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Léandre et Héro
Cantata di Madame de Louvencourt
Musica di Louis-Nicolas Clérambault

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Recitativo

Loin de la jeune Hero le fidèle Léandre
Formai d'inutiles désirs.
Cher objet, disait-il, de mes ardents soupirs,
A quel bonheur sans vous puis-je jamais prétendre?
Quoi? Vainement vous partagez mes feux?
La mer inhumaine et barbare
Oppose un fier obstacle au plus doux de mes voeux?
Peux-tu souffrir, Amour, qu'elle sépare
Deux cours que tu veux rendre heureux?

Air gai et gracieux

Non, c'est trop soutenir les tourments de l'absence.
N'ecoutons plus que mon amour;
Et toi, Vénus, j'implore ta puissance;
Trahirais-tu mon espérance?
Sur les flots dont tu tiens le jour?

Recitativo

A ces mots, du rivage il s'élance sans crainte
Le silence et la nuit lui prétent leur secours,
Et l'amoureuse ardeur dont son ame est atteinte
Lui cache le péril qui menace ses jours.

Air fort tendre

Dieu des Mers, suspendez l'inconstance de l'onde
Calmez les vents impétueux
L'amour expose à vos flots dangereux
Le plus fidèle amant du monde.
Volez, volez tendres zéphyrs
Conduisez cet amant fidèle
Ou mille fois touchés de sa peine cruelle
Vous avez porté ses soupirs.

Recitativo

Cependant sur ces flots cet amant généreux
Trouvait un facile passage.
Le ciel semblait favoriser ses v¿ux
Il aperçoit deja le fortuné rivage
Quand tout à coup Borée en sortant d'esclavage
Change un calme si doux en un orage affreux.

Tempete

Tous les vents déchainés se déclarent la guerre
La foudre éclate dans les cieux
Et la mer irritée, au dessus du tonnerre,
Porte ses flots audacieux.
Dans ce péril pressant Léandre qui se trouble
Ne saurait échapper au trépas qui le suit.
L'obscurité qui se redouble
Dérobe à ses regards le flambeau de la nuit.

Recitativo

C'est un fait, il périt. Cette affreuse nouvelle
De la sensible Héro perce le sénsible c¿ur.
Elle succombe à son malheur
Et dans les memes flots cette amante fidèle
Finit sa vie et sa douleur.
Mais Neptune touché d'une flamme si belle
Reçoit ces deux amants au rang des immortels.
Et, réparant du sort l'injustice cruelle
Unit leurs tendres coeurs par des noeuds éternels.

Air, gracieusement et piqué

Amour, tyran des c¿urs
Arrache ton bandeau, connais ton injustice
Et ne laisse plus en caprice
A décider de tes faveurs.
Tu répands tes biens et tes peinse
Dans un funeste aveuglement
Toujours sur le plus tendre amant
Tombent tes riguers inhumaines


a) Una traduzione italiana

Recitativo

Lontano dalla giovane Ero il fedele Leandro
si strugge di inutile desiderio.
Caro oggetto - dice - dei miei ardenti
sospiri,
a quale felicità, senza di te,
io posso mai aspirare?
Ma come! Sarà invano che tu ricambi i miei ardori?
Il mare inumano e barbaro
oppone un fiero ostacolo alla più dolce, per me,
delle promesse.
E tu, Amore, sopporti
che esso separi due cuori, che vuoi render felici?


Air gai et gracieux

No, è troppo sopportare i tormenti
dell'assenza.
Non ascolto più che il mio amore;
e tu, Venere, io imploro la tua potenza;
tradirai forse le mie speranze?
Da quei flutti da cui tu venisti alla luce?


Recitativo

A queste parole, dalla riva si lancia
senza timore,
il silenzio e la notte gli prestano
soccorso,
e l'amoroso ardore da cui la sua anima
è pervasa
gli nasconde il pericolo che minaccia i suoi giorni.

Air fort tendre

Dio dei Mari, sospendi l'incostanza
delle onde,
calma i venti impetuosi,
l'amore espone a voi, flutti pericolosi,
il più fedele amante del mondo.
Volate, volate, teneri zefiri,
conducete questo amante fedele
laddove mille volte, commossi dalla sua pena crudele
avete condotto i suoi sospiri.

