«Y las narraciones que inventamos, de las que se apropiarán los otros, o hablarán de nuestra pasada existencia perdida y jamás conocida convirtiéndonos así en ficticios»1.
"And the narratives we invent, which will be appropriated by others who, in speaking of our past existence, gone and never known, will render us fictitious"2.
Ora che siamo arrivati a questa misura statistica delle probabilità che una parola sia tradotta con un'altra, ci si accorge che tale misura non è di grande utilità pratica, poiché c'è il contesto, che è quell'elemento fondamentale della traduzione che il computer non sa prendere in considerazione.
Ma le probabilità-equivalenze sono, in realtà, costantemente influenzate da fattori contestuali e co-testuali (per «contesto» intendiamo il contesto situazionale, ossia quegli elementi della situazione extratestuale relativi al testo in quanto linguisticamente pertinenti: di qui «contestuale». Per «co-testo» intendiamo le voci del testo che accompagnano la voce in discussione: di qui «co-testuale»)3.
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Resta quindi il dato statistico che, in quanto tale, può servire soltanto a stabilire quello che succede in una certa percentuale dei casi. Sulla base di queste statistiche Catford propone di creare delle regole traduttive.
Ammesso che il campione sia sufficientemente grande, le probabilità di equivalenza traduttiva possono essere generalizzate per formare «regole traduttive» applicabili ad altri testi, e forse al «linguaggio nel complesso» o, più rigorosamente, a tutti i testi all'interno della stessa varietà del linguaggio (lo stesso dialetto, registro ecc.)4.
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Le regole così estrapolate sono la generalizzazione meno utile che si possa immaginare riguardo al processo traduttivo. Non riguardano altro, infatti, che le probabilità che una singola parola, in determinate condizioni, e in una determinata combinazione linguistica, sia tradotta con una singola altra parola.
«Regola traduttiva» è dunque l'estrapolazione dei valori di probabilità delle equivalenze traduttive testuali5.
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Non la chiamerei quindi «regola traduttiva», ma casomai «probabilità di esito lessicale di una parola in una certa combinazione linguistica». È qualcosa di assai più ristretto di una regola traduttiva, ed è così ristretto perché lo scopo non dichiarato è quello di far applicare la regola a un computer. Lo si capisce quando entrano in gioco i «traduttori umani»:
Per i traduttori umani le regole possono fare appello al significato contestuale6.
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Per i traduttori non umani, ossia i computer, ciò non è possibile, come sappiamo. Perché un computer sia in grado di capire in quale contesto deve agire, occorre che vengano immesse enormi quantità di dati nella banca dati di riferimento, e che ci sia un indirizzamento riguardo all'àmbito semantico in cui si sta lavorando. Ma Catford abbandona presto il discorso delle probabilità e dei computer, a vantaggio di una teoria che potrebbe essere definita «dell'equivalenza funzionale e non linguistica» ante litteram.
Le voci della source language e del target language hanno raramente «lo stesso significato» in senso linguistico; ma possono funzionare nella stessa situazione. Nella traduzione totale, i testi o le voci della source language e del target language sono equivalenti traduttivi quando sono intercambiabili in una data situazione7.
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Non si tratta più di equivalenza e nemmeno di corrispondenza linguistica, ma di semplice omologia funzionale. Non ci sono preoccupazioni filologiche di attenzione per il prototesto, che viene messo pragmaticamente in secondo piano, a vantaggio della funzionalità comunicativa del testo, che (è implicito) ha uno scopo pratico: farsi intendere in una situazione concreta, non esprimere qualcosa di extradenotativo in una situazione artistico-letteraria.
Lo scopo della traduzione totale deve perciò essere selezionare gli equivalenti del target language non con «lo stesso significato» delle voci del source language, ma con la maggiore possibile sovrapposizione di gamma situazionale8.
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Una volta garantita l'ampiezza della gamma situazionale, il problema dell'equivalenza è risolto. Ancora una volta si tenta di imbrigliare con parametri matematici un linguaggio naturale:
l'equivalenza traduttiva si verifica quando il testo o la voce della source language e del target language sono riferibili a (almeno parte di) le stesse caratteristiche della sostanza (il tipo di sostanza dipende dalla portata della traduzione. Per la traduzione totale è sostanza situazionale: per la traduzione fonologica è sostanza fonica: per la traduzione grafologica è sostanza grafica)9.
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Finalmente si arriva alla questione chiave della traducibilità e della specificità culturale, dell'implicito nella cultura:
Nella traduzione totale la questione dell'identità della sostanza situazionale è difficile, ed è legata alla questione dell'identità o non identità delle culture (nel senso più lato e più vario) a cui appartengono source language e target language10.
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Due culture identiche non esistono, perciò l'affermazione sembra un po' troppo teorica e astratta per avere qualche ripercussione anche a lato pratico. Comunque, a proposito della traduzione di un testo come traduzione di una cultura in un'altra cultura, non ci viene detto altro.
