«Ti sforzi di leggere cosa c'è scritto sul dorso
delle rilegature, per quanto sappia che è inutile perché
è una scrittura per te indecifrabile»1.
Il termine «traduzione» è stato usato spesso da Peirce, che
vi ha fatto ricorso riferendosi non alla traduzione interlinguistica, ma
all'estrapolazione del significato dalle cose. Quando diciamo che per Peirce
l'«interpretante» (o «segno interpretante») è quel segno mentale, quel
pensiero, quella rappresentazione, che serve da mediazione tra segno e oggetto,
usiamo il termine coniato da Peirce, «interpretant». Certe volte càpita
che gli studenti alle prese con il pensiero di Peirce facciano confusione tra
il concetto di «interpretante» e quello di «interprete»: quest'ultimo termine
si riferisce a una persona, a colui che interpreta, a un essere umano che sta
compiendo un atto semiotico. Il primo invece si riferisce a un segno mentale.
È, per così dire, la traduzione mentale di un oggetto, una sorta di chiave
individuale per la percezione di una parola o un oggetto.
Ogni cosa può essere compresa o più rigorosamente tradotta
da qualcosa: ossia ha qualcosa capace di una tale determinazione da
stare per qualcosa attraverso questa cosa; un po' come il grano di
polline di un fiore sta all'ovulo che penetra per la pianta da cui è
venuto poiché trasmette le peculiarità di quest'ultima. All'incirca
nello stesso senso, anche se non nella stessa misura, ogni cosa è un
medium tra qualcosa e qualcosa2.
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Il modo di esprimersi di Peirce non brilla per chiarezza, e forse questa è una
delle ragioni per cui il suo pensiero, a quasi un secolo dalla morte, è ancora
studiato relativamente poco. A noi qui interessa soprattutto notare che la
rappresentazione mentale di qualcosa (nella similitudine di Peirce, la
rappresentazione del grano di polline per la pianta) è una sorta di
traduzione mentale. In altre parole, l'interpretante è anche un
"traducente" e, secondo alcuni studiosi, potrebbe legittimamente chiamarsi
indifferentemente nell'uno o nell'altro modo.
Per ripetere il concetto nei nostri termini di approccio globale
alla traduzione, la percezione di qualcosa (oggetto o segno) traduce la
cosa percepita in una rappresentazione mentale, o interpretante. Ogni
successiva percezione/traduzione/interpretazione è un ri-conoscimento, ed è
quindi nuova interpretazione e precisazione della rappresentazione iniziale.
Siamo capaci di capire rappresentazioni solo avendo concezioni o
rappresentazioni mentali, che rappresentano la data rappresentazione
come rappresentazione3.
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Una rappresentazione mentale (interpretante) è tale solo a condizione che
implichi anche la consapevolezza di essere una rappresentazione. Esiste quindi
un livello di rappresentazione e un livello di metarappresentazione, ossia un
livello di segno e un livello di metasegno. Il significato si costruisce per
mezzo di un processo di ricerca della verità, progressivamente meno incerto4,
che va dalla percezione alla concezione alla metaconcezione:
Consideriamo quali effetti, che possono concepibilmente avere conseguenze
pratiche, noi concepiamo che possa avere l'oggetto della nostra concezione.
La nostra concezione di questi effetti è, allora, l'intera nostra concezione
dell'oggetto5.
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Quando leggiamo, ogni parola evoca in noi una serie di associazioni, con una
rapidità tale che spesso non ce ne rendiamo conto. Questo processo traduce i
segni letti in interpretant o, se si preferisce, in translatant6,
e si tratta di una traduzione intersemiotica dal verbale al mentale. In questo
modo progredisce e si evolve il pensiero umano, mediante una serie di
traduzioni. Finché tale evoluzione avviene all'interno di un individuo, le
traduzioni hanno segni interpretanti sia come prototesto che come metatesto,
e sono quindi traduzioni intralinguistiche (intendendo per «linguaggio», nel
caso specifico, il linguaggio mentale dell'individuo in questione, il suo
"codice macchina", per usare una metafora informatica). Quando l'evoluzione
del pensiero passa da un individuo all'altro, è necessario che gli
interpretanti vengano tradotti in parole (e in questo modo comunicati
all'esterno dell'individuo) e che poi i singoli riceventi li ritraducano in
segni interpretanti. Avviene una doppia traduzione intersemiotica.
Ma un segno non è un segno a meno che non si traduca in un altro segno
in cui è più pienamente sviluppato. Il pensiero per il proprio sviluppo ha
bisogno di realizzarsi, e senza questo sviluppo non è nulla. Il pensiero deve
vivere e crescere in incessanti traduzioni nuove e più alte, altrimenti
dimostra di non essere vero pensiero7.
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Ognuna di queste traduzioni del pensiero è più alta, e non è dunque una
traduzione per così dire "fedele", ma un arricchimento del segno precedente.
Un segno è un corpo, la cui interpretazione è l'anima. Ogni segno deve avere
un interpretante, altrimenti non è segno.
Un segno deve avere un'interpretazione o significazione o, come lo chiamo io,
un interpretante. Questo interpretante, questa significazione è semplicemente
una metempsicosi in un altro corpo; una traduzione in un altro linguaggio.
Questa nuova versione del pensiero ha ricevuto a sua volta un'interpretazione,
e il suo interpretante viene interpretato, e così via, finché non compare un
interpretante che non ha più la natura del segno8.
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La traduzione - quello stesso processo che caratterizza la lettura e, in fasi
successive, l'evoluzione del materiale letto - è un anello fondamentale della
semiosi, o traduzione di segni. Alcuni sostengono che la semiosi sia illimitata.
Peirce afferma invece che il fine ultimo della traduzione è rivelare il
significato ultimo del segno9. Dato che però non si dice se e come sia
possibile arrivare a tale significato "definitivo", lasciando supporre al
contrario che ci sia sempre spazio per un'ulteriore traduzione-interpretazione-lettura,
l'affermazione di Peirce si presta a essere interpretata anche come un modo
contorto per dire che la semiosi, la lettura, la traduzione non hanno mai fine,
che è sempre possibile arricchire un'interpretazione di nuovi elementi.
Riferimenti Bibliografici
CALVINO I. Se una notte d'inverno un viaggiatore, Torino, Einaudi,
1979.
GORLÉE D. L. Semiotics and the Problem of Translation. With Special
Reference to the Semiotics of Charles S. Peirce. Amsterdam, Rodopi, 1994.
ISBN 90-5183-642-2.
PEIRCE C. S. Collected Papers of Charles Sanders Peirce, a cura di
Charles Hartshorne, Paul Weiss e Arthur W. Burks, 8 vol., Cambridge
(Massachusetts), Belknap, 1931-1966.
PEIRCE C. S. Writings of Charles S. Peirce: A Chronological Edition, a
cura di Max Fisch, Edward C. Moore, Christian J. W. Kloesel et al, Bloomington
(Indiana), Indiana University Press, 1982.
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