Recitativo

Nel frattempo su quei flutti tale amante
generoso
trova un facile passaggio.
Il cielo sembra favorire i suoi voti,
già egli scorge la fortunata riva
quando tutto d'un tratto Borea, sorgendo
dalle catene,
cangia una calma sì dolce in una tempesta
spaventosa.

Tempesta

Tutti i venti scatenati si dichiarano
guerra.
La folgore saetta in cielo
ed il mare irritato sullo slancio dei tuoni
conduce i suoi flutti audaci:
In questo pressante periglio
Leandro si turba
né potrebbe sfuggire alla morte che lo incalza.
L'oscurità incede senza posa
e toglie ai suoi sguardi la fiamma notturna.

Recitativo

E infatti, egli muore. Questa sconvolgente notizia
della sensibile Ero prostra il sensibile cuore;
ella soccombe al suo dolore,
e nei medesimi flutti questa amante fedele
termina la sua vita ed il suo patire.
Ma Nettuno, colpito da una fiamma così bella,
eleva questi due amanti al rango
degli immortali
e, riparando all'ingiustizia crudele della sorte,
unisce i loro teneri cuori in nodi oltre la morte.

Air, gracieusement et piqué

Amore, tiranno dei cuori
strappati la benda, riconosci
la tua ingiustizia
e non lasciare più al capriccio
il decidere dei tuoi favori.
Tu spandi i tuoi beni e le tue pene
in funesta cecità,
e costantemente è sul più tenero degli amanti
che piovono i tuoi inumani rigori.




b) La riscossa dei parvenu

Arrampicatosi dalla condizione di anonimo ballerino a quella di grande favorito del Re Sole, e tiranno dei teatri parigini, Giovanni Battista Lulli, di Lucca, si premurò, per prima cosa, di sbarrare l'accesso in terra di Francia ai suoi connazionali, ben sapendo come l'intensità dell'Oratorio romano, il genio di un Carissimi, oppure l'intenso legame suono-parola escogitato da Sigismondo d'India nei suoi Mottetti, lo avrebbero messo in ombra. In effetti, in Italia, in quello scorcio del declinante Diciassettesimo secolo, si stava celebrando una rivoluzione musicale i cui caratteri distintivi sono lo stile 'recitativo' ed il principio del 'basso continuo'. Grazie al primo, la musica può seguire le inflessioni della parola senza essere costretta nelle gabbie del ritmo, né raggelata nelle strutture tradizionali; l'affrancamento della linea del basso dalle voci superiori, invece, permetteva alla linea dei bassi una duttilità emozionale inusitata. Già nei grandi madrigali 'drammatici' di Monteverdi - artefice di questa rivoluzione del linguaggio, da lui denominata 'seconda prattica', per distinguerla dalla polifonia rinascimentale, con la sua libera sovrapposizione delle voci - come Il Combattimento di Tancredi e Clorinda e Il lamento di Arianna, la musica e la parola formano un'unità espressiva inseparabile, dove gli accenti recitanti del linguaggio diventano scansioni ritmiche, mentre la tonalità segue le molteplici evoluzioni del testo recitato.
Ma di tutto questo, in Francia, alla fine del Seicento, non ci si curava, persi tra Pastorelle, Rondelli e suite cortigiane, col concorso dei nobili che, travestiti da villici e satiri, davano fiato a pive e flautini.
A giocare a sfavore del genere Cantata c'era anche il fatto che i Francesi, col loro culto della natura come cartesiana ordinatrice d ella ragione, non sopportavano i castrati, mentre la ragione principale dell'affermazione del genere in Italia era stata proprio la possibilità di ascoltare il Senesino o Farinelli anche nei periodi di Quaresima, quando i teatri d'opera dovevano rimanere chiusi. Non per niente, i massimi sostenitori del genere si rivelarono essere i Gesuiti, da sempre sostenitori di quella 'dissimulazione onesta', ossia l'arte del cavarsi d'impaccio con l'innocua arma della finzione, su cui uno di loro, Torquato Accetto, aveva appena scritto un trattato che riscuote anche oggi, in Italia - chissà perché? - un grande successo.
Mentre il cardinale Mazzarino ed il conte Savoia di Carignano, 'maestro dei piaceri' a corte, cercavano invano di far penetrare in Francia i piaceri del canto lirico, ad infrangere il veto del gusto cospirò un effetto collaterale alla politica del Re Sole: l'esigenza, sorta durante il suo regno, di nominare un gran numero di nuovi nobili, per poi prontamente spedirli nelle remoto colonie delle Fiandre o d'Oltreoceano, dove un Artois o un Richelieu si sarebbero ben guardati dal mettere il naso. I nobili - si sa - si fa presto ad 'investirli', ma poi nulla vieta che la smania dei parvenu di ben figurare in società li riduca alla svelta in rovina; il che spiega perché la Cantata, quest'opera in miniatura in cui bastava talvolta scritturare un cantante, un clavicembalo ed una viola da gamba, diventasse, ai tempi di Luigi XV, un genere alla moda, in Francia.

