto, ciò contro cui Wittgenstein combatté per tutta la vita è proprio il paradosso per cui i concetti più importanti, nelle lingue occidentali, sono quelli che non vogliono dire niente...


 



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