Logos Multilingual Portal

3 - Influenze dirette e indirette della protolingua

«Tutti gli eventi di quei miei primi anni si svolsero dunque in sefardita o in bulgaro. In seguito mi si sono in gran parte tradotti in tedesco»1.

 

Come nelle due unità precedenti, continuiamo a seguire il prezioso contributo di Levý alla ricreazione del metatesto. L’influenza del prototesto sul metatesto si fa sentire sempre nello stile del traduttore. Tale influenza può essere diretta o indiretta. L’influenza diretta può essere in positivo (ossia di presenza di elementi aggiuntivi) o in negativo (ossia di assenza di caratteri presenti nel prototesto); quella in positivo consiste nella presenza nel metatesto di costruzioni goffe (dal punto di vista della metacultura), prese in prestito dal prototesto; quella in negativo consiste nell’assenza nel metatesto di mezzi espressivi che mancano nella lingua del prototesto.

 

influenza del prototesto sul metatesto

diretta

 

indiretta

in positivo

in negativo

 

in negativo

goffaggini

assenza mezzi espressivi

 

assenza di costrutti tipici della lingua del prototesto

Invece, per quanto riguarda l’influenza indiretta della lingua del prototesto, la si riscontra constatando la frequenza con cui il traduttore si scosta dai costrutti stilistici tipici della lingua dell’originale che il traduttore interpreta come tratti grammaticali neutri. È un aspetto, quest’ultimo, cui ho accennato nell’unità 1.

Oltre a questi problemi che sono di derivazione diretta dall’anisomorfismo dei codici naturali, ve ne sono altri che derivano dal fatto che il pensiero – che viene attualizzato originariamente nella lingua del prototesto – è in qualche modo inscindibile dalla lingua in cui è stato attualizzato. È quello che argomenta anche Whorf, in un altro contesto, quando afferma:

Siamo così introdotti a un nuovo principio della relatività, che sostiene che tutti gli osservatori non sono guidati da una stessa evidenza fisica allo stesso quadro dell'universo, a meno che i loro retroterra linguistici non siano simili o possano essere in qualche modo calibrati2.

Il fatto di essere nati e cresciuti all’interno di una cultura linguistica finisce per fare sì che gli individui possiedano visioni del mondo diverse, il che in un certo senso contraddice la possibilità stessa della traduzione, a meno di non considerarla l’estensione di una nuove e diversa visione del mondo:

i fatti sono dissimili per parlanti cui il background linguistico intima una diversa formulazione dei fatti3.

In fondo, un bravo traduttore forse è questo che fa: dà una versione nella metacultura della visione del mondo espressa dal prototesto relativamente alla protocultura. Ma affermare questo crea seri rischi di estensione arbitraria delle capacità interpretative e ricreative del traduttore. Fino a che punto alla creatività del traduttore è lecito reinterpretare il prototesto, e quando succede, invece, che la personalità del traduttore prende il sopravvento sulla cultura espressa dal testo?

A questa situazione di fondo, nell’opinione di Levý, si riconduce la molteplicità delle decisioni che, non solo in pratica ma anche in teoria, il traduttore è costretto a prendere4. Il traduttore

deve restituire al discorso la sua capacità di ampliamento, scoprire il cammino della produttività linguistica. In un’epoca di predominio degli stereotipi linguistici non si tratta di un’operazione inutile.

Mentre l’opera originale nasce dalla lingua nazionale e si completa con la lingua stessa, in traduzione la creatività linguistica è un fenomeno eccezionale, non rientra come elemento inscindibile nel processo creativo, ma è chiamato in causa solo da situazioni linguistiche accidentali5.

In altre parole, a prima vista il processo traduttivo non implica in modo sostanziale una creatività linguistica, ma più che altro un’abilità tecnica che si basa su un testo già frutto di creatività linguistica. Questa visione della traduzione è contrastata da Levý, perché, sostiene lo studioso ceco, è foriera di appiattimenti stilistici e, di conseguenza, anche di contenuto.

In questo senso Levý non vede di buon occhio i procedimenti automatici che il traduttore esperto attua quasi senza rendersene conto. Ritornando alla triade peirceiana di instinct, experience e habit, Levý mette in guardia dal habit, dall’abitudine, che consiste in un insieme di soluzioni stereotipate, di cliché traduttivi che finiscono per trasformare gli elementi tipici di un (proto) testo in elementi tipici di un (meta) repertorio. Come dice Toury,

in traduzione, i testemi del prototesto tendono a essere convertiti in repertoremi della lingua ricevente (o della cultura ricevente)6.

Per superare le grandi differenze esistenti tra i sistemi espressivi delle due lingue, i traduttori hanno dei cliché preconfezionati, delle costruzioni che portano addosso l’impronta dello sforzo che è costato elaborarli. Secondo Levý addirittura è possibile stabilire a prima vista che un testo è stato tradotto dall’enorme quantità di costrutti che, per quanto corretti sul piano grammaticale e stilistico, risultano però un poco artificiosi.

Le decisioni stereotipate – risultato di un approccio non creativo all’arte – sono tipiche in forma analoga anche di un’altra arte che ha a che fare con la ricreazione: la recitazione7.

Questo parallelo tra arti "riproduttive", come le chiama Levý, richiama alla mente un parallelo simile tracciato da Luigi Pirandello nel saggio «Illustratori, attori e traduttori», del 1908. Come si evince dal titolo stesso del saggio, Pirandello aveva intuìto le straordinarie affinità che esistono tra questi processi che io chiamerei «traduttivi», e che Pirandello stesso non esitava a chiamare «traduzioni»:

Illustratori,attori e traduttori si trovano difatti, a ben considerare, nella medesima condizione di fronte all’estimativa estetica. Tutti e tre hanno davanti a sé un’opera d’arte già espressa, cioè già concepita ed eseguita da altri, che l’uno deve tradurre in un’altra arte; il secondo, in azione materiale; il terzo, in un’altra lingua. Come saranno possibili queste traduzioni?8

 

 

Riferimenti Bibliografici

CANETTI ELIAS Die gerettete Zunge. - Die Fackel im Ohr. - Das Augenspiel, München, Carl Hanser Verlag, 1995, ISBN 3-446-18062-1.

CANETTI ELIAS La lingua salvata. Storia di una giovinezza, traduzione di Amina Pandolfi e Renata Colorni, Milano, Adelphi, 1980, ISBN 88-459-0417-2.

LEVÝ JIŘÍ, Umení překladu, Praha, Československý spisovatel, 1963. Traduzione in russo a cura di Vladìmir Rossel´s, Iskusstvo perevoda, Moskvà, Progress, 1974.

PIRANDELLO L., Illustratori, attori e traduttori (1908), in Saggi, a cura di Manlio Lo Vecchio Musti, Milano, Mondadori, 1939, p. 227-246.

TOURY G., Descriptive Translation Studies and Beyond, Amsterdam, Benjamins, 1995, ISBN 90-272-1606-1

WHORF B. L., Language, Thought, and Reality. Selected Writings, a cura di John B. Carroll, prefazione di Stuart Chase, Cambridge (Massachusetts), Massachusetts Institute of Technology, 1956. Trad. it.: Linguaggio, pensiero e realtà, Torino, Boringhieri, 1970.


1 Canetti 1980: 22.
2 Whorf 1956: 214.
3 Whorf 1956: 235.
4 Levý 1963: 84.
5 Levý 1963: 84.
6 Toury 1995: 268.
7 Levý 1963: 84.
8 Pirandello 1908: 238.