Un altro argomento che viene affrontato è quello della traduzione intersemiotica. Il saggio di Jakobson On linguistic aspects of translation in cui si delinea questa categoria della traduzione è, nella sua prima versione, del 1959, quindi è uscito sei anni prima di quello di Catford.
La traduzione tra i media è impossibile (ossia non è possibile tradurre dalla forma parlata alla forma scritta di un testo o viceversa)11.
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Dato che non sembra plausibile che Catford non abbia letto Jakobson, questo pronunciamento ha il sapore di una polemica.
La conversione dal medium parlato a scritto o viceversa è pratica universale tra i letterati; ma non è traduzione, perché non è sostituzione mediante voci equivalenti perché si riferiscono alla stessa sostanza12.
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In base alla complessa - ma forse non altrettanto produttiva sul piano della ricerca - definizione di Catford, la traduzione intersemiotica non è «traduzione».
In un altro capitolo del saggio, Catford affronta un altro problema concreto che contraddice qualsiasi tentativo di ricorso all'equivalenza: quello dell'idioletto, delle modalità espressive tipiche di un individuo. La sua proposta è di trovare l'"idioletto equivalente".
In questo caso il traduttore può creare lo stesso personaggio nella traduzione con una caratteristica "equivalente" dell'idioletto13.
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Che visione semplificata del mondo extralinguistico ha Catford! Le lingue sono un pochino diverse, ma per fortuna esistono culture "identiche" (la parola usata da Catford è «sameness») all'interno delle quali gli individui sono tutti strani allo stesso modo, perciò esistono gli idioletti equivalenti. Lo stesso avviene con i dialetti:
I testi nel dialetto non marcato della source language di solito possono essere tradotti in un dialetto della target language equivalente non marcato. Quando la target language non ha dialetto non marcato equivalente, il traduttore dovrà forse scegliere un certo dialetto specifico della target language14.
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Superato brillantemente anche il problema del dialetto, per cui se un personaggio nell'originale ha un tipico dialetto del South Carolina nella traduzione francese, per omologia geografica, avrà la tipica cadenza della zona di Lyon, si passa alla delicata questione dei testi connotati sul piano storico.
Qui, come nel caso del dialetto geografico, l'equivalenza della locazione assoluta nel tempo normalmente non è né possibile né desiderabile15.
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Non è bello che un testo sia connotato storicamente e, se lo è, «non è desiderabile» che la traduzione ce lo ricordi. Se però due lingue hanno una storia diversa,
Qui, se la target language non ha registro equivalente, può esserci intraducibilità16.
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L'intraducibilità è quel concetto che viene chiamato in causa quando si è già dato fondo a tutte le altre risorse. Non serve a far progredire di un millimetro la ricerca, però fa la sua bella figura.
Anche per lo stile possono insorgere problemi quando uno stile non abbia il suo "equivalente" nella cultura ricevente. In questo caso,
[...] fattori culturali possono dettare l'uso di uno stile non corrispondente come equivalente traduttivo17.
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Catford deve avere in mente (anche se non viene specificato) un testo chiuso, come un orario ferroviario o un manuale di istruzioni per il montaggio di una tenda canadese. Perché i problemi che si pone vertono sempre sulla comprensibilità pratica, mai sull'espressività. Anche quando viene a parlare dei nomi dei realia, in questo caso della sauna, propende per una soluzione omologica: abbandono di qualsiasi riferimento alla cultura originaria e inserimento d'ufficio di un ente che, dal punto di vista funzionale del testo, abbia lo stesso scopo. In questo caso: lavarsi.
l'equivalenza degli aspetti materiali dell'istituzione sono meno importanti dell'equivalenza della sua funzione personale o sociale18.
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Pertanto, la sauna può diventare tranquillamente un lavabo.
Riferimenti Bibliografici
CATFORD J. C. A Linguistic Theory of Translation, Oxford, Oxford University Press, 1965. ISBN 0-19-437018-6
JAKOBSON R. On linguistic aspects of translation, in On translation, a cura di Reuben A. Brower, Cambridge (Massachusetts), Harvard University Press, 1959, p. 232-239.
MARÍAS J. Negra espalda del tiempo, Punto de lectura, 2000 (edizione originale 1998), ISBN 84-663-0007-7.
MARÍAS J. Dark Back of Time, New York, New Directions, 2001 (translated by Esther Allen), ISBN 0-8112-1466-4.
1 Marías 2000, p. 14.
2 Marías 2001, p. 11.
3 Catford 1965, p. 30-31.
4 Catford 1965, p. 31.
5 Catford 1965, p. 31.
6 Catford 1965, p. 31.
7 Catford 1965, p. 49.
8 Catford 1965, p. 49.
9 Catford 1965, p. 50.
10 Catford 1965, p. 52.
11 Catford 1965, p. 53.
12 Catford 1965, p. 53.
13 Catford 1965, p. 86.
14 Catford 1965, p. 87.
15 Catford 1965, p. 89.
16 Catford 1965, p. 90.
17 Catford 1965, p. 91.
18 Catford 1965, p. 99.