Logos Multilingual Portal
ENGLISH TRANSLATION   

3. Le lingue nazionali come visioni del mondo: le teorie della psicolinguistica

IndiceIndietroAvanti



a) La funzione conativa

L'interpretazione del linguaggio è una funzione di riconoscimento. Fu Noam Chomsky a teorizzare il carattere innato delle strutture linguistiche nella coscienza umana. Il corollario della sua teoria è l'assoluta 'permeabilità' dei codici linguistici, sulla base di una intenzione conativa che starebbe a fondamento del comunicare per segni. Ogni segno, sia scritto, sia visivo, sia sonoro, è segno espressivo. Data l'universalità significante di questi segni, è sufficiente estrarne - per così dire - la quintessenza dalle loro concrezioni storiche e culturali per elaborare una grammatica fondamentale che funzioni da interfaccia non solo tra le lingue nazionali, ma anche tra i diversi codici linguistici. Secondo Jacques Derrida, la comunicazione è un atto conativo disgregante, per cui l'Io cerca di frangere la natura 'monumentale' della lingua. Per Michel Foucault, è un atto trasgressivo, un tentativo ('conazione') di spostare i confini del lecito. Per Roland Barthes, si tratta di una pulsione erotica la cui fascinazione passa attraverso la seduttività, conseguenza dell'aura estetica che le parole proiettano attorno a sé. Nella sua Critica della Ragion Dialettica, Sartre rielabora la fenomenologia di Husserl e le concezioni di Heidegger sull'essere come stato di coscienza definito dal parametro 'tempo' in una filosofia del linguaggio in cui il segno scritto è 'proiezione del vissuto interiore', strategia teatrale per cui le parole si situano nella coscienza a seconda dei rituali sociali, degli spazi secondo cui ognuno di noi articola i propri rapporti col mondo. La poesia di Mallarmé, la sua programmatica pagina bianca, segna il limite di questo collasso tra densità semantica ed afasia.

Molti di voi conosceranno gli Esercizi di Stile di Raymond Queneau, dove una vicenda banale viene raccontata in cento maniere diverse, utilizzando differenti angolazioni, parodie di stili, giochi metaforici e visioni sensoriali, nonché i linguaggi cifrati della musica e della matematica. La teoria di Wittgenstein per cui il linguaggio afferma solo se stesso ha qui celebrato la propria catastrofe carnascialesca. Matematico, Queneau ha risolto in puro godimento narrativo tutti i problemi di rapporto tra significante e significato di cui ci siamo occupati fino ad ora.

b) Dall'idea alla parola

La neuropsicologia studia il modo in cui le caratteristiche della coscienza umana mutano l'oggettività della percezione, ovvero le modalità con cui la mente, quando osserva qualcosa, in realtà percepisce se stessa nell'atto di osservare qualcosa. Il linguaggio è sempre stato uno dei loci sacri della neuropsicologia, da quando Piaget e Laborit hanno cominciato a far coincidere la presa di possesso del mondo esterno del bambino con la sua capacità di stabilire nessi subordinanti all'interno del discorso. Nella loro teoria, per il bambino di tre anni ad ogni nome corrisponde un'azione di ricompensa: il nome è la parola magica con cui i desideri vengono soddisfatti. Rifacendoci a quanto detto prima, dunque, potremmo tentare questa formula: in un bambino di tre anni, il primo livello del linguaggio è quello rituale; entro questo livello, il codice primario è quello conativo, mentre la funzione espressiva è la pulsionalità del desiderio. La parola 'riverrun' con cui termina Finnegan's Wake di Joyce si colloca in questo sistema di variabili. Chi tenta di tradurre quell'enigma in parole del tardo Joyce senza accettare di sporcarsi di terra le mani, come un bambino che giochi con la creazione, non ha nessuna possibilità di spuntarla.

Lo stadio successivo, nella formazione della coscienza linguistica, è l'appropriazione del territorio. Le lingue ugrofinniche concepiscono il territorio linguistico come spazio, sistema di relazioni tra compresenze, piuttosto che successione articolata nel tempo, come è proprio delle lingue neolatine. La fissità climatica, l'avvicendamento indefettibile delle stagioni, con caratteri inalterabili, propria del clima finlandese ha avuto certo il suo effetto sulla genesi della lingua finnica, che tende al raggruppamento dei termini per assonanza, alla creazione di ceppi linguistici inalterabili che paiono richiamare sia le sacre querce secolari sia la struttura per clan del tessuto sociale. Allo stesso modo, il carattere dell'Ungherese, quel suo serbare nel tema, la parte centrale della parola, la connotazione di ogni termine, il suo appartenere al codice della affettività, o quello scientifico, o quello giuridico, o altri ancora; il modo in cui l'Ungherese conserva nella radice il legame della parola con la tradizione, nel mentre rende la desinenza duttile ad ogni intenzione espressiva individuale, pare legato alla storia di quel popolo, che seppe conservare le radici fisse nella propria storia solo attraverso una sempre più sottile duttilità nei confronti delle molte dominazioni culturali straniere. L'Ungherese appartiene a quella categoria di lingue che adottano il comportamento di certi microrganismi i quali, per sfuggire ai loro nemici, ne assumono alcuni caratteri genetici.

