«Nei dettati non riuscivo a star dietro al maestro e facevo errori spaventosi. Ganzhorn guardava quelle mie porcherie e correggeva gli errori aggrottando le sopracciglia»1.
Esistono meccanismi psichici che servono a darci la sensazione che ciò che facciamo possa avere un senso per il fatto stesso che l'abbiamo fatto noi. In mancanza di tali meccanismi, rischieremmo di vivere in uno stato di costante insicurezza e delusione per l'inadeguatezza delle nostre prestazioni. Tali meccanismi possono avere anche risvolti negativi, naturalmente. Se sono troppo sviluppati, l'individuo tende ad avere un eccesso di sicurezza di sé, e fa molta fatica ad avere senso autocritico. Questo, per un traduttore, è un difetto gravissimo.
Abbiamo visto che il singolo processo traduttivo interlinguistico è, in realtà, composto da una serie molto lunga e complessa di processi traduttivi intersemiotici. Il testo si trasforma dapprima in materiale mentale non verbale del traduttore, e di qui si ritrasforma in materiale verbale adatto per la cultura ricevente.
Tale serie di trasferimenti del prototesto verbale in metatesto mentale, che a sua volta diventa il prototesto mentale di un successivo metatesto verbale ha componenti parzialmente aconsce. Lo si è visto in particolare nelle unità 36 e 37 della seconda parte. Senza questa componente aconscia, il lavoro del traduttore sarebbe incompatibile con la sua sopravvivenza economica, poiché sarebbe troppo lungo.
Di conseguenza, quando il traduttore finisce la prima stesura, la stampa e si siede al tavolo per la revisione, ha di fronte a sé un testo in parte nuovo, poiché, per quanto sia frutto del suo lavoro, è stato in parte generato da processi abitudinari e da un moto alterno che oscilla tra lettura, traduzione vigile e traduzione "con il pilota automatico". Dato che si tratta di un lavoro faticoso, i meccanismi psichici a cui si accennava intervengono per dare un senso di "remunerazione" psichica all'individuo: la fatica c'è stata, ma il lavoro è buono.
Per questo motivo l'autorevisione e l'autocritica sono processi così difficili. Si tratta di attivare una forza di penetrazione critica nei confronti di un prodotto proprio, e quindi per "definizione mentale" buono. I formalisti russi, e 'klóvskij in particolare, parlavano di arte come procedimento o artificio (priëm), ossia definivano artistica qualsiasi forma che si distaccasse da quella a cui il lettore è maggiormente abituato. Consapevoli degli automatismi percettivi, si rendevano conto dell'importanza della loro rottura (straniamento) affinché un'opera venisse percepita come oggetto creativo e non meramente informativo.
Un discorso simile vale anche, a mio parere, per le strutture linguistiche e culturali. Il traduttore raffronta i due sistemi della cultura emittente e della cultura ricevente. Nel caso di personalità bilingui, le due culture sono entrambe "culture madri", ossia apprese in modo spontaneo nell'infanzia. Nel caso di educazione monolingue, soltanto la cultura ricevente coincide con la cultura madre del traduttore, mentre l'altra è stata "appresa" in età consapevole. In entrambi i casi il testo della cultura emittente viene portato nella cultura propria che, dal punto di vista dell'autocoscienza, è una specie di terra di nessuno.
Le strutture linguistiche e culturali della cultura ricevente sono state apprese in modo spontaneo, e come tali sono anche usate fino al momento in cui non si comincia ad attivare la funzione metalinguistica (e metaculturale), ossia non si incomincia a ragionare sopra tali strutture. Il motivo per cui è molto più facile (e professionale) tradurre verso la cultura ricevente è che in questa noi abbiamo strutture prefabbricate, mentre nella cultura altra dovremmo costruire il nostro edificio mattone su mattone.
Queste strutture prefabbricate che costituiscono la nostra cultura madre si sono spesso formate in modo non consapevole, e noi le usiamo inizialmente più per abitudine che per scelta razionale.
