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IL FINALE DEL FAUST
DI GOETHE

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CHORUS MYSTICUS

Alles Vergängliche
Ist nur ein Gleichnis;
Das Unzulängliche,
Hier wird's Ereignis;
Das Unbeschreibliche,
Hier ist's getan;
Das Ewig-Weibliche
Zieht uns hinan



UNA TRADUZIONE ITALIANA

Tutto ciò che trascorre
rimane come impronta.
Ciò che è inafferrabile
si mostra qui come presenza.
Ciò che è indefinibile
ritrova qui la sua parola.
Ciò che si fa eterno
ci astrae qui dal mondo.
(traduzione di Elvira Grassi ed Alessandro Zignani)


PER UN NUOVO PAGANESIMO

La stesura del Faust impegnò Goethe per circa sessant'anni, da quell'abbozzo drammatico noto come Urfaust fino al Chorus Misticus con cui si conclude la seconda parte, completato circa due settimane prima della morte. Il Faust è, dunque, più che la rielaborazione di un Puppenspiel, un dramma per le marionette di epoca rinascimentale, l'autobiografia intellettuale del poeta, il suo dialogo ininterrotto con se stesso e con i fantasmi della propria fantasia. Inoltre, il Faust costituisce, soprattutto nell'ultima parte, un trattato di fenomenologia del linguaggio, in cui viene indagato il nesso tra verità di pensiero e verità di parola, tra il fenomeno sensoriale, l'idea, e la sua espressione in termini verbali. Per il Goethe di questi ultimi mesi, tra il vero e il nulla non c'è che il verbo, nuda midolla delle cose. Ogni significato rimanda a significati altri, fino a che non trionfa, immacolata, la sintesi totale di ogni percezione nell'Idea dell'Io, secondo Goethe, scaturigine prima di ogni discorso. In questo paganesimo ellenico corroborato dall'idealismo kantiano - l'Io che pensa afferma attorno a sé il Non-Io - Goethe si muove con la coscienza di poter comunicare soltanto meri fantasmi.
Ecco perché il Chorus Misticus, all'apparenza così trascendente, ha in realtà a che fare con il principio romantico dello Streben: il flusso vitale da cui il mondo stesso, come soggetto eternamente senziente, viene costituito.
Lo Streben romantico non è un'idea, ma un valore. È l'accettazione del transeunte contro l'iconostasi del dogma. Non per niente, Faust si dichiarerà sconfitto da Mefistofele soltanto quando verrà costretto a dire: "Attimo, fermati; sei bello!". Col suo atteggiamento duplice verso il Romanticismo, la sua esigenza 'classica' in una rifondazione umanistica del Senso, Goethe ravvisa nello Streben il principio dell'eterno superamento di Sé, foriero di scissioni, alienanti moltiplicazioni delle Persone nel gioco delle maschere. L'esempio del poeta Lenz, destinato a perdere nella follia le suggestioni ingovernabili del proprio impulso vitale, aveva turbato Weimar proprio nei giorni in cui il Chorus Misticus veniva abbozzato.

L'AMBIGUITÀ COME CHIAREZZA

Una traduzione di questo vertiginoso momento deve farsi pauperismo testuale; la limitatezza del linguaggio, infatti, qui è espressa come poetica sottesa all'intero discorso.
Il primo problema è la resa di "Vergängliche": il suo senso metafisico sta nel richiamo ad Eraclito, che sostiene "non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume". È chiaro che Goethe stravolge questo assioma ermeneutico nel suo opposto: "ciò che trascorre" è, qui, lo Streben inteso come pulsione. Siamo di fronte ad una svolta fondamentale, nella cultura europea: si pensi a come Nietzsche, partendo proprio dall'idea di 'pulsione' - Trieben, con lieve metatesi del sostantivo - rifonderà una fisiologia della conoscenza anti-idealistica, perché fondata sui sensi.
All'origine di questo dilemma c'è Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer: il 'cecchino' dell'Idealismo tedesco. Se l'intera volontà di vivere è Wille, è chiaro che tra Streben e Trieben c'è solo una differenziazione di desinenza, mentre le radici tematiche denunciano un autoinganno a cui la mente, volentieri, su impulso di Mefistofele - a sua volta spinto a questo Streben per impulso di Dio stesso, qui inteso come Natura - non può che indulgere.
In termini di traduzione, rendere "Alles Vergängliche" con "tutto ciò che fluisce" ha il vantaggio di richiamare alla mente il modello di Eraclito, modello polemico di Goethe; però, al contempo, impedisce di cogliere il concetto di modificazione permanente delle forme, di trasmutazione di ogni forma, per analogia, in altre, su cui è imperniata l'intera fisica goethiana, che è, in quanto tale, anche una cosmologia.
"Tutto ciò che trascorre" permetterebbe di risolvere la questione, ma a prezzo di dare al tempo del mito una connotazione rettilinea che è quanto di più opposto esista rispetto alla dimensione ciclica, ricorsiva, che il tempo della verità, in Goethe, assume.