Uno studioso italiano, Luciano Mecacci, ha analizzato il modo in cui le lingue pittografiche, come il Cinese ed il Giapponese, descrivono il mondo come espressione di idee, piuttosto che di concetti. Per un Cinese, ogni idea è tale solo se è raffigurabile. Non è un limite da poco; la sua applicazione alla lingua tedesca toglierebbe di torno Nietzsche. Il fatto è che le lingue occidentali si basano su di un principio che potremmo definire la 'soddisfazione dell'attesa'. Soltanto se sappiamo già in anticipo dove l'argomentazione andrà a parare, possiamo essere certi di comprendere il discorso scritto.

La popolarità di Mishima in Occidente, negli anni Settanta, nacque da un equivoco. Il suo suicidio per seppuku durante una trasmissione televisiva ne fece una figura eroica, presso la coscienza tormentata dell'Occidente. Quel cacciarsi un coltello in ventre, venendo da un uomo che aveva reclutato un esercito personale di samurai per lottare contro la penetrazione in Giappone, dopo Hiroshima, della cultura tecnologica americana, creò dall'oggi al domani un mito. Ebbene: le traduzioni occidentali dei romanzi di Mishima sono state compiute in gran parte sulle versioni francesi. Prova ne sia la sistematica resa di 'quartetto d'archi' con ' quartetto a corde': come si dice in Francese. Anche Pa Chin, l'autore cinese di Gelide Notti, letto in traduzione sembra Balzac. Gli ideogrammi sono, per gli Occidentali, lettera morta. Secondo Mecacci, il motivo sta nel fatto che, per i linguaggi 'figurativi', il concetto è sempre tale nel suo rapporto con qualcosa, e non in se stesso. I termini 'assoluto', 'infinito', 'immortalità', in Cinese, sono espressi come dilatazioni indeterminati dei concetti di 'limite', 'tempo' e 'vita': hanno un simbolo di 'dilatazione' a margine, ma non esistono come 'concetti'. Del resto, ciò contro cui Wittgenstein combatté per tutta la vita è proprio il paradosso per cui i concetti più importanti, nelle lingue occidentali, sono quelli che non vogliono dire niente...

c) Il paradosso dei due emisferi

Uno dei neuropsicologi più brillanti del nostro tempo, Oliver Sachs, ha dedicato un testo straordinario, Vedere Voci, al linguaggio dei sordi. Nei sordi si verifica il paradosso per cui ogni interpretazione metalinguistica viene ridotta, per motivi fisiologici, alla sua pura modalità conativa e desiderativa: il gesto. L'umanista Cesare Ripa, nel Cinquecento, pubblicò un'Iconologia nella quale faceva corrispondere agli archetipi figurativi dell'arte plastica traduzioni nel linguaggio letterario che raccontavano le emozioni dei personaggi rappresentati. Allo stesso modo, il Giovio pubblicò, nello stesso periodo, un Trattato delle Imprese Amorose e Guerresche in cui si descrive il carattere psicologico di quelle figure mitologiche con cui i Grandi del tempo adornavano il proprio sigillo. La conoscenza di questi due trattati aprirà ad un traduttore letterario nuove vie di comprensione al testo: una parola che, non ci si stancherà mai di ripeterlo, implica in sé l'idea dell'interrelazione di termini, all'interno di uno spazio chiuso (il teatro, dunque, come ecosistema). Per tornare a Sachs, la sua intuizione fondamentale, studiando i sordi, fu che il linguaggio si comunica per Segni, e che questi segni, una volta attivati nella coscienza, diventano automaticamente Simboli, vale a dire espressioni linguistiche convenzionalmente decodificate da una grammatica predeterminata. Si incorre subito in un paradosso: come può un linguaggio pulsionale come quello dei gesti venire a priori interpretato secondo un tradizione generata dalle esperienze storiche e culturali. Come può l'oggettività universale della pulsione farsi soggettività espressiva?

