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Ballada dells Nostre Donane dal Codex Vermell

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Los set goyts recomptarem
ed tevotament xcantant
humilment saludarem
la dolça verge Maria.
Ave Maria gracia plena
Dominus tecum Virgo serena.

Verge: fons anans del part
pura e senza falliment
en lo part e pres lo part
sens negun corrumpiment
lo fill de Deus Verge pia
de vos nasque verament.

Verge: tres reys d'Orient
cavalcant amb gran corage
al l'estrella precedent
vengren al vostre bitage
offerint vos de gradage
aur et mirre et encenc.

Verge: estant dolorosa
per la mort del Fill molt car
romangues tota joyosa
can los vis resuscitar
a vos mare piadosa
primer se volch demostrar.

Verge lo quint alegrage
que'n agues
del Fill molt car
estant al Munt d'Olivage
al cell l'on vehes puyar
on haurem tots alegrage
si per nos vos plau pregar.

Verge: quan foren complitz
los dies de Pentecosta
ab vos eren aunitz
los apostolos et decosta
sobre tots sens nuylla costa
devalla l'Espirit Sant.

Verge: 'l derrer alegrage
que'n agues en quest mond
vostre Fill ab gran courage
vos munta al cel pregon
on sots tots temps coronada
regina perpetual.

Tots donques nos esforcem
en questa present vida
que peccats foragitem
de nostr'anima mequina.
e vos dolce Verge pia
vuyllats nos ho empetrar.


UNA TRADUZIONE ITALIANA

Ballata della Nostra Signora

I sette gradini contiamo
e devotamente saliamo
per salutare umilmente
la dolce vergine Maria.
Ave Maria piena di grazia
Dio è con te, Vergine serena.

Vergine: fonte immacolata del parto
pura e senza macchia d'origine
senza corruzione al manto
nel parto e prima del parto
te, da cui è nato in corpo e sangue
il figlio di Dio, Vergine esangue.

Vergine: tre re d'Oriente
cavalcarono con grande ardire
a stella in cielo posero mente
davanti alla capanna del Suo venire
e ti offrirono liberamente
oro, incenso e mirra.

Vergine: stavi dolorosa
a contemplare la morte del Figlio sì caro
e tanto ti facesti gioiosa
quando lo vedesti infine resuscitare
ed a te, madre pietosa,
si volle Egli per prima mostrare.

Vergine: la quinta gioia
che avesti dal Figlio a te sì caro
fu sul Monte degli Olivi
su cui lo vedesti pregare
e noi molto ci rallegreremo
se volessi per noi implorare.

Vergine: quando furono compiuti
i giorni di Pentecoste
a te si unirono, muti,
gli apostoli, e sulla vostra anima si levarono
senza fine, dello Spirito Santo i tributi.

Vergine: l'ultima gioia
che avesti in questo mondo
dal gran coraggio di tuo Figlio santo
fu la preghiera che tu ascendessi del cielo in gloria
e fosse per sempre incoronato il tuo manto,
regina eterna.

Te dunque imploriamo senza posa
perché in questa nostra vita
mondi dai peccati la meschinità
dell'anima nostra, che mai riposa.
E possa tu, dolce Vergine e pia,
questo desiderio voler esaudire.