c) Il teatro dei suoni


Con la smania enciclopedica che contraddistingue la clarté, la cantata francese si distingue da quella italiana per una rigida ripartizione degli stili impiegati: l'arioso di solito introduce il primo recitativo, e serve a descrivere lo stato d'animo del protagonista, la sua contemplazione del dramma a ritroso, come in uno specchio. In questa concezione psicologica delle prime battute è possibile vedere un'influenza del dramma di Racine, con la sua tendenza a trasformare l'azione in un ossessivo monologo interiore. Il recitativo è quasi sempre secco, scandito dagli accordi del clavicembalo; secondo Rousseau, la lingua francese, mancando di accenti tonici, e quindi sopportando male l'espressione concitata, doveva ricorrere come compensazione ad un'accentuata prosodia musicale... La seconda aria narra le conseguenze del dramma, ed è quindi espressiva e 'patetica'. Ad essa segue un recitativo in cui il clavicembalo e la viola dialogano, riassumendo, come in un sogno, l'intero sviluppo della vicenda. Infine, un'aria sentenziosa, solenne, esprime la morale del dramma. Se si pensa che dal ruolo di alter-ego dell'anima del protagonista assunto dal clavicembalo si sviluppò quella meravigliosa polifonia di stili, quella continua imitazione di voci interiore che sono i Pieces de clavecin di Couperin, non si può più condividere il giudizio di Rosseau sui difetti congeniti alla lingua francese. L'aspetto curioso di tutta questa vicenda è il fatto che, in sintesi, la cantata francese è strutturata come un'amplificazione dell'aria operistica italiana, con le sue due sezioni - lenta, 'narrativa', e veloce, 'espressiva' - introdotte ed intercalate da due recitativi. Alla fine, nella Francia già pervasa dai primi bagliori dell'Illuminismo, il rifiuto di uno stile si era trasformato nella sua celebrazione...