Qualcuno di voi si sarà chiesto perché mai i traduttori siano così affascinati dalla musica. Il primo motivo è il fatto che, in Musica, tutto è Simbolo ("Tutto il Fuggente non è che Simbolo" direbbe Goethe: e che cosa c'è di più fuggente dei suoni?). Il secondo motivo apparirà chiaro a chi osservi un direttore d'orchestra. Tramite il suo gesto, il simbolo segnato in modo ambiguo e confuso sulla partitura diventa suono. Come? Attraverso il respiro. Dirigere è sedurre cento strumentisti a respirare in sintonia col direttore. Allo stesso modo, un traduttore letterario deve respirare in sintonia con l'autore che ha prescelto. Ne consegue uno dei pochi dogmi che qui enunceremo: è impossibile tradurre un testo con cui non ci si senta in sintonia.

Il cervello umano è diviso in due emisferi: quello sinistro presiede alle funzioni logiche ed analitiche, quello destro alle funzioni cosiddette creative - un modo elegante per confessare come, di questo emisfero, non sappiamo quasi niente. Negli anni Cinquanta la psichiatria aveva elaborato un mezzo infallibile per curare le malattie mentali: togliere pezzi di cervello. Così, nei casi di epilessia, si resettava il corpo calloso, che mette in comunicazione i due emisferi. Ci si accorse che, in assenza di deficit cognitivi, la vittima terapeutica sviluppava, però, una strana sindrome: si dissociava in due persone, una fin troppo rigorosa, l'altra anarcoide ed infantile. La prima, a domanda, rispondeva solo con la distinzione tra 'vero' e 'falso', variabili di 'corretto' e 'confuso'; la seconda era capace di definire una domanda 'amara' o 'violacea', e poco più. Si era così scoperto che la distinzione tra denotazione e connotazione passa attraverso il corpo calloso. Nell'emisfero sinistro sta il Segno, in quello Destro il Simbolo. Faust aveva la febbre al corpo calloso. Se preleviamo un Cinese dalle risaie e, ficcandolo dentro uno di quei tubi per fare la TAC, lo costringiamo a raccontarci la sua vita, vedremo che è l'emisfero destro, quello immaginativo, a macularsi dei colori più sgargianti. In un Tedesco, sarebbe quello sinistro. La birra di sorgo accende lucine a sinistra; quella di luppolo a destra.

Il traduttore letterario deve essere un po' cinese. Se non compie il percorso inverso - e quindi analitico, cosciente - a quello istintivo che conduce lo scrittore dal Segno al Simbolo, le sue possibilità di riuscita sono nulle. L'espressione tedesca "dipingere il diavolo sulla parete" significa "attirare le disgrazie"; la cosa pare incomprensibile se non ci raffigura Lutero nel mentre, intento a tradurre la Bibbia, nel castello di Warburg, getta il calamaio contro Satana che si è profilato sul muro (c'è ancora la macchia). Così, non si capisce perché, in Inglese, l'espressione "non sono affari miei" si debba rendere con "it's not my cup of tea", se non si tiene presente la maniera differente, nelle due culture, di 'far salotto'. In caso contrario, si corre il rischio di cadere nell'equivoco di quel traduttore americano che rese l'inizio degli Indifferenti di Moravia, un limpido "Carla entrò", con "He entered Carla".

d) Il canone di Bateson

Nel suo Mente e Natura, Gregory Bateson riassume ogni errore di interpretazione in una serie di procedimenti automatici ed erronei:

  1. La scienza non prova mai nulla.
    Traduzione in Traduttologia: dato il ricorrere di un termine in un autore, non è detto che quel segno simboleggi lo stesso concetto (Es. il termine 'proud', così 'elevato', di solito, in Shakespeare, compare anche nelle parti del Sogno in cui è in scena Bottom, ed in genere in ogni parodia dell'eroe tragico).

  2. La mappa non è il territorio ed il termine non è la cosa designata.
    Traduzione: in molti luoghi canonici della Letteratura, un'immagine viene violentata ad esprimere il suo contrario, rispetto alle convenzioni culturali (Es. in Nietzsche, la tanto sbandierata 'volontà di potenza' è 'Wille zurt Macht', Volontà che aspira inestinguibilmente alla potenza, mentre il 'Superuomo' è Ubermensch, 'Oltreuomo', qualcosa che con l'uomo non ha più a che fare).

