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DIVENTARE L'ARTEFICE: IL TRADUTTORE COME ATTORE. COME RIPERCORRERE LE ESPERIENZE CULTURALI ED ESISTENZIALI CHE HANNO GENERATO L'OPERA LETTERARIA. IL PARADOSSO DI PIERRE MENARD, AUTORE DEL DON CHISCIOTTE, E LA RIFLESSIONE DI BORGES |
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d) La 'variante Nabokov'
Esistono romanzi che sono maschere testuali: rappresentazioni in
forma narrativa dell'immaginario di un intero popolo. Uno dei più stupefacenti tra
questi 'teatri dell'intelligenza' è il romanzo Il dono, di Vladimir Nabokov,
il cui plot è l'intera letteratura russa nel suo svolgersi, da Puskin in poi.
Nabokov incarna volta per volta l'inconscio dei suoi modelli, da Gogol a Turgeniev,
fino a ribaltare il 'dramma' in parodia. Quell'idea di 'fine della storia' che la
Rivoluzione Bolscevica ha portato con sé, lo spinge a cercare nella 'critica' come
artificio creativo l'unica possibile redenzione dei tempi. Il dono è un
esempio di traduzione continua rivissuta come gioco di maschere: quelle maschere
che Nietzsche intendeva come principio fondante ogni comunicazione umana. Non è dunque
singolare che Nabokov, in seguito, abbia dovuto assumere una lingua straniera,
l'Inglese, come unico mezzo espressivo utile a produrre 'romanzi'. Siccome
Il dono è stato tradotto in Inglese dallo stesso scrittore, per un traduttore
addentro le 'segrete cose' della Slavistica, la comparazione della versione russa e
di quella inglese rappresenta un eccezionale strumento per rendersi conscio di quale
differenza intercorra tra interpretazione creativa e resa linguistica, tra 'adattamento
stilistico' e 'proiezione' di un'intera cultura nello scenario di una
cultura 'altra'.
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