Il traduttore legge il testo nella cultura emittente, pronto a cogliere strutture sintattiche standard o anomale, frequenze lessicali, idioletti e registri, e a riprodurli nella cultura ricevente, ma facilmente arriva, per la faticosa ginnastica mentale a cui è sottoposto, a perdere il distacco di cui ha bisogno, ed è qui che può produrre calchi semantici e sintattici da cui, a mente fredda, saprebbe benissimo difendersi. Mentre nel traduttore alle prime armi questo rischio c'è sempre, nel traduttore esperto risiede qui, nel pieno della fatica e dello stresso del lavoro, il rischio di fidarsi dei falsi amici, come l'inglese to assist che diventa in francese assister, o l'inglese sensible che diventa il francese sensible o il tedesco sensibel (esempi tratti da Shuttleworth 1997: 58). La capacità di distacco dal proprio testo è inversamente proporzionale all'investimento anche affettivo del traduttore. D'altra parte, anche un testo molto noioso può indurre un abbassamento della vigilanza.
Da quanto detto sembrerebbe molto indicata la revisione "esterna", ossia la revisione a opera di qualcuno che non sia il traduttore, che quindi recepisca il testo tradotto come prodotto altrui, e non proprio, e non valgano quindi tutte le remore rivolte al prodotto proprio. Il problema è che se la revisione la fa qualcun altro, non è facile che questa persona sia messa a conoscenza della strategia traduttiva seguita, e che quindi possa operare a ragion veduta.
In certi casi, per esempio, il traduttore può ricorrere alla compensazione (vedi unità dieci della quarta parte) per evitare di avere un residuo rispetto a un elemento intraducibile in quel tempo e spazio, e l'aggiunta che tale compensazione comporta potrebbe facilmente essere letta dal revisore come un'aggiunta indebita e quindi cancellata. Analogo discorso si può fare per le caratterizzazioni dei singoli modi di parlare dei personaggi ecc:
Proprio perché c'è una differenza evidente tra la psiche del revisore e quella del traduttore, e tra loro spesso non c'è nessuna comunicazione o solo una comunicazione molto superficiale e frettolosa, la revisione editoriale pone sempre seri problemi per quanto riguarda la valutazione della qualità delle traduzioni. Ciò è causato anche dal fatto che nelle redazioni, per motivi di produttività o per leggerezza, raramente si prende atto di questi problemi.
Questa realtà ci rimanda alla questione dell'autorevisione. Esistono tecniche per aggirare i meccanismi psichici di difesa del proprio testo?
Occorre fare di tutto per vivere il proprio testo come altrui. Per questo motivo è necessario, nei limiti del possibile, che il testo sia vissuto cronotopicamente distante, sia quindi nello spazio sia nel tempo.
Il tempo che intercorre tra la stesura e la revisione deve essere il più grande possibile. E questo è uno dei parametri. Per quanto riguarda lo "spazio", il distacco può essere via via crescente man mano che si passa dalla prima all'ultima delle situazioni descritte di séguito:
1. lettura del proprio testo a video; (molto sconsigliato)
2. lettura del proprio testo stampato su carta; (sconsigliato)
3. lettura del proprio testo stampato su carta ad alta voce in solitudine2;
4. lettura del proprio testo stampato su carta ad alta voce a qualcun altro; (fortemente consigliato)
5. ascolto del testo letto ad alta voce da qualcuno all'autore; (fortemente consigliato)
6. ascolto del testo letto ad alta voce da qualcuno all'autore in presenza di un pubblico (fortemente consigliato, ma mi rendo conto che è quasi utopia).
Riferimenti Bibliografici
CANETTI ELIAS Die gerettete Zunge. - Die Fackel im Ohr. - Das Augenspiel, München, Carl Hanser Verlag, 1995, ISBN 3-446-18062-1.
CANETTI ELIAS La lingua salvata. Storia di una giovinezza, traduzione di Amina Pandolfi e Renata Colorni, Milano, Adelphi, 1980, ISBN 88-459-0417-2.
SHUTTLEWORTH MARK e COWIE MOIRA, Dictionary of Translation Studies, Manchester, St. Jerome, 1997, ISBN 1-900650-03-7.
TOROP P. 1995 La traduzione totale, a cura di Bruno Osimo, Modena, Logos, 2000, ISBN 88-8049-195-4. Edizione originale: Total´nyj perevod. Tartu, Tartu Ülikooli Kirjastus, 1995, ISBN 9985-56-122-8.
1 Canetti 1980: 314.
2 Questo procedimento comporta però un rischio: la voce introduce tratti soprasegmentali che possono rendere più comprensibile il testo, soprattutto se letto dall'autore della traduzione. Meglio che sia un altro a leggerlo.