Nella traduzione intersemiotica, come in generale in qualsiasi tipo di
traduzione, anziché fingere che sia possibile tradurre/comunicare
tutto, negando l'evidenza, è opportuno tenerne conto fin
dall'inizio e, di conseguenza, impostare una strategia traduttiva che
razionalmente consenta di decidere quali "parti", quali componenti del
testo sono le più caratterizzanti, e quali invece possono essere
sacrificate in nome della traducibilità di un'altra parte del testo. Come
afferma Clüver, è inevitabile che una traduzione non sia equivalente
all'originale, e che contenga, nel contempo, di più e di meno
dell'originale.
Any translation will inevitably offer both less and more than the source
text. A translator's success will depend [...] also on the decisions made as to
what may be sacrificed [...]i.
In sostanza, il discorso di Clüver è affine al discorso sulla
dominante che abbiamo già affrontato, in particolare nell'unità
19. L'insieme delle decisioni che un traduttore deve prendere prima di
affrontare un testo riguarda l'individuazione della dominante del testo, non
solo in senso intrinseco, ma anche in funzione del contesto culturale in cui si
situa l'originale nella cultura in cui è nato, e del contesto culturale
verso cui si proietta il progetto traduttivo nella cultura ricevente.
Quando si compie la traduzione di un testo in un altro testo, tale insieme di
decisioni può risultare non del tutto evidente al lettore della
traduzione (se, per esempio, manca una postfazione del traduttore o un'altra
forma di metatesto o apparato critico che dia conto delle scelte compiute). In
certi casi, nemmeno il traduttore è consapevole delle proprie scelte,
perché le ha compiute in modo irrazionale: ha affrontato la traduzione,
se mi si passa il termine, con incoscienza. In questo caso la sua strategia
traduttiva è affidata al caso.
Uno dei motivi per cui tale attività può sfuggire al controllo
razionale è che, comunque, tanto all'inizio che alla fine del processo
traduttivo si ha un testo. Se non se ne analizzano le differenze in modo
approfondito, può sfuggire cosa è andato perduto nel passaggio.
Aspetti denotativi, connotativi, immagini, suoni, ritmi, strutture sintattiche,
coesione lessicale, riferimenti intratestuali, intertestuali e così via:
alcune di queste componenti possono non ritrovarsi nel testo tradotto senza che
questo salti subito all'occhio.
Quando invece nella traduzione intertestuale uno dei due testi non è
verbale, la scelta delle parti da tradurre e di quelle da sacrificare è
ben più evidente. Il traduttore intersemiotico è infatti
costretto, volente o nolente, a dividere il testo originale in parti (non
importa in che modo: denotazione/connotazione, espressione/contenuto,
dialoghi/descrizioni, rimandi intertestuali/intratestuali ecc.) e a smontare
l'originale in queste parti, trovare per ciascuna un traducente, e rimontarle
ricreando la coerenza e la coesione che, come abbiamo appena detto, sono
l'essenza di un testo.
Prendiamo l'esempio della traduzione filmica. Su questo si è
pronunciato in modo interessante Torop:
La differenza fondamentale tra film e opera letteraria sta nel fatto che la
letteratura viene fissata sotto forma di parola scritta, quando invece nel film
l'immagine (rappresentazione) è sostenuta dal suono, sotto forma di
musica o di paroleii.
La differenza messa in evidenza da Torop è quella tra parola scritta e
parola pronunciata. Nel film è difficile trovare posto per la prima,
mentre è assai possibile che vi sia spazio per il dialogo. Una
composizione filmica può essere scomposta in diversi elementi: il dialogo
tra i personaggi, l'ambientazione naturale, le eventuali voci fuori campo, la
colonna sonora, il montaggio, l'inquadratura, la luce, il colore, il piano, lo
scorcio, nel caso della voce umana anche il timbro e l'intonazione, la
composizione del fotogramma. Per realizzare la traduzione filmica di un testo
verbale, è inevitabile compiere un'operazione razionale di suddivisione
dell'originale per decidere a quali elementi della composizione filmica affidare
la traduzione di taluni elementi stilistici o narratologici dell'originale.
Facciamo alcuni esempi. Supponiamo di avere a che fare con la traduzione
filmica di un romanzo. L'autore della sceneggiatura può decidere di
prendere i dialoghi dell'originale testuale e riportarli tali quali nel film
sotto forma di dialoghi. È la scelta compiuta, per esempio, nella quasi
totalità dei casi, per la versione filmica di Pride and Prejudice
realizzata da Nick Dear per la BBCiii.
Esistono però altri aspetti dell'originale che possono essere resi in
vario modo. Restando alla versione filmica di Austen, nel testo, quando
Elizabeth Bennet riceve una lettera, il narratore ovviamente la riporta. Nel
film, invece, si vede l'attrice Jennifer Ehle aprire la busta, leggere la
lettera, però una parte del testo lo si sente sotto forma di voce fuori
campo (dell'attrice stessa), mentre altre parti servono da sfondo sonoro per
scene successive (si ha, in sostanza una prolessi o flashforward delle
immagini rispetto al sonoro), e altre parti ancora vengono viste dal punto di
vista del mittente mentre le scrive, come nel caso di una lettera di Darcy, con
un rapido flashback, o analessi.
