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DIVENTARE L'ARTEFICE: IL TRADUTTORE COME ATTORE. COME RIPERCORRERE LE ESPERIENZE CULTURALI ED ESISTENZIALI CHE HANNO GENERATO L'OPERA LETTERARIA. IL PARADOSSO DI PIERRE MENARD, AUTORE DEL DON CHISCIOTTE, E LA RIFLESSIONE DI BORGES |
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c) L'armonia occulta
Abbiamo già alluso, in precedenza, alle teorie di Stanislawski,
il profeta dell'attore come Sosia del testo. Ora, direi che possiamo giungere allo
stesso dogma del teorico russo - "il testo è memoria vissuta che si fa coscienza" - partendo
dalla musica barocca. Nei trattati di Armonia del Settecento vengono annotate certe figure
musicali corrispondenti a determinati stati d'animo, come una grammatica dell'inconscio in
figura di suoni. A certe tensioni, elevazioni, corrisponde sempre una 'marcatura' nel
senso dell'attesa, la fascinazione, la nostalgia, ecc. Allo stesso modo, un traduttore
deve conoscere i loci communes intorno ai quali il 'suo' autore costruisce la
tensione drammatica, e, per farlo, deve 'impersonare' il più possibile le dinamiche di
annessione e repulsione in base alle quali ogni artista costruisce il proprio mondo
interiore.
Chi percorre l'opera di Nietzsche sa che, a partire da Umano, troppo umano, la
prospettiva metafisica, in lui, comincia a diventare antropologia. Allo stesso modo, lo
stile, precedentemente infiammato di terminazioni schopenauriane e scavi etimologici
propiziati da Athäneum, la rivista degli Schlegel, diventa più acuminato, proclive
ai doppi sensi ed i controtesti ironici. Esiste un diario delle letture niciane, che ci
rivela come, negli anni Settanta, il filosofo avesse scoperto Voltaire, Montaigne, Diderot.
Un traduttore non può prescindere da questa militanza stilistica, se vuole capire i motivi
che portarono Nietzsche ad abbracciare una sorta di 'neoilluminismo' quanto mai raro in
area germanica. Allo stesso tempo, i caratteri equivoci, freudiani, di questa attrazione,
devono rimanere ben saldi nella coscienza critica del traduttore. La ricerca di modelli
estranei al proprio sentire è già di per sé una testimonianza di crisi. L'effetto-specchio
del 'diverso' diventa una scarica elettrica, quando venga a colpire quel centro dello stile
che ogni autore difende gelosamente come la più sacra delle sue verità.
Uno scrittore capace di razionalizzare al massimo grado quel manifestarsi in forma di
parola della propria condizione interiore che è lo stile, Ernst Junger, durante
l'elaborazione di Sulle scogliere di marmo, il suo capolavoro, ha tenuto un
diario, Giardini e strade, in cui la sua autocoscienza interpretativa di creatore
raggiunge vertici irripetibili. Junger non vi fa filosofia; semplicemente, ripercorre i
luoghi e le situazioni contingenti che hanno visto la genesi delle proprie ispirazioni,
stabilendo un nesso 'fattuale', simbiotico, tra azioni ed idee - tra vestiti, climi,
cibi, sensazioni, ed elaborazioni metafisiche - per attingere la cui evidenza Proust ha
impiegato l'intera Recherche. In un passaggio, lo scrittore racconta la propria
attrazione infantile per le rane, e come, da quella, sia nata la propria singolare
antropologia, convinta che le emozioni siano 'liquide', ed ogni individuo passi l'intera
vita a depositare stati d'animo nel proprio 'stagno' privato - la natura anfibia,
protettiva, delle emozioni - destinato a diventare, negli anni, territorio impenetrabile.
Il modo in cui Junger riesce a ricondurre questo suo 'naturalismo metafisico' a scabre
impressioni primarie, impressioni d'infanzia, è cosa che lascia stupefatti. Al confronto,
la psicoanalisi freudiana appare una teologia al negativo inadatta a seguire le permutazioni
dinamiche a cui il sogno - qualora rimanga simbolo - può portare la sua espressione testuale:
la 'poesia'.
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