  3. Non esiste esperienza oggettiva.
    Traduzione: qui entriamo nel mistico, l'ineffabilità del processo traduttivo. Valga ad esempio quel racconto di Borges che si intitola Pierre Menard autore del Don Chisciotte, e che rappresenta l'aleph di ogni traduttore. Ci ritorneremo su presto.

  4. I processi di formazione delle immagini sono inconsci.
    Traduzione: privilegiate il visivo sul concettuale. Se non avete presente la drammaturgia - la 'scena' bipartita, polifonica - in cui si svolge quell'episodio della Madame Bovary in cui Emma, al piano superiore del palazzo comunale, viene sedotta da un mediocre corteggiatore di maniera, mentre, di sotto, durante la fiera cittadina, la voce del sindaco scandisce i premi assegnati ai capi di bestiame, non ne verrete mai a capo.

  5. La divisione in parti e in totalità dell'universo percepito è vantaggiosa e forse necessaria, ma nessuna necessità determina che ciò debba essere fatto.
    Si tratta di un corollario a 4.

  6. Le successioni divergenti sono imprevedibili.
    Traduzione: la parte più importante di un romanzo è ciò che non viene scritto, ma che un traduttore deve percepire, al di sotto del fluire del racconto. Es. "Chiamatemi Ismaele": così comincia il Moby Dick. Chi è veramente Ismaele, e perché si è ridotto così male in arnese da doversi imbarcare col Capitano Achab? Probabilmente, è un assassino in fuga dalla legge. Se lo è, la sua indifferenza etica, necessaria, come punto di vista, all'intensità della tragedia, assume un altro significato. Rileggendo Moby Dick, mi sono convinto che lo è...

  7. Dal nulla nasce nulla.
    Qui siamo a casa, perché è una citazione dal Re Lear. Traduzione: guardatevi dalle sovrainterpretazioni. La smania di chiarire tutto è la morte della poesia. Ci sono passaggi, nei grandi capolavori, che sono ostici anche nella lingua originaria. Perché dovrebbero risultare più facili nella lingua d'arrivo? Il traduttore non deve spiegare il testo. (Ho paura che si tratti di un dogma)... Nel dubbio, rispettate l'articolazione e la punteggiatura originale, e litigare serenamente con l'editor della vostra casa editrice (Es: Tutto Nietzsche, per la dilatazione del periodo, e tutto Kafka, all'opposto, per la concentrazione ellittica. Chiunque scovi una traduzione italiana dei due suddetti che rispetti la geometria originaria del periodo, mi scriva, per favore).

  8. La quantità non determina la struttura.
    È un corollario di 7.

  9. Talvolta ciò che è piccolo è bello.
    Le reiterazioni e le simmetrie, così care alla poesia tedesca, seguace del Volkeslied, ai Neolatini, teorici della variatio, stanno sull'anima. Brahms, nella Rapsodia per contralto, sceglie di musicare un frammento di Goethe tratto dal Viaggio nell'Harz che comincia con 'aber', 'ma': se ascoltate questo sconvolgente capolavoro, scoprirete quali abissi metafisici schiuda quell''aber'. Non occorrono altri esempi, ma guardatevi dal 'bello stilo' che vi hanno insegnato a scuola. Come scrive bene, Dostoevski, nelle traduzioni italiane!

  10. La logica è un cattivo modello della causalità.
    Traduzione: Il traduttore comincia a tradurre quando ha già letto tutto il libro; il lettore, no. Ne consegue che il traduttore è portato a riverberare sull'inizio l'immagine complessiva che si è formato, del libro, nella sua mente. Il traduttore, infatti, ha in odio il caos. Applicato ad un racconto a scatole cinesi come Aurelia di Nerval, questo pregiudizio ha effetti catastrofici.

  11. La causalità non opera all'indietro.
    Oh, che bel corollario di 10. Mi sa che è un terzo dogma.

  12. Il linguaggio sottolinea di solito solo un aspetto di qualunque interazione.
    Alla trattazione di questo punto dedicheremo tutta la seconda parte del corso.

  13. Stabilità e cambiamento descrivono parti delle nostre descrizioni.
    Traduzione: chissà da quale montagna scende Zarathustra, quando, all'inizio del 'poema' niciano, decide di tramontare? Di certo, non è né la montagna del lettore, né quella del traduttore. La scena interiore del traduttore si somma a quella dell'autore, e fa da filtro alla scena dalla cui percezione, nel lettore, deriva il godimento estetico dell'opera.

Decisamente, è ora anche per noi traduttologi di scendere dalla montagna delle definizioni, ed entrare nell'arena delle tecniche interpretative e dell'intertestualità...

 


 



IndiceIndietroAvanti