RAGIONI STORICHE DI UN TESTO ERMETICO

Chi, agli albori del Quattordicesimo secolo, si fosse trovato addosso la lebbra, il tifo petecchiale o il «fuoco di Sant'Antonio», aveva solo due possibilità: pagare a peso d'oro un medico salernitano - a Salerno fiorì la prima terapeutica della storia basata sulla diagnosi, e non su Aristotele, la cui Logica permetteva, nel migliore dei casi, solo di dimostrare di cosa fosse morto il paziente - oppure intraprendere un bel pellegrinaggio a Montserrat, la capitale religiosa della procumbatio.
La procumbatio era una pratica devozionale-terapeutica consistente nel passare la notte nel recinto sacro di una cattedrale dalle riconosciute proprietà taumaturgiche. Nota fin dai tempi dei Latini, questa veglia miracolosa concludeva un pellegrinaggio verso la salute i cui particolari - dall'abito di fustagno nero, col rosario alla cintola, allo scapolare bene avvolto in tre nodi intorno alle spalle, fino all'effige della Vergine sul cuore - erano fissati con minuziosa ritualità. Accompagnamento ed insieme scansione al pellegrinaggio, i canti devozionali erano parte integrante del rito, alternandosi secondo una vicenda di preghiere intimistiche e chiassosi ritmi di danza i cui caratteri dovevano imitare quelli della musica fiorita nelle varie regioni attraversate dalle grandi vie del Pellegrinaggio: dall'Italia alla Catalogna, attraverso la Provenza; dalla Turingia alla cattedrale parigina di Notre-Dame, attraverso la Normandia, e dall'Italia Meridionale alla corte di Castiglia, dove si venerava il fondatore della 'civiltà dei pellegrini', San Domenico di Guzman. L'intersecarsi di queste vie, la capacità dei pellegrini di trasferire da una tradizione all'altra i caratteri comuni alle forme poetiche devote, diedero vita - dopo che Philippe de Vitry, nel Tredicesimo secolo, ebbe elaborato le tecniche di sovrapposizione tra le voci necessarie alla combinazione tra loro di motivi diversi - ad una fecondazione tra Gregoriano, danze popolari e canzoni di corte per cui queste tre tradizioni, fino ad allora isolate, divennero - grazie ai viaggi devozionali - un unico linguaggio, fondamento a tutte le future forme poetiche della civiltà europea.
Tra le mete di pellegrinaggio, il Monastero di Montserrat aveva una particolare importanza. Arroccato sugli aguzzi profili delle montagne catalane, la sua leggendaria resistenza alle orde visigote gli aveva meritato la fama di baluardo della Cristianità primitiva, «pietra massima tra quelle di Pietro» (Laudario Domenicano) nonché archivio dell'arte cristiana delle origini. La statua della Madonna nera custodita nel più segreto sacello di Montserrat rappresentava quella 'notte dei tempi' la cui alba sarebbe stata l'Apocalisse, ormai prossima; e siccome il Giudizio Finale sarebbe stato udito dai Giusti «tramite un profluvio di inni e canti di strumenti e voci, dalla consonanza paradisiaca» (Boezio) la connessione tra la figura della Vergine, la rinascita del corpo, la redenzione dell'anima e la poesia per musica, nell'inconscio collettivo medioevale, si realizzò alquanto per tempo, sulle tre direttrici che guidavano i pellegrini verso i luoghi del culto salvifico. La lunga salita che portava a Montserrat acquistava così il carattere di un'iniziazione alle vie dell'anima, cui si accedeva attraverso il sacrificio, l'attesa e la speranza. La prima fase dell'itinerario a Dio era scandita dal pericolo degli stretti sentieri stesi su ponticelli aperti a profondi calanchi, e le cui tracce si andavano perdendo, su per l'altipiano, in percorsi tra loro incrociati che richiamavano uno dei 'simboli di Anima' più cari al Medioevo: il labirinto. Qualcuno rinunciava, altri si aggregavano a pellegrini più scaltri, dei quali dovevano, per espiazione, avvolgersi lo scapolare intorno alle spalle, procedendo come muli dietro al loro padrone. La seconda fase del rito, l'attesa, si traduceva in una veglia all'addiaccio tra i ricoveri di pietra aperti nelle guglie montuose intorno al Monastero, nella cui cappella i monaci facevano, nel frattempo, eseguire inni sacri al celebre coro di ragazzi da essi addestrato: l'«Escolania» (di queste spelonche tra le rocce si ricordò Goethe, che vi ambientò l'ultima scena del Faust). L'ultima parte del pellegrinaggio, la 'speranza', prevedeva la genuflessione davanti alla statua, nel mentre se ne invocavano le virtù taumaturgiche secondo formule di scongiuro e di desiderio la cui successione variava per antiche formule, in conformità al morbo da cui il pellegrino era afflitto.
A quanto pare, erano previsti anche casi di depressione nervosa, che venivano curati con Quodlibet il cui canto imitava i versi degli animali e faceva parodia degli stili più solenni e nobili dell'epoca; il pellegrino, indossando un copricapo a sonagli e penne di gallina, doveva nel frattempo raccontare alla Vergine le grottesche conseguenze della sua ignavia al vivere; ed ecco l'origine del Jolly, il buffone medioevale, e dell'attitudine medioevale a considerare la follia la strada verso il linguaggio sacro, dono di Dio.
Secondo lo storico Huizinga, è proprio nella «santa insania» (Caterina da Siena), intesa come gusto per la sovrapposizione dei linguaggi, la mescolanza tra sacro e profano, l'attitudine alla parodia ed all'imitazione degli stili più vari, che bisogna riconoscere il carattere più autentico del Medioevo romanzo. In questo senso, il Llibre Vermell, il Laudario dedicato alla Madonna di Montserrat da cui abbiamo tratto questa ballata, è lo specchio di tutta una civiltà, l'esito ultimo di una fioritura sulle cui sporgenze ancora adesso la nostra cultura si adagia.

