«[...] las palabras que nos sustituyen y a veces alguien recuerda o transmite, no siempre confesando su procedencia1.
"[...] the words that replace us and that someone occasionally remembers or passes on, not always confessing to their provenance [...]"2.
Nelle ultime due unità abbiamo visto quali possono essere alcune accezioni o applicazioni del concetto di «equivalenza» nella semiotica peirceiana. Ne abbiamo tratto un concetto molto contingente e relativo. Ma per quanto riguarda la traduzione, il principale studioso che si è storicamente applicato alla questione dell'equivalenza è J. C. Catford che nel 1965 ha pubblicato il classico A linguistic theory of translation. An essay in applied linguistics, a cui si è a lungo fatto riferimento nel settore. A questo testo fanno capo l'identificazione della traduttologia (che come si vede dalla citazione seguente non si chiamava così) con una suddivisione della linguistica comparativa:
La teoria della traduzione si occupa di un certo tipo di relazione tra lingue ed è di conseguenza un ramo della Linguistica Comparativa3.
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L'aspetto che ora chiamiamo «cronotopico» della traduzione viene stroncato alla base, poiché le coordinate spaziotemporali sono eliminate a priori dal campo d'indagine:
Dal punto di vista della teoria della traduzione, la distinzione tra confronto sincronico e diacronico è irrilevante. Possono essere configurate equivalenze traduttive, ed eseguire traduzioni, tra qualsiasi coppia di lingue o dialetti, della stessa famiglia o di famiglie [linguistiche] diverse e con qualsiasi tipo di relazione spaziale, temporale, sociale o di altro tipo4.
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Il concetto di «equivalenza» è fondamentale per la traduzione, poiché entra a far parte della sua stessa definizione:
«Traduzione» può essere definito come segue: «la sostituzione di materiale testuale di una lingua (source language) con materiale testuale equivalente in un'altra lingua (target language)»5.
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E a mio parere il problema principale dell'intera teoria di Catford è questo inseguire il concetto di equivalenza per poterci basare tutti gli altri. Chi segue questo corso ha già incontrato molte volte il concetto di «traduzione totale» come parte della teoria di Peeter Torop, ma non ho fatto cenno finora alla preistoria della locuzione «traduzione totale», che sta proprio in questo saggio di Catford, precedente di trent'anni. Qui il concetto di traduzione totale è contrapposto a quello di traduzione limitata (restricted translation), che è la sostituzione di materiale testuale nella source language con materiale testuale della target language a un solo livello, ossia solo a livello grafologico o solo a livello fonologico. La definizione di traduzione totale è invece:
sostituzione di grammatica e lessico della source language con grammatica e lessico equivalenti della target language con conseguente sostituzione di fonologia/grafologia della source language con (non equivalente) fonologia/grafologia della target language6.
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Il concetto recente di «traduzione totale», come si evince, non accoglie molto della definizione di Catford. Più che altro, si accoglie il concetto di totalità, che però viene applicato a componenti testuali completamente diverse nell'ottica semiotica.
Lo scopo della traduzione totale di Catford consiste nel reperimento di "equivalenti testuali" e nella loro sostituzione. Ecco la definizione che ne è data:
Equivalente testuale è qualsiasi testo o porzione di testo nella target language che in una particolare occasione, con i metodi descritti sotto, viene osservato essere l'equivalente di un dato testo o porzione di testo nella source language7.
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Qualcosa è dunque equivalente di qualcos'altro - anche in questa teoria - solo in una occasione specifica, ossia siamo in presenza di un'equivalenza contingente, non assoluta. Questa caratteristica mina alla base il concetto di equivalenza come parità (matematica) di valore. Forse non è il caso di investire troppa energia nel mettere in discussione il termine «equivalente» più di quanto già non faccia Catford stesso, che parte da un termine assoluto e poi, a poco a poco, lo svuota di tutte le sue caratteristiche fino a lasciarne solo il guscio. Siamo arrivati al punto in cui decidere cos'è un equivalente è diventato troppo difficile, perciò si propone si procedere alla traduzione per vedere cosa succede. L'equivalente viene poi definito come quello che cambia quando cambia il prototesto:
Equivalente traduttivo testuale è dunque: «quella porzione di un testo nella target language che è cambiata quando e solo quando è cambiata una data porzione del testo nella source language»8.
