17 - Doppiaggio
«Poiché il latino mi riusciva facile, mi abituai con lui a una sorta di doppia esistenza. Con le orecchie seguivo le sue lezioni, così che, se mi chiamava, ero sempre in grado di rispondere a tono. Con gli occhi invece leggevo un volumetto che tenevo aperto sotto il banco»1.
Uno dei tipi di testo tradotto che più si avvicina al polo dell’oralità è quello dei film doppiati, dove per «doppiaggio» si intende la tecnica di postsincronizzazione consistente nella cancellazione della voce originale dell’attore che pronuncia il proprio testo nel corso delle riprese e della sua sostituzione con un’altra registrazione.
Esistono vari tipi di doppiaggio. Il doppiaggio autoriale è quello in cui il regista stesso decide di far doppiare la voce dei propri attori, sia con la voce degli stessi attori, sia con la voce di doppiatori. Tale tipo di doppiaggio, che solitamente avviene nella stessa lingua, è una forma di autotraduzione intralinguistica e merita una trattazione diversa a sé stante, poiché fa parte della creazione originaria. Il regista decide di pubblicare il proprio film con le voci doppiate, perciò lo spettatore e il critico possono poi giudicare il testo complessivo, ma sanno che comunque l’intenzione dell’autore coincide con il risultato a cui assistono.
Uno dei motivi per cui un regista può decidere di far doppiare le battute di un certo personaggio può consistere nel desiderio di attribuire al personaggio una determinata voce, diversa da quella dell’attore prescelto. Il timbro della voce, la sua intensità, la pronuncia, le inflessioni, le pause, i sussurri sono tutte caratteristiche che concorrono a formare la poetica del personaggio filmico, perciò ha un senso preciso che il regista voglia e possa prendere decisioni in merito, allo stesso modo in cui può prendere parte alle decisioni riguardanti il trucco, l’abbigliamento, il casting.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il doppiaggio è un processo a cui il regista e gli autori del film sono estranei, e che è motivato dal desiderio di proporre una traduzione interlinguistica dei dialoghi per rendere più facile la fruizione dell’opera in paesi di culture e lingue diverse da quelle originali. I committenti del doppiaggio non sono i registi ma i distributori, che operano scelte di questo genere nell’àmbito delle scelte generali di marketing o commercializzazione del prodotto film.
Dovendo proporre un film a una cultura nella quale la lingua parlata nel film è sconosciuta alla maggior parte delle persone, il distributore ha a sua disposizione due tecniche alternative una all’altra: il doppiaggio e il sottotitolaggio. In alcuni paesi (Italia, Germania, Spagna, Francia) prevale la tradizione del doppiaggio, mentre in altri (paesi scandinavi, Paesi Bassi, Svizzera, paesi slavi) è preferito di solito il sottotitolaggio. Generalmente i distributori preferiscono non provare a modificare le abitudini fruitive del pubblico dei vari paesi, ma piuttosto assecondarle. Perciò, grazie a questa inerzia indotta da considerazioni commerciali di breve periodo, si continua a doppiare nei paesi dove si è doppiato in passato, e dove lo si è fatto spesso per precisi motivi storici. In Italia, per esempio, il doppiaggio è nato durante il ventennio fascista, nel quale il regime voleva controllare e ridurre al minimo le influenze culturali dall’estero. In questo periodo si giunse al punto di italianizzare toponimi tradizionalmente non italiani, come per rimuovere tracce culturali scomode, facendo diventare, per esempio, Courmayeur «Cortemaggiore». In Spagna un simile atteggiamento a favore del doppiaggio si ebbe sotto la dittatura fascista di Francisco Franco: i pochi film stranieri ammessi nelle sale spagnole erano doppiati allo scopo, sostiene Ballester, di rendere minima l’influenza straniera (1995: 175-177).
In effetti il doppiaggio è una tecnica traduttiva che ha lo scopo di occultare la natura del testo come testo tradotto. Come dice Munday, «ha lo scopo di dare l’impressione che gli attori che il pubblico vede in realtà stiano parlando nella lingua della cultura ricevente»2. Il doppiaggio, quando è considerato ben fatto, riesce a coordinare i movimenti labiali dell’attore con i suoni emessi dal doppiatore, soprattutto quelli che hanno attinenza con le labbra.
