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EINE BAUERNKANTATE
Di Picander
Musica di Johann Sebastian Bach

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ARIA - DUETTO

Mer hahn ein neue Oberkeet
Ans unsern Kammerhern.
Ha gibt uns bier, das steigt ins Heet
Das ist der klare Kern.
Der Pfarr' mag immer büse tun
Ihr Speelleut, halt euch flink!
Der Kittel wackelt Mieken schun
Das klene luse Ding.

RECITATIVO

Nu, Mieke, gib dein Guschel immer her;

Wenn's das alleine wär!
Ich kenn dich schon, du Bärenhäuter,
Du willst hernach nur immer weiter.
Der neue Herr hat ein sehr scharf Gesicht.

Ach! Unser Herr schilt nicht
Er weiss so gut als wir, und auch wohl besser
Wie schön ein blachen Dahlen schmeckt.

ARIA

Ach, es schmeckt doch gar zu gut
Wenn ein Paar recht freundlich tut
Ei, da braust es in dem Ranzen
Als, wenn eitel Flöh und Wanzen
Und ein tolles wespenheer
Miteinander zänkisch wär.

RECITATIVO

Der Herr ist gut. Allein Der Schösser
Das ist ein Schwefelsmann
Der wie ein Blitz ein neu Schock strafen kann
Wenn man den Finger kaum ins kalte Wasser steckt.

ARIA

Ach, Herr Schösser, geht nicht gar zu schlimm
Mit uns armen Bauersleuten um!
Schont nur unser Haut
Fresst ihr gleich das Kraut
Wie die Raupen bis zum kahlen Strunk
Habt nur genung!

RECITATIVO

Es blebt dabei
Dass unser Herr der beste sei
Er ist nicht besser abzumalen
Und auch mit keinem Hopfensack voll Batzen
Zu Bezahlen

ARIA

Unser trefflicher
Lieber Kammerherr
Ist ein kumpabler Mann
Den niemand talden kann.

RECITATIVO

Er hilft uns allein, alt und jung
Und dir ins Ohr gesprochen
Ist unser Dorf nicht gut genung
Letz bei der Werbung durchgekrochen?
Ich weiss wohl noch ein besser Spiel
Der Herr gilt bei der Steuer viel.

ARIA

Das ist galant
Es spricht niemand
Von den caducken Schocken
Niemand redt ein stummes Wort
Knauthain und Cospuden dotr
Hat selber Werg am Rocken.

RECITATIVO

Und unsre gnädge Frau
Is nicht ein prinkel stolz
Und ist gleich unsereins ein arm und grobes Holz
So redt sie doch mit uns daher
Als wenn sie unsergleichen wär
Sie ist recht fromm, recht wirtlich und genau
Und machte unsern gnädgen Herr
Aus einer Fledermaus viell Taler gern.

ARIA

Fünfzig Taler bares Geld
Trockner Weise zu verschmausen
Ist ein Ding, das härte fällt
Wenn sie uns die Haare zausen
Doch was fort ist, bleibt wohl fort
Kann man doch am andern Ort
Alles doppelt, wieder sparen
Läst die fünfzig Talen fahren!

RECITATIVO

Im Ernst ein Wort!
Noch eh ich dort
Ans unsre Shenke
Und an den Tanz gedenke
So sollst du erst der Obrigkeit zu Ehren
Ein neues Liedchen von mir hören.

ARIA

Klein-Zschochter müsse
So kart und süsse
Wie lauter Mandelkerne sein
In unsere Gemeine
Zieh heute ganz alleine
Der Überflühn des Segens ein.

RECITATIVO

Das ist zu klug vor dich
Und nach der Städter Weise
Wir Bauern singen nicht so leise
Das Stückchen höre nur, das schicket sich vor mich!

ARIA

Es nehme zehntausen Dukaten
Der Kammerhern alle Tag ein!
Er trink ein gutes Gläschen Wein
Und lass es ihm bekommen sein!

RECITATIVO

Das klingt zu liederlich
Es sind so hübsche Leute da.
Die würden ja
Von Herzen drüber lachen
Nicht anders als wenn ich
Dia alte Weise wollte machen

ARIA

Gib, Schöne,
Viel Söhne
Von artger Gestalt
Und zieh sie fein alt
Das wünschet sich Zschocher und Knauthain fein bald!

