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ENGLISH TRANSLATION   

3. Il substrato arcaico: Latino, Greco, Ebraico, Sassone e la loro influenza sulle lingue moderne. Il modello della Bibbia: le traduzioni di Aquila, Anfizione, dei Settanta, di San Gerolamo e la Vulgata

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b) Quattro visioni del mondo

In questa contesa tra i traduttori osserviamo all'opera quattro dimensioni 'trasversali' del processo traduttivo:

  • La visione del testo come luogo dell'allusione simbolica.
  • La riduzione del testo a codice normativo, memoria storica e culturale di una determinata civiltà.
  • La concezione del testo come succedaneo alla tradizione orale, luogo 'letterario' sedimentato dalla coesione di numerose fonti.
  • L'idea del testo come ristrutturazione del mondo esterno all'interno di una visione del mondo individuale.

    Con un linguaggio moderno, potremmo definire queste quattro dimensioni come "visione mitica, visione antropica, visione storica e visione poetica". Da queste divaricazioni hanno origine quattro diverse scuole di pensiero ancora oggi operanti all'interno della traduttologia, e che, in epoca moderna, orientano, di solito in maniera inconsapevole, l'operare di ogni traduttore su ogni testo. In testi che assommano in sé una polisemia interpretativa, in quanto parodia di intere evoluzioni storiche (ad es. l'Ulisse di Joyce o la Torre di Yeats) la scelta istintiva, da parte del traduttore, di una concezione piuttosto che di un'altra determina le potenzialità immanenti alla sua versione del testo, il 'campo di forze' entro cui la sua resa in altra lingua riesce ad inscriverlo.

    A titolo indicativo, ci soffermiamo sulle diverse maniere con cui i traduttori biblici hanno reso l'inizio del Vangelo di San Giovanni. San Girolamo traduce "in principio era il Verbo", i Settanta "in principio era la parola", Aquila "in principio era il Logos", Anfizione "in principio era il senso". Nel primo caso, la divinità viene assimilata all'enigma del suo dire, nel secondo alla rivelazione del suo significato, nel terzo alla radice ultima di ogni logica, nell'ultimo alla decodificazione che ogni cultura, autonomamente, sa operare all'interno di un determinato codice linguistico. Come tutte le lingue arcaiche, l'Aramaico non conosce la sintassi, ma opera attraverso una rete di attrazioni semantiche all'interno delle particelle pronominali e delle radici verbali. In effetti, si comporta come una trascrizione fonetica di una lingua geroglifica, come l'Assiro e, per certi aspetti, l'Ebraico. Il concetto di tempo, in Aramaico, è un gioco di rapporti spaziali. In questo senso, la 'temporalità' dell'Aramaico assomiglia a quella del Sanscrito. Ora: mentre San Girolamo ed Aquila non scindono questa prospettiva per assonanze interne, al di fuori di ogni spazio-tempo, le altre due versioni 'attualizzano' questa dimensione mitopoietica, traslando la parola biblica all'interno della propria ben precisa, 'storica', visione del mondo. In questa maniera, i Settanta ed Anfizione legittimano ogni moderno operare traduttivo, col risolvere ogni aporia linguistica attraverso un depotenziamento del valore allusivo di un testo mediante l'accentuazione del suo carattere descrittivo. La stessa definizione di Dio ne riceve una diversa caratterizzazione. Per Anfizione, Dio è To Pan kai En: il "Tutto che è anche Uno". In San Girolamo, invece, la stessa espressione è resa con "l'Uno che si fa Tutto", mentre in Aquila abbiamo "il Tutto che viene detto Uno" e nei Settanta "quel Tutto che conosciamo come Uno". Le differenze di prospettiva tra queste quattro definizioni costituiscono un'efficace corollario a quanto siamo venuti fin qui dicendo.


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