Il doppiaggio di buona qualità ha insomma lo scopo di far passare la recitazione dell’attore come recitazione svolta direttamente nella lingua ricevente. In altre parole, scopo del doppiaggio interlinguistico è negare la natura tradotta del testo filmico.
Secondo Goris (1993: 170), tra gli svantaggi del doppiaggio c’è anche la perdita di autenticità poiché un numero molto elevato di attori di varie nazionalità assume, nella cultura ricevente, le caratteristiche timbriche e recitative di un numero piuttosto ristretto di doppiatori. Il fatto che, in una certa cultura, la recitazione di un attore venga recepita nella forma della recitazione di un altro attore, che non ha avuto mandato dal primo attore né dal regista di rappresentarlo, è di per sé un fatto quantomeno curioso e si presenta come un arbitrio (soprattutto da parte dei distributori). Il fatto poi che dieci o cinquanta attori in una certa cultura vengano presentati come aventi la stessa voce è un ulteriore elemento di confusione e di manipolazione del testo, manipolazione che tra l’altro avviene senza che il pubblico ne sia minimamente a conoscenza.
Non posso pertanto condividere nemmeno un po’ l’affermazione di Baker e Hochel secondo cui
un film o un programma doppiato è sempre manifestamente presentato e percepito come traduzione3.
In effetti, tale considerazione si basa su un presupposto erroneo: quello che il movimento delle labbra tradisca sempre la natura falsa del doppiaggio:
in un film doppiato siamo costantemente consapevoli grazie alle immagini e ai movimenti della bocca che non corrispondono [ai suoni] della presenza di una cultura e di una lingua straniera4.
Sarebbe come dire che il doppiaggio non dà l’illusione che il film è locale, ma solo a patto che sia fatto male, e quando quindi i movimenti labiali non sono coordinati ai suoni del testo tradotto. Portando alle estreme conseguenze l’argomentazione di Peter Fawcett, se ne dovrebbe inferire che il doppiaggio è innocuo sul piano della falsificazione culturale, purché sia fatto male e quindi denunci apertamente la sua natura di imitazione (intesa in contrapposizione a originale) malriuscita. Ma non credo che Fawcett abbia intenzione di sostenere che il doppiaggio vada fatto tecnicamente male per essere accettabile.
Nella prossima unità continueremo il discorso sul doppiaggio vedendo in che modo si differenzia a seconda del tipo di testo.
Riferimenti Bibliografici
BAKER MONA e HOCHEL BRAŇO Dubbing, in Routledge Encyclopedia of Translation Studies a cura di Mona Baker, London, Routledge, 1998, ISBN 0-415-09380-5, p. 74-76.
BALLESTER ANA The Politics of Dubbing. Spain: A Case Study, in Translation and the Manipulation of Discourse: Selected Papers of the CERA Research Seminars in Translation Studies 1992-1993, Leuven, CETRA, p. 159-181.
CANETTI ELIAS Die gerettete Zunge. - Die Fackel im Ohr. - Das Augenspiel, München, Carl Hanser Verlag, 1995, ISBN 3-446-18062-1.
CANETTI ELIAS La lingua salvata. Storia di una giovinezza, traduzione di Amina Pandolfi e Renata Colorni, Milano, Adelphi, 1980, ISBN 88-459-0417-2.
FAWCETT PETER Transating Film, in On Translating Frenc Literature and Film, a cura di Geoffrey T. Harris, Amsterdam, Rodopi, 1996, p. 65-88.
SHUTTLEWORTH MARK e COWIE MOIRA, Dictionary of Translation Studies, Manchester, St. Jerome, 1997, ISBN 1-900650-03-7.
1 Canetti 1980: 319.
2 Shuttleworth e Cowie 1997: 45.
3 Baker e Hochel 1998: 76.
4 Fawcett 1966: 76.