«Non possiamo vivere o pensare
se non spezzoni di tempo che s'allontanano
ognuno lungo una sua traiettoria
e subito spariscono» 1.
La prima operazione del lettore è legata alla percezione del
testo, atto che, per certi versi, è simile alla percezione di un oggetto. La differenza, si potrà
argomentare, sta nel fatto che percepire un tavolo è più immediato rispetto a percepire una parola,
per esempio la parola «tavolo». Nel primo caso l'oggetto percepito non viene interpretato, ma
semplicemente assimilato, perché un oggetto è quello che è; nel secondo caso, invece, alla parola
«tavolo» possono essere associati, in ciascuno di noi, diversi materiali mentali, diversi interpretanti,
di conseguenza la percezione di una parola è un atto interpretativo.
Ma in semiotica anche il tavolo è un segno, non semplicemente un oggetto: la percezione
di un certo tavolo da parte di una certa persona dà luogo a catene mentali interpretative, analogamente
a come avviene per la percezione della parola «tavolo». Anche al tavolo come oggetto, alla sua immagine,
sono legati significati di tipo sia culturale che soggettivo, come avviene per i segni di tipo verbale.
Allora il tavolo è un segno, anche se un segno non verbale: appartiene a un altro codice, o meglio, a
vari altri codici, e ha un significato diverso a seconda della cultura in cui è inserito.
Oppure, per esprimere lo stesso concetto in altri termini, potremmo dire anche che quando
percepiamo oggetti, o persone, leggiamo. Calvino scrive:
Lettrice, ora sei letta. Il tuo corpo viene sottoposto a una lettura sistematica, attraverso
canali d'informazione tattili, visivi, dell'olfatto, e non senza interventi delle papille
gustative. Anche l'udito ha la sua parte, attento ai tuoi ansiti e ai tuoi trilli [...] e
tutti i segni che stanno sul confine tra te e gli usi e i costumi e la memoria e la preistoria
e la moda, tutti i codici, tutti i poveri alfabeti attraverso i quali un essere umano crede in
certi momenti di star leggendo [...] 2.
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La percezione di qualsiasi oggetto - inteso in senso lato - è solo un'inferenza che facciamo, completando i
dati sensoriali con le nostre conoscenze e con le nostre aspettative.
Ci avvicineremo alla questione della percezione del testo partendo dalla percezione generica, e in
particolare da un'attività detta scansione (scanning), che ci interessa in quanto strumento per la raccolta delle
informazioni ambientali. Siamo abituati ad associare il verbo inglese scan allo scanner, ma in questa accezione
percettiva è stato usato molti anni prima che esistessero gli scanner. Vi sono molte affinità tra i due concetti:
noi scandiamo l'ambiente e ne traiamo percezioni sugli oggetti e sulle parole. Ma anche lo scansore o scanner
collegato al computer procede in modo simile - benché molto meno evoluto - e, volendo, è in grado di riconoscere i
caratteri, oltre a riprodurre le immagini.
L'attività di scansione consiste nell'osservare parti di una sequenza in successione, ossia non
simultaneamente. Come afferma J. J. Gibson in The Senses Considered as Perceptual Systems, anche nel caso della
scansione di segni non verbali l'uomo va comunque alla ricerca di un significato:
[...] the human individual can visually scan a picture for its design, but what he is generally in
search of is meaning. The esthete may practice discrimination and enjoy the structure of a painting
or the composition of music, but this is a sort of perceptual luxury 3.
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In sostanza, l'uomo cerca il senso degli oggetti che lo circondano, ed è questa la principale funzione della
percezione, da un punto di vista pragmatico. Sul "lusso percettivo", o ipersensibilità percettiva, dell'esteta,
del critico letterario, del traduttore torneremo più avanti, quando affronteremo il tema dell'interpretazione
del testo letterario. In questo momento ci interessa la mera percezione, che, come tutte le funzioni che nel
corso della storia biologica si sono selezionate sulla base del principio darwiniano della sopravvivenza del
più adatto, è improntata all'economicità e all'efficienza.