RECITATIVO

Du hast wohl recht
Das Stückchen klingt zu schlecht
Ich muss mich also zwingen
Was Städtisches zu singen.

ARIA

Dein Wachstum sei feste
Und lache vor Lust!
Deines Herzens Trefflichkeit
Hat dir selbst das Feld bereit
Auf dem du blühen müht.

RECITATIVO

Un damit sei es auch genug.
Nu müssen wir wohl eines Sprung
Ins unsrer Schenke wagen.
Das heisst, du willst nur das noch sagen.

ARIA

Und dass hirs alle wisst
Es ist nunmehr die Frist
Zu trinken
Wer durstig ist, mag winken
Versagts die rechte Hand
So dreht euch unverwandt zur Linken!

RECITATIVO

Mein Schatz! Erraten!
Und weil wir nun
Sahler nicht mehr zu tun
So wollen wir auch Schritt vor Schritt
In unsre alte Schenke waten.
Ei! Hol mich der und dieser
Herr Ludwig und der Steur-Reviser
Muss heute mit.

CORO

Wir gehen nun, wo der Tudelsack
In unsrer Schenke brummt
Und rufen dabei fröhlich aus
Es lebe Dieskau und sein Haus
Ihm sei beschert
Was er begehrt
Und war er sich selbst wünschen mag!




a) Una traduzione italiana


CANTATA DEI VILLANI



ARIA - DUETTO (Soprano, Basso)

Il Camerlengo per nuovo magistrato
Han di recente per noi nominato
Di birra costui ci fornisce
Che nella testa tosto finisce
Ha un bel il prelato motivo di stizza
Voi, musici; orsù, alla lizza!
Ecco Mieke; scuote il grembiale,
la fanciullina innocente.

RECITATIVO

(Basso)
Adesso, Mieke, dammi orsù un bacino.

(Soprano)
Se fosse sol questo il tuo intento!
Eppur ti conosco bene, volpe malfida
E so che sol del prosieguo tu resti contento.
Il nuovo signore ha occhi per tutto.

(Basso)
Eppure lo sa che nulla facciamo di brutto
Ed anche quanta dolcezza in un bacio si annida.

ARIA

(Soprano)
Oh, sì; com'è puro e sincero
Quando una coppia s'ama davvero
Ma poi! Lo stomaco si prende a lagnare
Come cimici e tàfani
E di calabroni pazzi un cassero
Ad argomentar dentro ci fossero!

RECITATIVO

(Basso)
Il signore è buono; ma delle tasse l'esattor
Quello è a dir poco una furia
Alla prima alba chiara s'alza e ti piglia
Che appena hai le mani dell'acqua nel bollor.

ARIA

(Basso)
Oh nobile esattor, non esser spietato
Con dei villani la povera folla
Lasciaci almen della pelle la midolla
Al par d'un bruco d'inarrestabili voglie
Peli dei nostri cavoli le ultime foglie
Speriamo che alfin ne resti beato!

RECITATIVO

(Soprano)
Resta il fatto indubitabile:
Il nostro signore è proprio imbattibile
Nessuno potrebbe magnificarlo oltre il probabile
E nemmeno con un gran sacco d'oro
Comprarlo sarebbe possibile.

ARIA

(Soprano)
Il nostro illustrissimo
Camerlengo carissimo
È un vero nostro compar
Chi potrebbe di lui deluso restar?

RECITATIVO

(Basso)
Ci aiuta tutti, giovani e vecchi
Tra te e me parliamo un momento:
Non son per caso giunte ai suoi orecchi
Le lagne dei villici, durante il recente reclutamento?

(Soprano)
Ancora migliore è ciò che sentii di lui raccontare:
par che di tasse sa ben la rotta tenere!

ARIA

(Soprano)
Oh, com'è chic
Che nessun fiati dassenno
Se giuste od ingiuste le tasse siano
Nessun ne fa un misero accenno
Perfin laggiù, nel Knauthain e Cospudén
In tutti gli affari quelle si ficcano in un amén

RECITATIVO

(Basso)
E la nostra illustre signora
Certo non è per niente altera
Ed anche se siamo di poveri e stracchi una schiera
Si degna pur lei di conferir con noi

Come lei fosse una di noi.
È devota, zelante, lungimirante
e saprebbe, pur che il nostro signore lo brami,
Trar quattro soldi fin dalle stoppie dei cani.

