d) Il circuito delle idee
Al di là di tutte queste considerazioni, la disputa sulle traduzioni della Bibbia sorta nel
mondo antico valse a sottrarre al testo la sua 'numinosità', per immetterlo nel circuito delle idee e della
storia. Certe tradizioni come quella gaelica rimasero estranee a questa trasformazione, in quanto non avevano
nella Bibbia il testo intorno a cui aggregare le differenti visioni del mondo proprie alle tradizioni particolari.
Anche le culture sassoni furono toccate solo marginalmente da questa rivoluzione. Le conseguenze sono tuttora
visibili: la lingua gaelica non conosce la collocazione spaziotemporale delle sue vicende, né opera per
caratterizzazioni somatiche ed individualistiche. I soggetti esprimono l'azione, non i tratti fisici o morali
dei protagonisti. Eroi nel senso occidentale, in questa tradizione, non ne esistono. Piuttosto, si danno principi
astratti. Gli stessi protagonisti delle varie vicende sono forze della natura, piuttosto che personaggi in carne
ed ossa. Sarebbe interessante osservare fino a che punto questa linea eccentrica della cultura arcaica sia
sfociata, in tempi recenti, nella poesia non-antropocentrica di un Dylan Thomas, oppure nel fatalismo senza
destino né dei di Samuel Beckett, dove è il linguaggio stesso a pensare, al di fuori di qualsiasi idea.
In sostanza, nella prospettiva che siamo venuti definendo, l'intera vicenda della letteratura è l'evoluzione
di quattro concezioni diverse della traduzione letteraria. A sua volta, la traduzione è il passaggio della
coscienza dalla dimensione dell'essere a quella del divenire: un percorso lungo il quale gli archetipi
costituiscono i luoghi di aggregazione della coscienza culturale. Le traduzioni bibliche che concepiscono il
Dio come "tutto" in quanto "uno" enfatizzano l'intuizione eidetica sul descrittivismo fenomenico; quelle che
pensano il Dio come "uno che si fa tutto" delimitano una concezione estrovertita, oggettiva, dell'agire letterario.
L'eccentricità della tradizione sassone rispetto a questi sconvolgimenti è attestata dalla scelta, da parte di
Martin Lutero, come atto 'rivoluzionario' nei confronti della Chiesa romana, di dotare la nazione tedesca di
una traduzione della Bibbia. Da questa traduzione ebbe origine la lingua tedesca moderna. Bene: nella Bibbia di
Lutero Dio viene definito "l'unicamente detto"; vale a dire che Lutero, venendo alla fine di un dibattito sul
linguaggio in cui il modo di chiamare il Dio era anche un dibattito su opposte visioni del mondo, fu costretto a
prendere atto del divenire storico che si era verificato prima di lui. Ecco perché la lingua tedesca è una lingua
monumentale, che procede per stratificazioni della memoria piuttosto che per definizioni originali. Per Lutero,
"in principio era la parola", intesa non, come in San Girolamo, in quanto 'nome sacro', ma semplicemente come
'grammatica' predefinita. L'ossessione tedesca per la storia in quanto organigramma delle idee, il trionfo
tedesco dell'Idealismo e perfino la filosofia di Kant sono la conseguenza di questo tardivo allineamento ai
dettami 'traduttologici' del mondo occidentale. Senza questa consapevolezza, nessun traduttore può pensare di
penetrare il mondo poetico di un Hölderlin, un Trakl, un Hoffmansthal: tutti poeti il cui Classicismo è sempre
monumentale, piuttosto che antiquario, come accade nella cultura dei paesi latini. Vale a dire che, per loro,
ogni idea del passato è compresente sullo stesso asse, quello dell'essere, piuttosto che essere tappa di un
divenire storico; la circostanza ha una basilare importanza quando si tratti di trasportare dal Tedesco
all'Italiano, lo Spagnolo o il Francese le coordinate spazio-temporali di questi testi poetici. Lo
'storicizzare', in questo caso, sarebbe infatti un grave errore.