«Al parecer dos o tres profesores [...] que se distraían furtivamente [...] en aquellos momentos se apresuraron a esconder sus ejemplares bajo la toga»1.
"Apparently, two or three of the professors [...] who were at the moment entertaining themselves on the sly [...] rapidly concealed their copies under their gowns"2.
Due punti dovrebbero risultare assodati da quanto detto nell'unità precedente. Il fatto che l'adattamento di un testo riguarda principalmente il suo non-detto, ossia le caratteristiche implicite di un testo in quanto inserito in una cultura. E il fatto che esistono due poli che catalizzano le concezioni degli adattamenti possibili: adattare il testo al lettore, adattare il lettore al testo.
Incominciamo dal problema del non-detto. Per illustrare il problema del non-detto, è indispensabile fare riferimento al concetto di «cultura», perché il non-detto è un fenomeno molto specifico, soggettivo, comunitario, momentaneo e, visto su scala più generale, culturospecifico. Quando diciamo «cultura», intendiamo soprattutto un modo particolare (non universale) di percepire la realtà, una percezione che, come abbiamo visto nella seconda parte del corso, non ha nulla di oggettivo.
Un modo empirico e semplice per registrare come sia classificata la realtà - in modo implicito - nelle varie culture è la struttura di un quotidiano. Le notizie non sono rappresentate alla rinfusa, ma sono divise in varie categorie: politica interna/estera, cronaca, spettacoli, commenti, sport e così via. In modo simile, all'interno di una cultura si tende a usare determinate categorie in cui viene scomposta - spesso in modo implicito, dandolo per scontato - la realtà percepita. Ci sono giornali che dedicano all'economia una pagina, altri che gliene dedicano più d'una e, proprio per questo, non le chiamano «economia», ma suddividono il soggetto più specificamente in «borsa», «finanza», «aziende» ecc. Ci sono giornali che hanno una pagina sulla nautica, altri che ne hanno invece una sull'alpinismo. In quest'ultimo caso, una notizia che potrebbe comparire, se vi fosse, sulla pagina «nautica» va a finire, in mancanza d'altro, in una zona generica, magari dedicata alle notizie varie, o allo sport. La realtà rispecchiata da questi giornali è la stessa, ma la lettura che ne viene data è diversa, già tenendo conto anche soltanto della diversa categorizzazione3.
Qualsiasi testo può essere preso in considerazione come composto da due componenti: ciò che viene detto/scritto/espresso (esplicito) e ciò che non viene detto/scritto/espresso esplicitamente perché è dato per scontato (implicito). Il non-detto è ricavabile dal contesto, ossia dalla cultura in cui l'enunciato s'inserisce.
La possibilità di non dire sempre tutto è una risorsa comunicativa impareggiabile. Si pensi per esempio a un bigliettaio che sale sull'autobus e dice: «Biglietti, prego!» Se gli toccasse esplicitare il non-detto, dovrebbe fare un discorso lunghissimo: «Questo è un autobus della compagnia X. Per accedervi, occorre disporre di un documento, costituito da [...]. Dato che qualcuno potrebbe non avere tale documento, io vengo mandato, a pagamento, dalla compagnia X a controllare... Perciò ora voi siete tenuti a [..]». In questa traduzione intralinguistica esplicitante del messaggio espresso dal bigliettaio, molti elementi sono comunque dati per scontati (tanto per dirne uno, il concetto di «denaro»). Dall'esempio si vede chiaramente che la parte non detta del messaggio può costituire una quota sostanziale e spesso maggioritaria.
Le diverse culture attribuiscono alla parte non detta della comunicazione cómpiti diversi. Il loro contenuto implicito varia a seconda del variare del contesto ambientale. L'affermazione
inserita nel contesto della cultura italiana ha un contenuto di non-detto che si può concretizzare, per esempio, in una tazza di caffè con o senza latte, forse in una brioche o in pane, burro e marmellata. La stessa affermazione, inserita nel contesto della cultura anglosassone contemporanea, facilmente rimanda ad alimenti diversi: succo di agrumi, uova e pancetta, e un caffè tostato in modo diverso e più lungo dell'espresso. Come si vede da questo esempio gastronomico, il non-detto può costituire una parte davvero sostanziale del messaggio.
