«Io conoscevo il suo libro ancor prima che lui venisse a insegnare da noi e quasi lo sapevo a memoria, trattandosi di un testo pieno zeppo di numeri»1.
Nell’elaborazione della strategia traduttiva successiva all’analisi traduttologica del prototesto, vari fattori entrano in gioco. La dominante del prototesto deve essere valutata per controllarne la validità nella cultura ricevente. Talora la dominante di un testo tradotto non coincide con la dominante dell’originale, e tale differenza è da imputarsi proprio a valutazioni di questo tipo.
La dominante non dipende soltanto dal testo in sé, o dalla sua relazione sistemica con la cultura in cui è nato; dipende soprattutto dalla sua relazione sistemica con la cultura che lo accoglie e della quale entra a fare parte. Ma dipende anche dal lettore modello a cui si rivolge e dal tipo di testo.
Il lettore modello del metatesto non coincide sempre con quello del prototesto. In certi casi, un testo che in una cultura svolge una certa funzione in un’altra cultura può svolgere una funzione diversa, e indirizzarsi a un tipo di lettore diverso.
Ma anche il tipo di testo influenza il modo in cui la strategia traduttiva è congegnata. Sappiamo che il linguaggio naturale in origine è soltanto orale. La scrittura è frutto di evoluzioni successive. Le convenzioni, diverse nelle varie culture, attribuiscono proprietà diverse alla lingua orale e alla lingua scritta. Tali differenze influenzano i testi composti per l’oralità, ma anche le modalità di scrittura che vogliono descrivere o riprodurre testi orali.
Solitamente un testo orale è meno ponderato di un testo scritto. I latini dicevano «Verba volant, scripta manent», dove per «verba» non si devono intendere genericamente le parole, ma soltanto le parole pronunciate, le parole nell’oralità. Dato che uno scritto ha più probabilità di conservarsi, viene posta più cura nella sua composizione. Non solo: uno scritto è anche attestazione di un impegno, di una volontà, tant’è vero che i contratti, nella nostra cultura, hanno valore legale soltanto se sono scritti.
Nell’interazione spontanea tra parlanti, è evidente che non c’è proprio il tempo per elaborare strategie comunicative complesse. E più l’interazione avviene tra parlanti tra cui è instaurata una relazione affettiva profonda, più chi parla si permette di essere approssimativo nell’espressione e chi ascolta è disposto a essere ricettivo nella comprensione. Si ha meno bisogno di ricorrere alle funzioni che servono al controllo dell’intenzione comunicativa dei parlanti.
Il linguaggio parlato è dunque spontaneo per sua stessa natura. Ciò non significa che non possano esistere personaggi che parlano in modo affettato. Significa semmai che un parlante che in un testo ha uno stile caratteristico dei registri dello scritto, poco spontaneo, appare come marcato, si distingue dalla norma.
Che influenze hanno queste considerazioni sulla traduzione di testo di diversi tipi? È quello che vedremo nelle prossime unità. Nella traduzione per il cinema e il teatro, dove la maggior parte – a volte la totalità – del testo verbale è costituita da dialoghi, si ha l’apparente paradosso del testo scritto ma con funzioni tipiche del testo orale: il traduttore è alle prese quindi con un testo orale che però appare sotto le mentite spoglie di un testo scritto2.
Questo discorso vale per la traduzione di opere di teatro finalizzata alla recitazione dei testi tradotti. Perché esiste anche la traduzione di opere teatrali destinata alla semplice lettura, dove si possono avere minori preoccupazioni per la recitabilità del metatesto.
Questo discorso vale anche per il doppiaggio, a cui dedicheremo spazio più avanti. Per i sottotitoli vale in misura minore. I sottotitoli sono infatti un caso molto particolare, poiché sono testo scritto, che però trascrive il discorso orale, che a sua volta è l’attualizzazione orale di un testo scritto (lo script, il copione). Non solo, ma i sottotitoli non sono la trascrizione integrale delle battute di dialogo a cui corrispondono. Spesso si tratta solo di una sintesi. In quanto traduzione scritta sintetica di un discorso scritto ma orale, i sottotitoli non rispecchiano sempre le caratteristiche di spontaneità del testo orale. Talora, per riuscire a realizzare questa sintesi, il traduttore deroga ai princìpi comunicativi vigenti nell’oralità per riuscire a far stare nelle poche battute a disposizione il contenuto approssimativo del dialogo che deve riprodurre.
Tutto quanto detto su cinema e teatro non vale quando si ha un narratore, omodiegetico o eterodiegetico, che si aggiunge ai personaggi della vicenda in modo analogo a come avviene nei romanzi con il narratore interno, che nelle opere scritte ha solitamente molto più spazio a disposizione. Ovviamente il discorso del narratore interno può essere di registro molto diverso da quello del parlato.
Un genere letterario che considero borderline tra scritto e parlato è la fiaba. La fiaba è espressione del patrimonio del folclore. Per secoli ogni fiaba è stata tramandata oralmente di generazione in generazione, perdendo eventuali caratteristiche soggettive di un protoautore e arricchendosi sempre più di patrimonio culturale generale. Nelle epoche più varie e a vario titolo alcuni studiosi si sono presi la briga di ascoltare la narrazione dei novellatori popolari e di trascrivere questi testi orali. Sono famosi i casi dei fratelli Grimm in Germania nell’Ottocento, di Italo Calvino in Italia nel Novecento.
Naturalmente la trascrizione è una forma di traduzione. Alcuni trascrittori hanno optato per una resa filologica, molti hanno invece preferito adattare quanto ascoltavano ai princìpi vigenti nel registro scritto. Le trascrizioni del primo tipo, quelle filologiche, hanno nello scritto molte caratteristiche tipiche della parlata popolare: bruschi passaggi da tempi al passato a tempi al presente (storico), uso frequente del discorso libero indiretto, uso di vocaboli di registro popolare e, raramente, di vocaboli di registro medio-alto, che in questo contesto risaltano molto fortemente come marcati. Talora s’incontrano concordanze singolare-plurale insolite, nelle lingue flessive casi magari scomparsi o desueti, giri di parole insoliti.
Quando invece il trascrittore elabora il materiale folclorico conferendogli una forma più simile a quella dei registri letterari, opera in un modo non dissimile da quello usato da chi sogna nel riferire (o trascrivere) il ricordo del sogno. Mentre il ricordo è frammentario, ha salti logici per i quali non fornisce nessuna spiegazione, ha improvvisi cambiamenti di contesto che non si premurano di giustificarsi, il trascrittore, dovendo inserire tutto questo materiale lungo il segmento del discorso verbale, aggiunge connessioni logiche, inserisce spiegazioni, aggiunge annotazioni che fanno capire la stranezza delle situazioni descritte anche dal punto di vista del narratore.
La fiaba trascritta è il trionfo dell’oralità nello scritto, ma anche qui dipende dal tipo di dominante che il trascrittore si è posto nella sua strategia traduttiva. Per un traduttore di fiabe sarebbe del tutto insensato pensare di eliminare queste tracce di discorso orale per assimilarle a un registro letterario del tutto estraneo a loro.
Nelle prossime unità prenderemo in esame questi e altri tipi di testo per vedere di volta in volta che tipo di problemi pongono al traduttore. Cercherò anche di demolire i presupposti teorici della distinzione tra "traduzione tecnica" e "traduzione letteraria", mostrando che altre categorie sono forse più produttive per distinguere i tipi di testo non ancora citati in questa unità: traduzione editoriale e non editoriale, traduzione saggistica, traduzione settoriale, traduzione giornalistica.