"Stai leggendo o fantasticando?
Tanta suggestione hanno dunque su di te
le affabulazioni d'un grafomane?"1.
Il significato di una parola è dunque il suo uso nel linguaggio.
In sostanza, a proposito di una parola, si possono ricavare alcune informazioni
consultando dizionari o testi di grammatica, libri contenenti norme e indicazioni.
Ma non il significato, o perlomeno non tutto il significato, che è racchiuso nell'uso
(Gebrauch) della parola.
Questo significa che, secondo Wittgenstein, il significato di una parola
non è soltanto verbale, linguistico, ha anche alcune componenti aggiunte che si
manifestano nell'applicazione pratica, nell'uso. Una parte del significato di una
parola sta nel significato che riesce a produrre in combinazione con altre parole,
all'interno di un testo. Il significato di una parola in un testo va visto in una
concezione sistemica, in cui il sistema testo contiene varie parole in interazione
reciproca, il cui significato è in parte determinato dal loro valore attestato nel
codice, nel dizionario, e in parte determinato dalle interazioni con gli altri elementi
del testo.
A sua volta, il testo ha un senso suo, e ha un senso come elemento di un
sistema macrotestuale di cui fa parte, e così via fino a giungere al livello della
semiosfera.
L'uso della parola è inoltre una scelta soggettiva con risvolti psichici.
La scelta delle parole da parte di un parlante - scelta che è sempre possibile tra
innumerevoli forme in cui si può esprimere uno stesso pensiero - è indice di un contenuto
profondo e, a volte, legato ad associazioni inconsce, oppure ad associazioni consapevoli
ma idiomorfiche, tipiche di un certo individuo e non sempre condivisibili o spiegabili.
Wittgenstein parla della modulazione della voce che pronuncia le parole, e
delle espressioni facciali che accompagnano l'attività di parlare, come di sentimenti
con i quali pronunciamo la frase2. Saussure considerava il discorso un atto lineare, nel
senso che ogni espressione si succede all'altra, non vi è mai espressione contemporanea
di più elementi. Ma esistono, come eccezione a questa regola, i "tratti soprasegmentali",
ossia appunto tutte le modalità espressive che accompagnano l'atto linguistico. La
dimensione soprasegmentale suggerita da Wittgenstein aggiunge uno spessore affettivo
alla parola, simile a quello che acquisisce mediante la co-testualizzazione e tutti i
tipi di marcatezza del discorso, compresa la ripetizione.
(La ripetizione - classico artificio espressivo cassato dalle regole del
"bello scrivere" e del "buon tradurre" non meglio identificati, o forse identificabili
unicamente con un tentativo di standardizzare, omogeneizzare le modalità espressive, la
creatività testuale - è un modo per fare risuonare diversamente il senso di una parola
e di un testo. La corsa al "sinonimo" per evitare la ripetizione - tanto nella traduzione
interlinguistica quanto nella traduzione intersemiotica dal mentale al verbale, ossia
nella scrittura e nell'espressione verbale orale, è anche una fuga dal senso, inteso
in questa accezione più ampia e profonda.)
Wittgenstein vede la comunicazione come un lavoro di traduzione
intersemiotica tra immagini mentali e affetti e parole. È un'attività traduttiva, del
pari di quella interlinguistica, caratterizzata da anisomorfismo, ossia dall'assenza di
una corrispondenza reciproca biunivoca. Un sentimento tradotto in parole e poi ritradotto
in sentimento (una ritraduzione o back translation, in un certo senso) non porta a
ottenere lo stesso "prototesto" (sentimento) da cui si è partiti. Questo è uno dei
motivi per cui la semiosi può essere considerata illimitata.
Immaginiamo una tabella, qualcosa come un dizionario, che esiste
soltanto nella nostra immaginazione. Un dizionario può essere usato
per giustificare la traduzione di una parola X con una parola Y. Ma
dobbiamo chiamarla giustificazione anche se questa tabella viene
consultata soltanto nell'immaginazione? 3.
|
Tale giustificazione può essere soltanto individuale, soggettiva.
In altre parole, è possibile che la consultazione di un "dizionario mentale" dia luogo
a interpretanti corretti (anche perché sarebbe molto problematico concepire un
interpretante non corretto) ma gli interpretanti, per definizione, sono soggettivi e non
completamente condivisibili, non completamente traducibili in segni. In un altro passo
delle Indagini filosofiche, Wittgenstein, dopo avere citato i ricordi d'infanzia di un
certo Ballard, commenta:
Sei sicuro che questa sia la traduzione corretta del tuo pensiero
senza parole in parole? - verrebbe voglia di chiedere [...] Questi
ricordi sono uno strano fenomeno di memoria, e io non so che conclusioni
se ne possa trarre sul passato della persona che li racconta!4.
|
Ma questo importa fino a un certo punto a chi sta cercando di
analizzare non la biografia di qualcuno, ma il funzionamento della comprensione del testo.
Non è in discussione la corrispondenza di un testo con una non meglio precisata "realtà",
ma il funzionamento di un codice idiomorfico interno costituito da interpretanti e la sua
possibilità di traduzione in parole. Non solo: ma Wittgenstein ipotizza l'esistenza di
una forma di pensiero più primitiva e profonda in rapporto dialettico con il pensiero
traducibile in parole.
[...] così spesso pensiamo come se il nostro pensiero fosse fondato
su uno schema di pensiero: come se stessimo traducendo da una modalità
di pensiero più primitiva nella nostra5.
|
L'espressione dei nostri pensieri, la loro traduzione intersemiotica
in parole, corrisponde a un codice soggettivo che ha però variazioni nel tempo e nello
spazio. Certi modi di esprimerci sono diversi da quelli usati in altri momenti o
situazioni:
Dicendo "Quando ho sentito questa parola, per me voleva dire...", uno
fa riferimento a un punto del tempo e a un modo di usare la parola.
[...] E l'espressione "Allora stavo per dire..." fa riferimento a un
punto del tempo e a un'azione. Parlo dei riferimenti essenziali
dell'enunciato per distinguerli da altre peculiarità dell'espressione
che usiamo. I riferimenti essenziali per un enunciato sono quelli che ci
farebbero tradurre una forma di espressione altrimenti estranea in
questa, la nostra forma consueta .6.
|
Evidentemente queste definizioni del significato mentale in Wittgenstein si attagliano
bene al concetto di "interpretante" in Peirce e ci permettono di proseguire nella nostra
panoramica della lettura e della percezione del testo con la consapevolezza che - al
di là della differenza terminologica tra Wittgenstein e Peirce - possiamo fare affidamento
su alcuni concetti comuni che, fino alla prossima falsificazione, possiamo prendere per
buoni.
Riferimenti Bibliografici
CALVINO I. Se una notte d'inverno un viaggiatore, Torino, Einaudi, 1979.
GORLÉE D. L.Semiotics and the Problem of Translation. With Special Reference
to the Semiotics of Charles S. Peirce. Amsterdam, Rodopi, 1994. ISBN 90-5183-642-2.
TOROP P.La traduzione totale - Total´nyj perevod, a cura di Bruno Osimo, Modena, Guaraldi Logos, 2000. ISBN88-8049-195-4.
WITTGENSTEIN L. The Blue and Brown Books, a cura di Rush Rees, Oxford, Blackwell, 1958.
WITTGENSTEIN L. Philosophische Untersuchungen Philosophical Investigations, tradotto da G. E. M. Anscombe, seconda edizione, Oxford, Blackwell, 1958. ISBN 0-631-20569-1.
1