ARIA

(Basso)
Certo dar aria a cinquanta talleri
Perché prendan la via della cassa
Da sé facilmente non avviene
Pur se ad indurci a tal atto interviene
Un che ci strappi di capelli una matassa
Ma ciò ch'è stato sia giusto stimato
E può ben darsi che in altro loco
Al raddoppio condotto sia il gioco
I cinquanta talleri lasciate andare: ché forse è poco!


RECITATIVO

(Soprano)
Per dire una parola non banale
Prima che io vada al nostro locale
e pensi a come comporre le danze
Da me ascolterai una nuova canzoncina
Che del nostro magistrato ti dirà la stima

ARIA

(Soprano)
Posson talora nocciòle di ciccioli
Di mandorle a mucchi aver fragranza
Possa del nostro villaggio il comune amore
Spander su tutti noi che ci viviamo
Grazia d'aver ciò che per sorte possediamo.

RECITATIVO

(Basso)
Questa cantata è troppo liliale
e troppo adorna di doti civili.
Noi villani quelle teniam per vili
Ascolta quest'esile brano, e dimmi se è meno banale!

ARIA

(Basso)
Possa il Camerlengo fare incetta
Di cinquemila talleri per botta!
E si beva poi un gran bicchier di vino
E gli faccia pur bene un pochino!

RECITATIVO

(Soprano)
Suona di troppo corrivo stile
Gente di spirto qui c'è
Merta divertimento non vile
Di certo non ha molta importanza
Se dell'antico modo rinnovo la costumanza.

ARIA

(Soprano)
O mio delicato sposino
Produci bambini a puntino
E che sian di solida struttura
ed insegna lor la misura
Che faccia anche a lor gradire un pochino...
nocciòle di ciccioli!


RECITATIVO

(Basso)
Hai proprio ragion per intero
La musica mia era rozza davvero
Bisogna pur che anch'io mi cimenti
In ciò a cui tutti in città han talenti.

ARIA

(Basso)
Possa la prospertà a te restar sodale
E la tua gioia crescer d'ora in ora!
Del tuo cuor la somma nobiltà
Ha messo radici in tua pubertà
Che in te di splendor fiorisce già.

RECITATIVO

(Soprano)
E basti con questo.

(Basso)
Mi par che ci sia ora imposto
Di fare un salto nel nostro locale.

(Soprano)

Il che, al dir questo, per te sol vale:

ARIA

(Soprano)
Com'è da voi tutti saputo
Il tempo è alfin venuto
di bere.
A chi con molta sete sen viene
Di barcollar nella tresca conviene
Se la destra man vi pianta in asso
Buttarsi a sinistra certo sarà uno spasso.


RECITATIVO

(Basso)
Ben detto, mia cara!

(Soprano)
E siccome qui nulla da fare ci resta
Né da cantar più abbiamo
Passo per passo or ce ne andiamo
Alla vecchia taverna nostra.

(Basso)
Ehi, via con me questi due invita
Ludwig, nostro signore, e l'esattor delle tasse
Pur loro saran della partita.

CORO

(Soprano, Basso)
Or corriamo alla nostra taverna
Dove le pive ci tengon bordone
E sulla strada con gran confusione
Diremo 'viva Dieskau e la sua magione!'.
Sia a lui concesso ogni riposto desire
e quel che brama, avvenire!


