«Y hasta nos afanamos por recordar señales o signos o ironías crueles o vaticinios no reconocidos de lo que sucedió más tarde»1.
"And we struggle to remember signals, signs, cruel ironies, unnoticed omens of what happened next"2.
La stesura di un testo, come abbiamo visto, anche se si tratta di una traduzione, ha come punto di partenza la concezione mentale di ciò che è stato letto e assimilato e come punto d'arrivo il linguaggio verbale esterno. George Steiner, uno dei più prestigiosi studiosi che si sono occupati di traduzione, ha molti commenti utili da fare per accompagnarci nel nostro percorso verso l'attualizzazione, la verbalizzazione del testo mentale.
La base su cui si fonda qualsiasi atto di verbalizzazione è, secondo Steiner, paragonabile a un iceberg o a una pianta con radici molto profonde. Il "fondamento nascosto" della comunicazione è una rete associativa inconscia, una ragnatela molto estesa e intricata di relazioni miste e plurime tra entità mentali e parole che, nell'insieme, costituiscono l'unicità dell'individuo. L'individualità, in altre parole, coincide con quel crogiolo di esperienze, e di esperienze di esperienze, verbali e non, verbalizzabili e non, che inevitabilmente si frappongono tra la nostra urgenza di comunicare e il risultato dei nostri sforzi. Per ogni parola che riusciamo a dire, altre dieci sono abortite e, in ultima analisi, l'immagine che diamo di noi stessi è quella prodotta dalla superficie di questo lavorio, dalla punta dell'iceberg.
Il fatto che una nostra affermazione implichi la soppressione (momentanea o definitiva) di una quantità di altre enunciazioni dà un'idea della precarietà delle potenzialità comunicative e di quanto possa essere fuorviante e illusoria la stessa comprensione. Come ha affermato Humboldt, citato da Steiner3, «qualsiasi comprensione è nel contempo una non comprensione, qualsiasi accordo di idee ed emozioni è anche una divergenza»4.
Forse in ciò è possibile individuare un secondo grado di consapevolezza metalinguistica. Il primo grado è stato fissato nel parlante che diviene consapevole delle regolarità e delle norme che governano lo strumento che sta usando, il linguaggio. Il secondo grado potrebbe essere il momento di presa di coscienza della cospicua componente soggettiva dei rapporti di significazione, della (relativa) impotenza comunicativa intrinseca all'uomo. Ne abbiamo una testimonianza in questo brano tratto da un diario del celebre drammaturgo del teatro dell'assurdo Eugène Ionesco:
È come se, a causa del mio coinvolgimento letterario, avessi consumato tutti i simboli possibili senza penetrarne davvero il significato. Per me non sono più significativi in modo vitale. Le parole hanno ucciso le immagini o le stanno nascondendo. Una civiltà di parole è una civiltà confusa. Le parole creano confusione. Le parole non sono la parola (les mots ne sont pas la parole) [...] Il fatto è che le parole non dicono nulla, se posso metterla in questo modo [...] Non ci sono parole per l'esperienza più profonda. Più cerco di spiegarmi, meno mi capisco. Naturalmente, non tutto è indicibile in parole, solo la verità vivente5.
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Che uno scrivente si renda conto o no di dover mediare tra le proprie connotazioni private e quelle che suppone più diffuse presso i propri lettori non dipende però soltanto dalla sua collocazione storica nell'epoca moderna oppure nel periodo in cui tali considerazioni non erano ancora state fatte (ossia prima di Mallarmé e dei suoi contemporanei, secondo Steiner). C'è anche una componente di consapevolezza individuale. «[...] nella maggior parte dei casi, le fonti attive della connotazione rimangono inconsce o al di fuori della portata della memoria»6.
Solo i grandi poeti, i pensatori geniali riescono a inventare parole con valori creativi e connotazioni innovative. Nella stragrande maggioranza dei casi, ci dobbiamo accontentare di riutilizzare consunti campi semantici così come li abbiamo utilizzati a lungo. Tuttavia,
Connotazioni private, consuetudini private di accento, di elisione o perifrasi costituiscono una componente fondamentale del discorso. Il loro peso, il loro campo semantico sono essenzialmente individuali. Il significato è sempre la somma totale potenziale di singoli adattamenti. Non può esserci lessico definitivo né grammatica logica della lingua comune né di sue parti perché i diversi esseri umani, anche nei casi semplici di riferimento e di "nominazione", riferiscono sempre associazioni diverse a una parola data7.
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Il traduttore si trova quindi alle prese con un problema scottante: tradurre il proprio modo privato di intendere il senso con parole che abbiano buone probabilità di essere intese dalla maggior parte dei suoi lettori (il lettore modello, o il modello di lettore) in un modo non troppo dissimile da quello previsto dalla strategia traduttiva.
Da che cosa dipende la capacità di ottenere questo risultato? Evidentemente sono in gioco diversi fattori. Nell'unità precedente abbiamo parlato di una gamma di potenzialità espressive che vanno dal solipsismo del maniaco alla generalità umana8. Il problema che si pone al traduttore è dello stesso tipo: un approccio eccessivamente "autistico", che non fa nessuno sforzo per rendere comprensibile l'atto traduttivo verbalizzante, avrebbe come conseguenza un testo quasi completamente ignorato. D'altra parte, un testo troppo standardizzato sarebbe privo di qualsiasi espressività.
Lo sforzo che l'individuo compie per impostare la propria strategia comunicativa è basato sull'esperienza. Vivere insieme ad altri uomini, osservare il loro comportamento, osservare le reazioni linguistiche di varie persone di fronte a fenomeni simili può essere un modo per cercare di penetrare almeno una piccola parte di quell'iceberg. Un bravo comunicatore, un bravo verbalizzatore deve saper vedere il proprio mondo culturale al di là del proprio particolare, deve conoscerlo con una visione non provinciale se vuole essere in grado di parlare al "fondamento nascosto" di tanti lettori.
Per questo motivo nel patrimonio del traduttore deve rientrare anche una ricca esperienza di tipo linguistico-pratico, una profonda conoscenza della propria società, un legame ininterrotto con gli sviluppi continui della cultura e del linguaggio. Solo così riesce a compiere in modo efficace quell'ennesimo atto traduttivo che gli è richiesto dalla sua attività, quello che consiste nella produzione di un testo. Concludiamo queste riflessioni con una citazione molto significativa e brillante da After Babel:
[...] parte essenziale di tutto il linguaggio naturale è privata. Ecco perché in ogni enunciazione completa c'è un elemento più o meno prominente di traduzione. Qualsiasi comunicazione "interpreta" tra mondi privati9.
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Riferimenti Bibliografici
von HUMBOLDT W. Über die Kawi-Sprache auf der Insel Java [On the Kawi language of Java], Berlin, Konigliche Akademie der Wissenschaften, 1836-1839.
von HUMBOLDT W. An Anthology of the Writings of Wilhelm von Humboldt, translated by M. Cowan, Detroit, Wayne State University Press, 1963.
MARÍAS J. Negra espalda del tiempo, Punto de lectura, 2000 (edizione originale 1998), ISBN 84-663-0007-7.
MARÍAS J. Dark Back of Time, New York, New Directions, 2001 (translated by Esther Allen), ISBN 0-8112-1466-4.
STEINER G. After Babel. Aspects of Language and Translation, 3a edizione, Oxford-New York, Oxford University Press, 1998 (1975), ISBN 0-19-288093-4.
1 Marías 2000, p. 214.