Altre parti della traduzione filmica necessariamente sono interpretate in
modo molto più libero. Solo per fare alcuni esempi citeremo: la musica
che accompagna i numerosi balli. In assenza di un'indicazione precisa
dell'autrice, lo sceneggiatore si è visto costretto a scegliere
arbitrariamente, all'interno del repertorio delle musiche ballate
nell'Inghilterra di fine Settecento-inizio Ottocento, quelle della colonna
sonora. E lo stile, il modo di raccontare di Jane Austen forse rappresenta un
residuo traduttivo.
Si è detto che la traduzione intersemiotica comporta una sorta di
scomposizione dell'originale in elementi e l'individuazione di componenti atte a
tradurre tali elementi nell'àmbito della coesione del testo tradotto.
Ciò vale anche per la traduzione testuale e intertestuale.
Più in generale si può dire quindi che tradurre è
un'operazione razionalizzante. Se nell'originale compaiono elementi ambigui o
polisemici, il traduttore deve innanzitutto leggerli, individuarli,
interpretarli e, razionalmente, cercare di tradurre il traducibile. Ciò
indurrebbe a pensare che in un testo tradotto fosse più facile discernere
i vari elementi dell'opera, vi fossero meno passi ambigui, la polisemia delle
parole si attenuasse.
Quando però il testo tradotto è in un codice extraletterario,
come nel caso della traduzione filmica, si riscontra il paradosso che in un film
è più complesso distinguere il piano dell'espressione dal piano
del contenuto; la serie delle immagini in movimento e dei suoni e delle parole
è più difficile da analizzare rispetto a un testo scritto. Per
questo motivo, in un film, come anche in poesia, si può manifestare in
modo più marcato un procedimento artistico basato su un principio
più irrazionale rispetto alla prosa scritta.
Ma allora la versione filmica di un romanzo è nel contempo
più razionale e meno razionale dell'originale? Nonostante
il prevalere intrinseco della componente irrazionale nel film, o nel quadro, o
in musica ossia nel prodotto del processo traduttivo ,
è evidente che il processo è comunque più razionale.
Quantomeno nella mente del "traduttore", è esplicito quale
traducente corrisponde a una certa componente.
Prendiamo il caso di Pierino e il lupo di Prokof´ev: in alcune
versioni per bambini, vi è addirittura una sorta di
"prefazione" nella quale si spiega a quale personaggio della fiaba
corrispondono determinati strumenti musicali, di modo che, una volta che
l'interprete ha compiuto la sua scelta, questa sia trasparente anche per il
fruitore. In questo caso i criteri traduttivi sono evidenti, è evidente
cosa è stato trasposto in musica e cosa era presente nella fiaba ed
è rimasto come residuo traduttivo.
Un ultimo aspetto della traduzione intersemiotica che vorremmo prendere in
considerazione è quello della traducibilità. Dato che il testo
originale e il testo tradotto, o metatesto, sono difficilmente raffrontabili con
parametri precisi, i concetti di «traducibilità» e
«adeguatezza» possono essere considerati solo in termini
convenzionali. Se già per la traduzione testuale vale il principio in
base a cui un originale può originare numerose traduzioni diverse ma
tutte potenzialmente adeguate, per la traduzione intersemiotica tale
potenzialità è ulteriormente amplificata, al punto che è
inconcepibile qualsiasi tentativo di ritradurre un testo nel linguaggio
originario sperando di ritrovare, come frutto di tale processo, il testo
originale. Come afferma Torop, è impossibile riconoscere il testo che sia
stato ritradotto all'inverso, poiché risulta un testo nuovoiv.
Bibliografia
AUSTEN J. Pride and Prejudice. Sceneggiatura di Nick Dear, London, BBC, 1995.
CLÜVER, C. On intersemiotic transposition. Poetics Today, vol. 10, n. 1, Tel Aviv, The Porter Institute for Poetics and Semiotics, 1989.
LOTMAN JU. Izbrannye stat´i v trëh tomah. vol. 1. Stat´i po semiotike i tipologii kul´tury. Tallinn, Aleksandra, 1992. ISBN 5-450-01551-8.
TOROP P. La traduzione totale. A c. di B. Osimo. Modena, Logos-Guaraldi, 2000. ISBN 88-8049-195-4. Ed. or. Total´nyj perevod.
Tartu, Tartu Ülikooli Kirjastus [Edizioni dell'Università di Tartu], 1995. ISBN 9985-56-122-8.
i Clüver 1989, p. 61.
indietro a i
ii Torop 2000, p. 300.
indietro a ii
iii Austen 1995.
indietro a iii
iv Lotman 1992, p. 35-36. Torop 200, p. 135.
indietro a iv
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