b) Bach: da musicista a professore

Il trasferimento di Johann Sebastian Bach a Lipsia, nel 1723, non rappresentò certo il coronamento di una carriera. La corte di Cöthen, di cui era stato Kapellmeister a partire dal 1717, gli offriva la possibilità di esplorare la musica strumentale europea, dalla Sonata al Concerto, senza dover rendere conto a nessuno delle proprie scelte estetiche. Lo stesso Principe suonava la viola da gamba, in orchestra, e si crede che con lui Bach non usasse quei manrovesci con cui, a Lipsia, presto esasperato, si mise a dare il tempo ai gracili bambini della Thomasschule, la Scuola di San Tommaso. Avete capito bene: a Lipsia, Bach, assumendo il titolo di Cantor, in pratica accettò, tra l'altro, di diventare Preside di una scuola, con tanto di obbligo di insegnamento del Latino e di passare, la sera tardi, con la scusa di spegnere i lumi, a controllare il comportamento morale degli allievi. Il bello è che, per sì modesta carica, un Bach non rappresentò, per il Consiglio Comunale, che una seconda scelta. Di primo acchito, infatti, si era pensato a Telemann, che si era guardato bene dal cacciarsi in quel posto in cui, a far da accompagnamento ai pasti, non ci sarebbe certo stata la sua Tafelmusik, ma i fumi degli incensi. "Visto che i migliori rifiutano, accettiamo i mediocri": fu questo il commento del Consiglio alla forzata nomina di Bach! Non che il futuro Cantor, con gli incarichi 'ufficiali', avesse fortuna: in gioventù, ad Amburgo, gli era stato proposto da Buxtheude in persona di succedergli alla consolle della Chiesa di Santa Maria. Solo che c'era una clausola: bisognava sposare la sua orrida figlia¿ Anche da un punto di vista gerarchico, il ruolo del Cantor, a Lipsia, non dava di che gioire, vantando un poco invidiabile record: dipendeva sia dal Burgmeister, il nostro Sindaco, che rappresentava il Municipio sia, contemporaneamente, dal Concistoro religioso. Senza il permesso congiunto di entrambi, non poteva nemmeno assentarsi, ed in quali mani fosse capitato, Bach lo comprese quando, subito dopo la sua nomina, presentò un articolato progetto di riforma della musica liturgica a Lipsia, e gli fu risposto che badasse, piuttosto, a non addormentare i fedeli con i suoi troppo elaborati preludi agli organi: diamine, l'organo serviva solo ad accompagnare il canto, e la musica ad elevare il carattere della preghiera!
Non è esagerato sostenere che il trasferimento a Lipsia fu, per Johann Sebastian, ciò che fu la sordità per Beethoven: un forzato ritiro nel proprio mondo interiore, da cui fare sgorgare, infine, quelle forme fuori del tempo che sono le Variazioni Goldberg e l'Arte della Fuga. Evitando ogni implicazione masochistica, nella scelta di Bach, l'unica motivazione possibile al suo trasferimento lipsiense fu la possibilità di fare studiare all'Università il suo dotatissimo primogenito Wilhelm Friedmann; allora come adesso, Johann Sebastian aveva capito che gli autodidatti di genio, in questo mondo, hanno la vita dura. Per inciso: le cronache ci dicono che gli studi universitari servirono al rampollo solo per morire in miseria di alcolismo, dopo aver spacciato per opere alcuni manoscritti paterni.
Tra gli impegni 'amministrativi' e la pesante routine giornaliera, a Lipsia Bach aveva anche l'obbligo di istruire un coro miserrimo, tutti allievi della Thomasschule: 24 tra soprani e contralti, 30 tenori e bassi. In più, c'era un gruppo strumentale composto di 36 strumenti e... 12 strumentisti. Infatti, ognuno di loro si adoperava su tre strumenti differenti, dai quali, a sentire lo Spitta, riusciva a cavare esattamente gli stessi suoni, in grazia di una tecnica non proprio agguerrita. Non stupisce che quando lo stesso Spitta, in previsione della sua monumentale monografia, andò ad intervistare un vecchio allievo di Bach, e gli chiese qual era la tecnica di concertazione del genio, quegli rispondesse: "Prima noi cantavamo come cani, poi lui ci riempiva di ceffoni".
In una città in cui il Luteranesimo si era installato sui bastioni fin dal primo colpo di martello menato da Lutero al portale di Würtemberg, per attaccarvi le sue Proposizioni, e vi stava appollaiato ben saldo, insieme all'aquila imperiale, le feste religiose e municipali, senza la musica, erano una vera eresia. In effetti, visto che uno degli scopi della Messa era, nelle parole di Lutero, "sottrarre al diavolo tanta bella musica che circola tra gli uomini", il ruolo del Corale, il canto intonato sui Salmi dall'intera assemblea, assunse fin dapprincipio una tale importanza da fare della Germania la nazione musicomane che tutti conosciamo.

