«Basta con que alguien introduzca un 'como si' en su relato; aún más, basta con que haga un símil o una comparación o hable figuradamente [...]»1.
"All anyone has to do is introduce an "as if" into the story, or not even that, all you need to do is use a simile, comparison or figure of speech [...]"2.
Abbiamo visto, nelle precedenti unità del corso, come alcuni luoghi comuni della traduttologia -letteralità, fedeltà, equivalenza - abbiano avuto momenti di successo e momenti di dura critica a seconda dei periodi storici e dei punti di vista. Queste banalità traduttive ormai sono perlopiù nel vocabolario dei non addetti ai lavori, di chi si accosta alla traduzione in modo superficiale e transitorio, mentre gli "scienziati della traduzione" preferiscono solitamente ricorrere a termini che danno maggiori garanzie di definibilità.
L'uscita di un nuovo saggio di Umberto Eco ci dà modo di affrontare la questione sotto una luce diversa, ascoltando il parere di una persona che è nello stesso tempo sia romanziere tradotto sia semiotico che si occupa anche di traduzione dal punto di vista teorico. Questo saggio, intitolato «Translating and being translated», unisce alla consueta gradevolezza di Eco come narratore e saggista il suo acume scientifico e il suo punto di vista duplice e quindi particolarmente ricco.
Il punto di partenza è un esempio pratico, tratto dalla versione inglese di William Weaver del romanzo di Eco Il pendolo di Foucault. La frase originale è:
Diotallevi - Dio ha creato il mondo parlando, mica ha mandato un telegramma.
Belbo - Fiat lux, stop. Segue lettera.
Casaubon - Ai Tessalonicesi, immagino3.
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La versione inglese di questo passo interpreta le ultime due battute di dialogo in modo diverso rispetto a una traduzione - intesa in senso più tradizionale - del senso denotativo delle frasi italiane:
Diotallevi - God created the world by speaking. He didn't send a telegram.
Belbo - Fiat lux, stop.
Casaubon - Epistle follows4.
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William Weaver ha ritenuto di individuare in questo scambio di battute una dominante del prototesto che non coincide con il significato denotativo delle parole che le compongono. Altrimenti, come commenta lo stesso Eco, avrebbe benissimo potuto tradurre «Fiat lux, stop. Letter follows. / To the Thessalonians, I guess»; anzi, ho la presunzione di affermare che quest'ultima versione gli sarebbe costata meno fatica, soprattutto sul piano delle inferenze abduttive sulle intenzioni di Eco, e sulle ipotesi di resa in italiano. Commento interrogativo di Eco:
Possiamo dire che questa è una traduzione fedele del mio testo?5.
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Eco inoltre si interroga sulla letteralità della versione. Le domande vengono poste mentre Eco, in veste di autore dell'originale, spiega ai lettori che questa versione di Weaver è a suo parere addirittura più brillante del proprio originale, e che si riserva di attingervi anche per l'italiano nel caso dovesse approntare una seconda edizione riveduta del proprio romanzo. Tutto questo per dire che la domanda sulla fedeltà e sulla letteralità non vuole essere una domanda in cui «fedele» e «letterale» assumono implicitamente connotazioni positive o negative di «traduzione ben fatta» o «traduzione mal fatta». Sono domande, per così dire, "neutre" che hanno più che altro lo scopo di cercare di capire - come anche in questo corso facciamo spesso - che senso possano avere (se ne hanno uno) categorie come «fedele», «letterale» ecc. nella semiotica della traduzione.
La risposta che Eco, tutto considerato, dà a sé stesso è questa:
La traduzione citata può essere definita «fedele», ma certamente non è letterale6.
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Non deve sorprendere che Eco parli di «fedeltà» come se fosse una categoria accettabile sul piano scientifico. Il lettore non si lasci trarre in inganno da ipotesi sulla presunta ingenuità di Eco (sappiamo bene che non è affatto ingenuo) né sulla sua ipotetica faciloneria nell'usare parole vaghe più o meno a proposito. Il fatto è che, con questa conclusione provvisoria, Eco incomincia a instillare nel lettore ingenuo il dubbio che un testo possa essere fedele ma non letterale, ossia si apre una prima breccia nella diffusa concezione di molti profani, secondo cui sia «fedele» sia «letterale» sono caratteristiche positive di una traduzione e che perdipiù vanno spesso di pari passo. Come viene argomentato questo giudizio di Eco? Una prima spiegazione, anche questa fintamente ingenua, è che la versione di Weaver conserva il "senso" (tra virgolette) del testo, un non meglio definito senso, dunque, che diverge dal significato letterale. Questo corrisponde a dire che una traduzione può essere fedele anche se il riferimento del prototesto (quello che nella triade peirceiana è l'«oggetto») è diverso dal riferimento del metatesto. Un'affermazione grave, che va perciò giustificata. Eco stesso ne sente subito il bisogno, e ricorre al concetto di «connotazione».