Le differenze presenti tra le culture fanno sì che intere categorie di oggetti o fenomeni presenti in una cultura siano assenti in un'altra. Quando un'attività ha un'importanza particolare, quando un argomento attira l'attenzione di molte persone, i concetti che ruotano attorno a tali attività o argomenti sono molto più raffinati e specifici. In una cultura mediterranea, per esempio, caratterizzata dalla presenza o dalla vicinanza del mare, tutto ciò che ha a che fare con la vita marittima è descrivibile in termini assai più precisi che non in una cultura in cui il mare è presente solo come elemento remoto. Il fatto che in una cultura esista una categoria e occupi un determinato spazio di senso modifica il modo in cui la mente delle persone è incoraggiata a esprimere concetti. L'espressione verbale è un processo cognitivo che, in quanto tale, è soggetto a leggi "economiche" che spingono a riutilizzare - per quanto possibile - esperienze cognitive precedenti.
Quando un fenomeno per un individuo è implicito dalla nascita, a volte si fatica a rendersi conto che esiste, tanto la sua presenza è "normale". Come si è visto nella prima parte del corso, il bambino (o l'adulto) che ha sempre parlato la propria lingua madre non ha coscienza del funzionamento di tale lingua finché non comincia a ragionare in termini metalinguistici (ossia comincia a studiare la grammatica della propria lingua, interrogandosi sul perché di un meccanismo che ha sempre funzionato "da solo")4. Un ulteriore salto di consapevolezza forse ancora più significativo è però costituito dallo studio di una lingua diversa da quella materna: il confronto tra le due lingue mette in risalto le differenze, e caratteristiche della lingua madre prima date per scontate vengono d'un tratto percepite come tratti distintivi, come aspetti che sono in un certo modo ma potrebbero essere altrimenti, e in altre lingue sono altrimenti.
Qualcosa di simile, in termini di percorso dell'individuo verso l'autocoscienza, avviene con l'implicito della cultura, costituito non solo dall'implicito linguistico ma anche dalle categorie concettuali extralinguistiche.
La consapevolezza di come è fatta la propria cultura è data dal contatto diretto o indiretto con culture altre e dal riconoscimento della loro diversità. Per esempio, vivendo in un sistema da cui ciò che è diverso è bandito (censurato, negato, sconosciuto), spesso ci si forma inconsapevolmente l'illusione (vissuta però come certezza) che tutto il mondo sia uguale al proprio sistema: si dà per scontato che tutto il mondo funzioni come il proprio microcosmo: una sorta di provincialismo, in parole povere. Conoscere culture diverse significa - innanzitutto - capire che la propria classificazione della realtà non è l'unica possibile, che in altre culture esistono non solo fenomeni diversi ma anche categorie diverse e difficilmente immaginabili dall'interno della propria.
La traduzione è adattamento tra due culture. Uso volutamente la formulazione «adattamento tra» (anziché «adattamento di... in...») perché desidero, fino a questo punto, restare neutro circa la cultura che si adatta e quella in funzione della quale avviene l'adattamento. Proprio questa è una delle chiavi per distinguere gli atteggiamenti traduttivi in funzione della polarizzazione a cui si accennava all'inizio di questa unità: adattare il testo al lettore versus adattare il lettore al testo. Di questo ci occuperemo nella prossima unità.
Riferimenti Bibliografici
DELABASTITA D. There's a Double Tongue. An Investigation into the Translation of Shakespeare Wordplay with Special Reference to Hamlet. Amsterdam-Atlanta (Georgia), Rodopi, 1993, ISBN 90-5183-495-0.
MARÍAS J. Negra espalda del tiempo, Punto de lectura, 2000 (edizione originale 1998), ISBN 84-663-0007-7.
MARÍAS J. Dark Back of Time, New York, New Directions, 2001 (translated by Esther Allen), ISBN 0-8112-1466-4.
1 Marías 2000, p. 79.