LE ASCENDENZE STILISTICHE

Costituito dai monaci di Montserrat al fine di disporre di un repertorio completo 'sovranazionale' cui i pellegrini di tutta Europa potessero attingere, il codice contiene testi di carattere diverso, da inni espressamente dedicati alla Vergine a canzoni popolari, da arie di corte a danze carnascialesche, da canzoni dei Trovatori a 'tropi' del Gregoriano: il tutto riadattato ai testi della liturgia mariana, secondo le esigenze della procumbatio salvifica. Il fatto che ancora adesso questa scheggia di un antico mondo possa emanare su di noi i suoi riflessi è dovuto all'audacia di un monaco spagnolo che, nel 1811, quando gli sgherri di Napoleone misero a ferro e fuoco i tesori del Monastero, simbolo di una civiltà cristiana odiata da quei nipoti della Rivoluzione, si calò dalla costa del monte più infida, per poi scantonare fino a Barcellona, dove il codice venne nascosto tra i conti da pagare - una montagna - dell'Accademia di Belle Lettere (tanto, sapevano che sui documenti del Marchese di Lio, suo direttore, sarebbero stato messi, per insolvenza, i sigilli del tribunale...). Dobbiamo a questo alpinista della fede la sopravvivenza di un reperto unico al mondo, non solo per la qualità dei suoi contenuti poetici e musicali, ma anche per l'assommarsi in esso di tutte le tradizioni autentiche della cultura 'romanza': una koiné diffusa in tutta quell'Europa che dalle ceneri dell'Impero Carolingio trasse «l'idea dell'arte come fede, e della fede come arte» (Bloch).
Vediamo in dettaglio tutte le tradizioni, le fusioni tra gli stili. Solo dalla loro ricognizione, infatti, l'atto traduttivo potrà trarre, in questo caso, la propria legittimità.
1) Il Fabliaux. Composizione a metà tra pantomima, poema e teatro musicale, si diffuse nelle corti di Provenza intorno al Dodicesimo secolo, attingendo nel Jeu de Robin e Marian un esito assoluto. Spesso i suoi protagonisti sono animali che rappresentano l'allegoria delle virtù e dei difetti umani. Si tratta di una forma in cui sopravvivono i resti della Satura e dei Fescennini latini, imitazioni rovesciate della Tragedia e degli accenti solenni dell'Epica. La particolare 'tecnica di rimando per rime interne' presente negli inni mariani del Codex deriva dai dialoghi drammatici del Fabliaux. Si tratta del primo tentativo, nella letteratura europea, di articolare un gioco dialettico di opposizioni tra contrastanti 'affetti'.
2) Il Rondeau. Il punto culminante dei rituali carnascialeschi era la danza intorno al currus navalis, il carro su cui erano stati issati gli asini vestiti da Cardinali, i focomelici con la tiara del Papa, gli idioti col berretto di velluto dei Giureconsulti... L'ossessiva litania, costruita spesso su un gioco di parole privo di senso, veniva intonata da un primo semicerchio di cantori, per poi essere ripresa da un secondo - a canone, in tempo doppio - e poi da un terzo, in tempo triplo... Nel frattempo, tutti roteavano fino a cadere stremati. La tecnica delle reiterazioni di uno stesso verso, così tipica delle 'glosse' con cui si concludono gli inni del Codex, deriva da questa forma, pure sgrossata dei suoi caratteri di ebbrezza dionisiaca.