c) La Cantata: poesia per musica

Da un'elaborazione del corale in chiave operistica nasce la Cantata, tentativo di importare la vocalità del melodramma veneziano di Cavalli o di Cesti dentro le strutture squadrate e l'ispirazione metafisica del Corale luterano. Dopo vaghi esperimenti di Theile e Reichardt, la Cantata, come la Passione, venne messa a punto da Schütz, che il soggiorno veneziano e le frequentazioni francesi rendevano il personaggio più adatto al complesso innesto di stili che questa forma musicale comporta. Infatti, la Cantata è una parodia di tutti gli stili esistenti nel Barocco: l'Ouverture è, di solito, alla Francese, con introduzione grave e successivo episodio fugato, le arie sono in stile italiano, ma col basso continuo da 'seconda pratica', vale a dire modellato sulle opere di Monteverdi; l'intreccio delle voci, negli strumenti, è ripreso dal Concerto Grosso di Corelli, ed infine i 'concertati' che si affiancano ai Corali puri e semplici sono in puro stile opera-ballet alla Lully. Insomma: l'unico compositore in grado di padroneggiare il genere poteva essere colui che fosse passato attraverso la pratica di tutti i generi passati e contemporanei, e li avesse riunificati, mediante il contrappunto, in un'unica sintesi. Ed ecco: abbiamo dato il ritratto musicale di Johann Sebastian Bach.
A Lipsia, Bach doveva assicurare due cantate alla settimana (!) alternando le chiese di S. Tommaso e di S. Nicola. Non bastavano, infatti, i riti religiosi; perfino il rinnovo del Consiglio Comunale meritava, secondo il Burgmeister, qualche levataccia in più per l'oberato coretto del Prof. Bach. Non c'è da stupirsi se, verso il 1749, il compositore divenne cieco, per poi finire i suoi giorni praticamente sotto i ferri di un imbroglione patentato di chirurgo, il 'dott.' Taylor, passato agli annali per essere riuscito a togliere il lume degli occhi, nel giro di due anni, a Bach e ad Händel, contribuendo dunque, nel suo piccolo, a ridisegnare la Storia della Musica. Fino a poco tempo fa, i venticinque anni lipsiensi, culminati nell'edificio monumentale delle circa duecentocinquanta cantate sacre, erano la porta d'accesso all'icona del Bach "Quinto Evangelista" (Schweitzer): un genio la cui grandezza poneva solo il problema se cadere in ginocchio di fronte alla sua fede adamantina o alla prodigiosa sovrabbondanza della sua produzione sacra. A smontare questo santino, ci pensò Leopold Blühme ed, a ruota, Piero Buscaroli. In pratica, si scoprì che la massima parte delle cantate bachiane erano il prodotto dell'assemblaggio di materiali precedenti, molti dei quali alquanto profani, trattandosi di concerti strumentali o ariette di argomento spesso frivolo; senza parlare delle numerose 'parodie', ovvero delle cantate scritte in onore di Bacco e/o del dio Bach che poi diventavano musiche per la Pentescoste o la Assunzione! In definitiva, risultò non soltanto che Bach era un compositore 'puro' come non mai, vale a dire interessato primariamente alle forme strumentali, e non ai messaggi che esse possono veicolare, ma qualcuno volle vedere in questo suo sfacciato 'opportunismo' un segno di insofferenza e di disprezzo nei confronti del ristrettivo bigottismo in cui si era da sé condannato a vivere...
In ogni caso, questa 'ripulitura' del personaggio fu alquanto positiva, perché non solo annullò la distinzione di generi all'interno del corpus bachiano (la musica per i Santi in alto, quella per gli Uomini nello sgabuzzino...) ma contribuì alla riscoperta delle molte cantate profane di Bach, fino ad allora considerate 'parodie' tratte dai materiali di quelle sacre (invece, era vero il contrario!) nonché opere concepite per biechi fini economici. Si può dire, invece, che Bach avesse rovesciato il motto di Lutero, secondo il quale "la musica è la cosa più bella del mondo, dopo Dio". Ne è prova la 'vita segreta' di Bach durante gli anni lipsiensi: di giorno 'operario' della musica luterana, di sera clavicembalista svagato del Concentus Musicus, occupato ad allietare le serate dei borghesi, e la notte compositore della Messa in Si: un caposaldo della liturgia cattolica! Più che del "grande artigiano" (il solito Schweitzer) c'è di che parlare del "grande faccendiere" della musica... Il tono scherzoso serve a smussare gli angoli di un rilievo importante: le Cantate di Bach, lungi dall'essere "la roccaforte di uno stile 'puro' e disincarnato, fuori del tempo" (ancora Schweitzer, che mi sa che in Africa a fare il missionario ce l'hanno mandato gli organisti, esasperati) sono un perenne laboratorio formale di innesto degli stili. Tali 'ibridi', essendo Bach soprattutto il genio dell'assimilazione, si tramutano comunque subito, in lui, in formule di assoluta coerenza dinamica, all'interno del percorso strutturale di ogni singola cantata.

