a) Il teatro delle potenzialità
Nelle varie tappe di questo discorso sulla traduzione letteraria, ci siamo preoccupati di far intendere come
nessuna traduzione pregnante, in senso estetico (e quindi, etico) possa prescindere dalla drammaturgia sottesa al testo di
partenza. La sottile strategia con cui la mente 'traduce' un'immagine interiore in un'azione verbale, e questa in un codice
che gli è dato apriori, in senso storico e culturale, fa del 'testo' il momento di partenza per la ricognizione, da parte del
lettore, in senso opposto, di quante potenzialità immaginative un simile passaggio di stato rende inoperose. Esiste, insomma,
un'entropia della comunicazione, non meno devastante di quella che, entro un numero imprecisabile di anni, renderà l'universo
una massa fredda. Ogni traduzione è, prima di tutto, dunque, una lettura dell'immagine primaria: la scena che lo scrittore aveva
dentro di sé (oppure, era da essa avuto?) al momento di costruire le sottili sinergie espressive del testo. Ancora una volta, per
definire questo fenomeno ricorriamo ai servigi di due discipline non letterarie: la musica e l'arte dell'attore.
In musica, si definisce 'orecchio interiore' la capacità dell'artista di percepire i suoni dentro di sé, alla semplice
decodificazione del segno scritto, senza nessuna percezione esterna. Allo stesso modo, il traduttore deve essere dotato di un
'occhio interiore' che gli permetta di ricostruire dentro di sé, con un processo immaginativo, l'immagine primaria che ha dato
origine alla costruzione del testo. Il passaggio dall'immagina al testo è un atto ossessivo: come direbbe Freud, è una "coazione
a ripetere" una scena primaria le cui implicazioni creano un'aura di emozioni non immediatamente definibili.
L'arte attoriale ci viene incontro attraverso gli insegnamenti di Stanislavski, secondo il quale ogni interprete deve compiere
una ricognizione nel proprio immaginario, per riscontrarvi emozioni ed archetipi dentro i quali inscrivere il mondo interiore
dell'autore. Il rapporto autore/attore sarebbe, dunque, mimetico, ed allo stesso tempo, quanto alla resa, mimico. Non si potrebbe
definire meglio l'atto traduttivo. Infine, la pittura ci permette un'ulteriore approfondimento. Tutti avranno visto certi quadri
trattati 'a luce radente': una tecnica che permette di scorgere, sotto al 'testo compiuto' del dipinto, gli abbozzi, le linee
interrotte, i 'punti di vista' successivamente negati dalla composizione definitiva. Allo stesso modo, un traduttore deve
conoscere il processo creativo in fieri, tappa per tappa, con particolare attenzione agli appunti, gli abbozzi, le varianti,
le versioni scartate lungo il cui cammino il testo si è andato via via precisando. In questo senso, l'aspetto più affascinante
della traduzione letteraria è la sua possibilità di entrare nell'immaginario di un genio; giungere, con la sistematica dedizione
di sé, ad osservare il mondo coi suoi occhi.
Un discorso di questo tipo presenta un corollario paradossale: il nostro corso viene divulgato grazie alla rivoluzione
telematica; tuttavia, l'esistenza dei programmi di scrittura non consente più la sopravvivenza delle fasi 'mediane' attraverso
cui il testo letterario acquista la propria forma e consistenza. In altre parola, rende invisibili le varianti, i controtesti e
le potenzialità irrisolte (la 'visione a luce radente') di ogni testo. La circostanza non è da poco, ed obbliga il traduttore
letterario del futuro a costruire una psicobiografia immaginaria del suo autore, se vuole accedere ad un mondo interiore ormai
sempre meno storicizzabile.