Si potrebbe dire che una buona traduzione non si concentra sulla denotazione ma sulla connotazione delle parole7.
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Certo, il lettore di questo corso conosce il concetto di «connotazione», e già più volte sono stati fatti esempi in tal senso. Qui Eco fa riferimento, in particolare, al concetto di «connotazione» in Barthes, che non abbiamo ancora esaminato. Vediamolo ora:
[...] la connotazione, ossia, lo sviluppo di un sistema di significati di second'ordine che sono per così dire parassitari rispetto alla lingua vera e propria. Questo sistema secondario è pure un "linguaggio" in cui si sviluppano fenomeni enunciativi, idioletti e strutture duplici. Nel caso di sistemi così complessi o connotati (le due caratteristiche non sono reciprocamente esclusive), non è perciò più possibile predeterminare, nemmeno in modo globale e ipotetico, che cosa appartiene alla lingua e che cosa all'enunciazione (Barthes 1964).
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Nemmeno la definizione di Barthes è precisa per quanto riguarda lo spettro coperto da un significato connotativo. Si spiega che, parassitariamente, la connotazione attinge una parte del senso dal sistema di significazione primario (denotativo) aggiungendovene un'altra parte, ma non è possibile definire con precisione quale spettro semantico copre la connotazione. Proprio a questo giunge anche il ragionamento di Eco, che afferma:
La parola «connotazione» è un'espressione-ombrello usata per nominare molti, molti tipi di sensi non letterali di una parola, do una frase o di un testo intero [...] ma i problemi sono (i) quanti sensi secondari possono essere convogliati da un'espressione linguistica e (ii) quali una traduzione deve preservare a tutti i costi8.
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Perciò quando anche potessimo tutti convenire che il problema della traducibilità (qualcuno vuole sbilanciarsi dicendo dell'"equivalenza"?) va spostato dalla denotazione alla connotazione, ci si ritroverebbe forse meno fuori strada, ma pur sempre in un campo molto vago. Argomentazioni meno smaliziate si concludono a questo punto, affermando con un certo entusiasmo che l'equivalenza che tutti cercano non è l'equivalenza lessicale, ma è l'"equivalenza del significato". Per Eco, invece, questo è solo l'inizio dei problemi, perché
l'equivalenza nel significato non può essere presa come criterio soddisfacente per una traduzione corretta
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innanzitutto perché il concetto di «equivalenza del significato» è oscuro, e poi perché è inaccettabile l'idea ingenua che l'equivalenza di significato sia data dalla sinonimia «dato che è comunemente accettato che nella lingua non esistono sinonimi completi»9. Nella prossima unità osserveremo lo svilupparsi dell'argomentazione di Eco che, come sempre, è molto avvicente.
Riferimenti Bibliografici
BARTHES R. Éléments de sémiologie, 1964, English translation Elements of semiology, London, Cape, 1967./p>
ECO U. Translating and being translated, in Experiences in translation, Toronto, University of Toronto Press, 2001, ISBN 0-8020-3533-7, p. 3-63.
MARÍAS J. Negra espalda del tiempo, Punto de lectura, 2000 (edizione originale 1998), ISBN 84-663-0007-7.
MARÍAS J. Dark Back of Time, New York, New Directions, 2001 (translated by Esther Allen), ISBN 0-8112-1466-4.
1 Marías 2000, p. 10.
2 Marías 2001, p. 8.
3 Citato in Eco 2001, p. 6.
4 Citato in Eco 2001, p. 7.
5 Eco 2001, p. 8, neretto aggiunto.
6 Eco 2001, p. 8.
7 Eco 2001, p. 8.
8 Eco 2001, p. 9.
9 Eco 2001, p. 9.