Quando leggiamo, in apparenza riceviamo una serie di stimoli ottici in successione, non un panorama
simultaneo: è la sensazione ingenua che ricaviamo anche quando, più in generale, ci guardiamo intorno nel mondo 4.
Dato che il risultato minimo significativo della lettura è quello di ottenere una visione d'insieme
(parola o enunciato), e non una mera successione di segni grafici, intuitivamente si potrebbe postulare
l'esistenza di una sorta di "memoria tampone" o "memoria di breve termine" che permette di creare una
"fotografia" mentale sincronica delle singole percezioni disseminate nel tempo. Non è un'ipotesi assurda,
tant'è vero che la pensavano così anche gli psicologi della percezione prima del 1966.
Ma alcuni esperimenti riferiti da Gibson propendono per una percezione di carattere spaziale e al
contempo temporale, per mezzo della quale si individuano non già singoli "spezzoni", ma elementi invarianti
completi. La prima percezione produce già una distinzione approssimativa tra elementi noti ed elementi
estranei. Le sequenze percepite contengono già il panorama complessivo, pertanto non è necessario ricorrere a
concetti come quelli di «memoria tampone» o «memoria di breve termine» - come si è fatto prima di Gibson -
perché le sequenze vengano convertite nel quadro d'insieme (nel nostro caso la parola, l'enunciato, il testo) 5.
Di fatto, noi siamo in grado di percepire un enunciato scritto, di riconoscerlo, anche se non
l'abbiamo mai visto esattamente in quella forma grafica, oppure anche se l'enunciato è incompleto, se c'è una
macchia di caffè sulla pagina o un difetto di stampa. Questo è dovuto al fatto che l'intero nostro sistema
retinoneuromuscolare si è sintonizzato sulle informazioni invarianti ed è in grado di recepirle, grazie anche
alla locomozione degli organi di senso (ossia, nel nostro caso, soprattutto agli spostamenti ripetuti dell'occhio),
che determina una sovrapposizione di stimoli (overlapping stimulation).
In altre parole, percepiamo più volte gli stessi oggetti - le stesse parole o frasi - perché corriamo
con l'occhio su e giù, a destra e a sinistra, senza rendercene conto, fino a crearci un panorama percettivo
completo e soddisfacente. Se la percezione consistesse in una serie di stimoli successivi, come affermava la
teoria prima di Gibson, percepiremmo doppioni delle parole o frasi che il nostro occhio scandisce più di una
volta: ma non è così. Invece già la percezione semplice ci dà un quadro completo dell'enunciato, senza che sia
necessario ricorrere a una "memoria tampone" fatta di engrammi o tracce mnemoniche.
Il concetto di memoria entra in gioco ugualmente, non però per il singolo atto percettivo, ma per
la percezione ripetuta. Gli elementi invarianti che un soggetto riesce a individuare inizialmente sono più rozzi
delle invarianti che riesce a isolare dopo numerose letture:
[...] an observer learns with practice to isolate more subtle invariants during transformation and
to establish more exactly the permanent features of an array 6.
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Questo ci porta a dire che il sistema percettivo distingue gli oggetti riconosciuti come uguali a oggetti già
percepiti da quelli riconosciuti diversi. Grazie alla memoria, il soggetto può creare una serie diacronica delle
percezioni di oggetti (o enunciati) apparentemente uguali e, col tempo, imparare a fare distinzioni più sottili,
più raffinate.
Nella prossima unità affronteremo questi temi, passando dal problema della scansione dell'ambiente a
quello del reperimento delle informazioni.
Riferimenti Bibliografici
CALVINO I. Se una notte d'inverno un viaggiatore, Torino, Einaudi, 1979.
GIBSON J. J. The Senses Considered as Perceptual Systems, Westport (Connecticut), Greenwood Press, 1983, ISBN 0-313-23961-4. Prima edizione: 1966.
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