d) Clérambault: la musica come psicologia della parola

Il Diciottesimo secolo si apre, a Parigi, con l'istituzione dei Concerts Spirituels, sorti col proposito di innestare lo stile espressivo, la sensiblerie dello stile italiano, sulla declinante devozione dei Francesi. Il risultato era l'eterogeneità più totale, nonché il trionfo sfrenato dell'allegoria, in virtù del quale si spiega la massiccia dose di mitologia che in quelle occasioni veniva ammannita ai sudditi degli Orléans. Il gioco era immediato: Leandro, annegato per raggiungere la bella Ero, rappresentava l'anima alla ricerca dell'unione mistica con Dio; Psiche, rapita da Eros e poi precipitata a terra per aver osato contemplare in volto la divinità, raffigurava l'impotenza dell'intelletto a penetrare i misteri ultimi (alla faccia di Voltaire, che infatti odiava quel "congresso di untuosi farisei che usano l'arte dei suoni come ammaestramento alla bugia").
Può stupire che i massimi autori francesi di cantate siano tutti organisti di formazione; la circostanza prevede due spiegazioni, una 'sacra' e l'altra 'profana'. Lo stile organistico francese, formatosi alquanto in ritardo, era il luogo delle più varie sperimentazioni, in massima parte fiorite sui cimenti dissonanti e le 'sprezzature' di Frescobaldi, Michelangelo Rossi o Bernardo Pasquini: autori, a loro volta, impregnati del lirismo madrigalesco e dell'alternanza mottettistica tra stile imitativo e stile 'recitante' (non per niente, nelle opere degli organisti francesi prevale il registro di 'voce umana'). La seconda motivazione è più spicciola: gli organisti, in Francia, venivano considerati, più che artisti creativi, servitori del rito, e venivano, di conseguenza, pagati poco più di un sagrestano. Clérambault, all'apice della sua carriera, riceveva, per suonare ad ogni funzione presso la Maison Royal di Saint-Cyr, lo stipendio del primo cantiniere del Re, alle cui cure, peraltro, pare si affidasse alquanto spesso, per lenire le frustrazioni. Inoltre, doveva insegnare lo stile polifonico alle damigelle di corte, per lo più terzogenite di famiglie neonobili oppure zitelle dal blasone illustre, ma così racchie che nessun viscontino se le era volute impalmare. Tra alcune di queste signorine ed il giovane - almeno nusicalmente - 'virtuoso' doveva esserci qualcosa di tenero, se il 'tiramantici' della chiesa vide aumentare all'improvviso i soldi che lo stesso Clérambault gli versava. Per certe cose, si sa, c'era il licenziamento assicurato...
Di fronte ai patimenti di questo ambiente bacchettone, Clérambault reagì conducendo una doppia vita. Affittò insieme ad altri organisti un salone adeguato, e qui diede rappresentazioni private delle sue prime cantate, invitando aristocratici patroni della musica, musicisti famosi, teste coronate e cantanti. Gli venne subito rimproverato di seguire troppo i modelli della musica strumentale. In effetti, il padreterno della musica, per Clérambault, è Corelli, mentre degli esperimenti monteverdiani sembra non sapere nulla. Le Sonate a tre del genio di Fusignano permeano a tal punto la scrittura delle sue cantate che la voce stessa, in esse, diventa uno strumento impegnato in fioriture e ornamenti, come fosse un violino concertante. Inoltre, da Corelli Clérambault riprende la scrittura del basso 'a terrazze', caratterizzata, vale a dire, da una stessa figura ritmica ripetuta su gradi diversi, in serie ascensionale.
Di qui la tendenza a frammentare il testo, isolando le sillabe iniziali come fossero interiezioni: un'enfasi esclamativa che dà alla sua musica un carattere quasi preromantico. Non per niente, quando Berlioz fece eseguire per la prima volta il suo oratorio 'arcaizzante' L'Enfance du Christ, asserendo di averne rinvenuto il manoscritto, anonimo, nella Biblioteca Nazionale di Parigi, il solerte Fetis, suo mortale nemico, si dichiarò sicuro che l'opera fosse di Clérambault; col che l'enfant terrible tra i compositori ottenne l'effetto che si era prefisso: gettare su di lui il ridicolo.
La vena mimetica degli affetti è così sviluppata, in Clérambault, che per le sue cantate la definizione di 'opere in miniatura' non è una mera approssimazione. Infatti, in molti punti la musica - basta un ritmo puntato in sincope, ad indicare l'affannato lottare di Leandro contro le onde marine - sembra voler suggerire perfino i gesti con cui gli attori accompagnano la situazione drammatica. Sarà per questo che le sue cantate sono le uniche ad tornare gradite a Rousseau, che gli dedicò un elogio nella voce "Armonia" da lui curata per l'Encyclopedie (anche se, a giudicare dalla sua opera Le devin du village, di questa materia non sapeva granché...)
A Clérambault si deve anche una ripartizione delle tonalità secondo gli 'affetti' da esse volta per volta sostenuti, e dunque una teoria della tonalità vista come espressione teatrale dell'animo umano che aveva molti legami con quello 'stile galante' da cui proviene tra l'altro la pittura di Watteau, per il quale l'accostamento dei colori produce, in chi osserva il quadro, differenti stati d'animo, o la concezione di Corneille del declamato drammatico; quell'accentuare le sillabe deboli e lasciar scivolare le consonanti così in voga presso i grandi tragedi di allora, e la cui prosodia dovette lasciare profondi segni in uno spirito enciclopedico come Clérambault: collezionista d'arte, poeta e perfino disegnatore di giardini (non è un'attività disprezzabile; era la passione di Leonardo, insieme ai porti e le fontane).
Come si vede, questa felice epoca, che segna l'apogeo ed insieme il tramonto dell'Ancient Régime, vive all'insegna della sintesi del gusto...


 



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