3) L'Air de cours. In forma strofica, su temi amorosi, questa raffinata elegia musicale fiorì in Provenza, in particolare presso la corte di Eleonora d'Aquitania, così pronta ad accogliere gli eretici Albigesi, distrutti nel Dodicesimo secolo, dopo la scomunica papale, e tra cui si annidavano i semi della poesia occidentale. Dietro l'apparenza delle lodi alla donna amata, questi testi parlano della morte come uscita del corpo, e delle molte stazioni che l'Anima deve attraversare per ricongiungersi all'eterna, universale anima da cui è scaturita «come una stilla rampolla da fonte» (Bonaventura). Di qui il progressivo smemoramento, la sospensione del tempo e l'estatico gioco di pause e silenzi cui quest'arte anela; tutti caratteri che in certi inni del Codex si tramutano in spezzature del testo, ricapitolazioni dell'immagine iniziale. La situazione si presenta soprattutto alla fine dei testi più mistici, 'notturni', del ciclo mariano. La nostra ballata ne è un esempio illuminante.
4) La Chanson. È il corrispettivo 'mondano' dell'aria di corte, secondo quella contrapposizione tra 'cultura dei Troviéres' e 'cultura dei Jongleurs' che permea di sé le corti provenzali. In una serie di tre strofe, tutte costruite sullo stesso motivo, e due ritornelli, il Giullare imita volta per volta i 'tropi gregoriani', gli sdilinquimenti delle liriche cortigiane ed i dotti Sirventesi accademici, in un gioco la cui stupefacente capacità di condensare in pochi tratti i caratteri essenziali dei vari stili fu la premessa a quella fusione tra gli stessi dalla cui fecondità il Codex di Montserrat trasse la propria stessa ragione di essere.
5) Le Danze Paesane. Si tratta del territorio ancora meno noto della poesia per musica medioevale, i cui tratti, però, in questo caso, sono ricostruibili semplicemente seguendo sulle carte del tempo gli itinerari della via per Montserrat. I pellegrini, infatti, in segno di omaggio verso le culture che attraversavano, adattavano le melodie degli inni volta per volta ai ritmi delle feste date in loro onore nelle varie regioni da loro percorse, fossero l'Estampie, una solenne scansione processionale, la Galliarda, un ritmo indiavolato in cerchio, il Passamezzo, un provenzale andamento di rondello con ripresa, o la Pavana, misurata su di un 'tropo' gregoriano sempre uguale, guidati dalla cui ipnotica fissità i viandanti entravano in territorio catalano. Sulla conoscenza di questa civiltà nelle sue più riposte varianti si basava ogni arrangiamento metrico attraverso cui i poeti-musicisti di allora, volta per volta, a seconda delle disponibilità del momento, improvvisavano i 'controcanti' - spesso vivaci e fioriti a dismisura - alla ripetitiva solennità degli inni.

I LIMITI DEL TERRITORIO

La difficoltà maggiore, per il traduttore di questa ballata in Catalano antico, sta, dunque, nella 'visione di sguincio' che la sua resa comporta. Si tratta di alludere a tutta questa variegata civiltà senza sussumere nessuno dei suoi codici, in quanto tutti vengono rivissuti per allusioni, parodie e riferimenti incrociati. Nella nostra traduzione, abbiamo inteso frangere il verso, a suggerire un andamento sotteso di rondello, senza però realizzarne gli accenti tonici, in quanto la fruizione del testo in assenza di musica esclude la trasposizione di strategie di questo tipo. Nel lessico, si è aderito alla koiné religiosa comune alla nostra cultura: i Salmi in traduzione moderna. Va detto, infine, che la proposta di un testo simile ha l'intento di definire i limiti del territorio perlustrabile da un traduttore moderno. In questo caso, infatti, ciò che rimane della ballata, la 'nuda parola', è poco più di una vestigia archeologica.


 



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