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Nemmeno questo stratagemma empirico ha però del tutto successo, perché ci si scontra con il problema della mancata corrispondenza di categorie grammaticali (parti del discorso) tra lingue, nel caso specifico russo, francese e inglese. Confrontando le frasi inglese, francese e russa:
My |
father |
was |
a |
doctor |
Mon |
père |
était |
|
docteur |
u menja |
Otec |
byl |
|
doktor |
salta all'occhio il problema che, comunque si voglia definire «equivalente», l'inglese «a» non ha equivalenti. Catford lo ammette ma non demorde, sposta soltanto l'argomentazione a un altro livello:
Nel testo russo, perciò, non c'è equivalente traduttivo dell'articolo indeterminativo inglese. Diciamo allora che l'equivalente russo di «a» in questo testo è zero. L'equivalenza, in questo esempio, può essere stabilita solo a un rango più alto, ossia di gruppo9.
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Sul piano scientifico, ciò dovrebbe indurre a creare un modello diverso, che non si basa sulla parola come unità traduttiva minima, ma su frammenti di testo maggiori. Questo, purtroppo, non avviene. Il caso di «a doctor» viene lasciato in sospeso.
Un altro problema con cui si scontra la teoria dell'equivalenza è quello del campo semantico della parola. Non esistono due campi semantici uguali, non dico in due lingue diverse, ma nemmeno nella stessa lingua. Catford lo sa, e infatti ci dice:
Le voci della source language che occorrono spesso di solito hanno più di un equivalente nella target language nel corso di un testo lungo10.
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È opportuno sorvolare sulla contraddizione insita nella frase «hanno più di un equivalente». Qui Catford rivela implicitamente che ciò che anima la sua teoria è la possibilità di creare delle macchine che traducono. Catford non si sta occupando di traduzione, ma di machine translation, anche se non lo dice mai esplicitamente. Vari indizi sparsi nel suo testo però ce ne fanno rendere conto benissimo. Di fronte al problema della polisemia, e della differenza di campo semantico, Catford reagisce con le statistiche, di cui però non spiega l'utilità:
dividendo il numero di occorrenze di ogni singolo equivalente per il numero totale di occorrenze della voce nella source language otteniamo la probabilità-equivalenze di ogni singola equivalenza11.
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In possesso di questo prezioso dato, le probabilità-equivalenze, sappiamo ora qualcosa di molto, ma molto importante. Che quando in una traduzione incontriamo la parola X, nel 60% dei casi la traduciamo con la parola Y. Sempre che non vari il tipo di testo. Sempre che non vari l'argomento. Sempre che non vari l'autore. Sempre che non vari l'epoca storica. Sempre che non vari il registro. Sempre che non vari la collocazione.
Riuscirà il nostro eroe a portare a compimento le sue gesta? Lo vedremo nella prossima unità.
Riferimenti Bibliografici
CATFORD J. C. A Linguistic Theory of Translation, Oxford, Oxford University Press, 1965. ISBN 0-19-437018-6
MARÍAS J. Negra espalda del tiempo, Punto de lectura, 2000 (edizione originale 1998), ISBN 84-663-0007-7.
MARÍAS J. Dark Back of Time, New York, New Directions, 2001 (translated by Esther Allen), ISBN 0-8112-1466-4.
1 Marías 2000, p. 13.
2 Marías 2001, p. 10.
3 Catford 1965, p. 20.
4 Catford 1965, p. 20.
5 Catford 1965, p. 20.
6 Catford 1965, p. 22.
7 Catford 1965, p. 27.
8 Catford 1965, p. 28.
9 Catford 1965, p. 29.
10 Catford 1965, p. 30.
11 Catford 1965, p. 30.