TEMPO RETTILINEO E TEMPO CIRCOLARE

Tutto il Faust, infatti, gioca sull'incompatibilità tra il tempo della mente, che è rettilineo, progressivo, e procede per sintesi tra opposti, e quello della natura: autoreferenziale, concepito per il darsi dell'eterno ritorno. Il secondo concetto chiave di questo Chorus Misticus: il "Gleichnis", rappresenta proprio il rapporto tra questi due inconciliabili tempi dell'esistenza, in quanto discorso poetico. Infatti, per Goethe, esiste soltanto ciò che può essere detto.
La cultura neolatina conosce il principio dell'allegoria: la personificazione di concetti astratti. La nostra cultura, infatti, è storicamente fondata sulla pittura, unica maniera, per i predicatori, per illustrare i concetti del discorso sacro all'assemblea, per lo più analfabeta. L'allegoria, a sua volta, ha dato corpo alla metafora: la tecnica retorica dell'analogia, solitamente volta a scopi profani: illustrare le qualità morali od intellettuali dell'Eroe. Per questo il linguaggio sacro ha dovuto ascendere alle vertigini del Simbolo, per fondare una semantica antitemporale, iconica, del numen religioso.
Nella cultura tedesca, invece, maturata sull'esempio del Volkslied, e poi, con Lutero, impregnata di un individualismo confessionale reso ancora più misterico dall'adozione della musica come grammatica dell'inconscio in preghiera, una prospettiva simile va completamente rovesciata. Ecco perché non si può rendere "Gleichnis" con "simbolo". Il termine, a rigore, indica semplicemente "ciò che assomiglia a qualche cosa d'altro": per riduzione fenomenologica, potremmo renderlo con "il come". È chiaro che l'opposizione è al "che cosa": alla verità del significato, sommersa dal "trascorrere" del senso, con le sue analogie.
Alla fine, ciò che salverà Faust è un effetto paradossale del suo Streben: l'amore delittuoso per Margherita, permutato, attraverso la misericordia di Maria Maddalena, in carità. Nulla di intellettuale, dunque; niente di metafisico. Piuttosto, vita che, attraverso il mistero sacro dell'amore, diventa flusso di energia universale, capace di curvare, per un attimo solo, quell'arco di tempo umano che scorre vicino al cerchio del tempo divino, eppure non lo tange. In Margherita, per un attimo, la Grazia ottiene che la linea retta, in un punto solo - un destino solo - tocchi la linea circolare. La Grazia è un miracolo che investe soltanto un essere predestinato per volta. La storia, in quanto insieme delle sorti, dalla Grazia, toccata non verrà mai.
I quattro versi successivi sviluppano questo assento metafisico nei termini della sua emanazione sulle sorti terrene: il paradosso dell'"inafferrabile" che "si mostra come presenza" nel tempo rettilineo della mente esprime la radice di un dissidio insanabile tra Essere e Tempo destinato a travagliare il corso successivo della coscienza contemporanea, fino a che Heidegger, in Sein und Zeit, non ne riassumerà i corollari esistenzialistici.



La concezione di Goethe della poesia come pratica salvifica si esprime nella rilettura da lui tentata del Vangelo di S. Giovanni: "An Anfang war die Tat": "al principio era l'Azione", piuttosto che il Verbo. Ne risulta la natura ingannevole, apparente, di ogni azione: un'ombra di incertezza sul principio di definizione (principio di verità) che trova la sua espressione al verso 6 del Chorus Mysticus: che cosa è mai, quella "Realtà", se non un infingimento di senso? Dunque, a differenza di Dante, il viaggio goethiano non finisce con una trasfigurazione, ma con un dubbio metodico che rovescia quel "cogito ergo sum" cartesiano da cui ha avuto origine l'intera civiltà moderna.
Tuttavia, negli ultimi tre versi, Goethe apre una finestra sul mondo iperuranio, definito secondo una metafisica, com'è ovvio che sia, opposta a quella idealistica.
"Das Ewig-Weibliche" è l'elemento femminile, ascensionale, presente nella coscienza umana. Gli antichi lo definivano "Anima", e nella stessa maniera Jung lo assume, per collocarlo al centro della sua antropologia delle funzioni di coscienza: Animus, Anima, Persona, Io, Ombra. L'Anima è Sophia, la bellissima donna amata dai poeti ellenistici, e divenuta, nel cosmo cristiano, Maria Vergine, dopo avere subito trasmutazioni in donne reali (Beatrice, Laura) per evitare, nei poeti dello Stilnovismo, sospetti eretici. Questo principio, che è desiderio, non può essere reso, in traduzione, con "Anima", perché il termine - mistico quanto mai, in origine - si è ormai secolarizzato; ecco perché Goethe, invece di usarlo, con la sua carica perturbante - in quanto linguaggio arcaico, remoto - preferisce tradurne l'accezione mistica con un termine composto alquanto involuto: "Das Ewig-Weibliche". Allo stesso modo "Zieht uns hinan" non allude a nessun "Empireo", come pure capita di vedere tradotto, ma soltanto ad un dimensione "più alta", in un senso, prima ancora che spirituale, fisico. L'esoterismo di Goethe non è trascendenza, ma percorso di uscita dal mondo, attraverso una fessura nel tempo rettilineo attraverso cui si dischiudono i misteriosi, imperscrutabili percorsi del tempo circolare. "Ci astrae dal mondo" pare la traduzione più sensata, in quanto è la meno compromessa con aloni trascendenti che, in una situazione così paradossale, offuscherebbero il complesso di controtesti veicolati dai registri verbali, che aderiscono alla pura referenza, senza tentare alcuna trasfigurazione allusiva, allegorica, della contemplazione mistica finale. Alla luce di tutto questo discorso, ancora più inquietante, nella sua vertigine di controtesti paradossali, apparirà quel "Gleichnis" da cui l'intera ascesa - umana, troppo umana - di Faust, ha preso il suo abbrivio.


 



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