d) Uno specchio di tutte le arti

Non per infliggere un colpo al mito romantico del genio, a cui siamo tutti così affezionati (sfortunata l'epoca che ha bisogno di eroi, diceva un grande poeta...) ma la sorte di Bach fu quella di nascere in una condizione storica e geografica irripetibile. Si sa infatti che, come i bambini più floridi sono frutto di incroci, così i capolavori nascono dall'innesto di caratteri incompatibili dentro forme che non li possono sorreggere, il che forza il compositore a tentare vie nuove; ma per puro istinto, ché ogni riflessione, in questi casi, comporta il ricadere in formule scontate. La Germania di Bach era divisa in 49 staterelli, spesso così piccoli che il territorio nazionale coincideva in pratica con la reggia; quindi, era un guazzabuglio di influssi e sperimentazioni le più indipendenti, le più varie. Passando da Arnstadt a Mülhausen, da Lüneburg a Cöthen, Bach vi apprende via via gli stili italiano, francese, del Barocco 'fiorito' austriaco, prendendo come basso continuo della sua mente creativa il Corale variato degli organisti del Nord, come Buxtheude, da lui venerato (da ragazzo andò ad Amburgo a piedi per ascoltarlo, per poi fuggire a gambe levate per i motivi che abbiamo visto) Böhm, Pachelbel e Muffat. Nel Bach delle Cantate, questo paradosso del 'genio creatore' che tanto più è tale quanto meno inventa (a meno che non si intenda il verbo 'inventare' alla latina, 'scoprire') celebra la sua apoteosi, sia nel genere sacro che in quello profano, sia nelle piccole cantate per pochi strumenti concertanti ed un solo solista, sia nei grandi pannelli dei due Oratori.
Uno dei falsi miti che la rivoluzione dell'immagine di Bach propiziata da Blühme e Buscaroli ha contribuito a far cadere è quella della presupposta indifferenza di Bach, nelle cantate, alla strumentazione. Naturalmente, il collocare tutta la sua musica in una prospettiva spiritualistica portava ad una serie di conseguenze: Bach come musicista indifferente all'estetica, alla bellezza esteriore; Bach musicista simbolico, per gli occhi più che per le orecchie (che noia, tutti quegli studi sull'uso del numero 3 e dei multipli di 3 ad evocare la Trinità, nelle cantate sacre!). In realtà, personaggi come Ton Koopman o Helmuth Rilling hanno scoperto che l'equilibrio timbrico e le differenze espressive tra i singoli strumenti sono un problema così importante, per Bach, da spingerlo a redigere due o più versioni di ogni cantata, per apportare correzioni che gli permettano di conservare i caratteri del brano pur in presenza di organici diversi. Se si aggiunge il fatto che alcuni brani compaiono in più cantate, al punto da rendere spesso difficile capire per quale brano essi siano stati, originariamente, concepiti, possiamo capire il motivo per cui i pochi ardimentosi che si sono accinti ad un'edizione completa delle cantate di Bach abbiano assunto sempre di più, col passare degli anni, l'aspetto di asceti bizantini. Alle volte, tutto questo lavoro di intarsio progressivo finisce per rendere incerta perfino la distinzione tra i generi. Col passare del tempo, anzi, e man mano che i musicologi si addentrano di più nell'oceano bachiano (e pensare che 'Bach', in Tedesco, significa 'ruscello'...) si staglia sempre più la certezza che le Cantate, lungi dall'essere il punto conclusivo dell'arte di Bach, costituiscano il laboratorio germinativo della sua intera produzione, una sorta di magazzino di idee nutrito fin dalla prima giovinezza dei più svariati apporti.


 



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