d) Dai sensi alla ragione
Nella sua introduzione alla versione francese delle opere di Shakespeare
realizzata da Victor Hugo, André Gide parla dell'aporia connessa ad ogni traslazione del
senso da una lingua ad un'altra, per poi, infine, chiedersi come mai, nel solo Shakespeare,
il potere evocativo delle parole rimanga "emozionalmente" intatto. Sulla base di quanto
siamo venuti fin qui suggerendo, il motivo deve stare nella 'non-cultura' di Shakespeare:
il suo situarsi in una fase di transizione tra il substrato sassone e l'apertura, con la
regina Elisabetta, dell'Inghilterra al rinascimento, il suo senso dell'ordine dentro
la tradizione. Così, la retorica shakesperiana riesce a mantenere intorno alla parola la
propria 'tensione conativa' pur senza derogare alle articolazioni complesse del
periodare classico. È l'uso della metafora ad essere, in Shakespeare, tattile, gustativo,
prima ancora che simbolico. In lui, gli archetipi diventano organi di senso.
Uno studio attento dei livelli linguistici presenti nel Macbeth può servire da
suggello. Le streghe usano un dialetto arcaico denso di rimandi ad un culto della terra ed
una mitologia dei fluidi corporei di netta matrice druidica. Lady Macbeth ha le interiezioni,
le amplificazioni iperboliche delle Lamie classiche: i mostri evocati da Ovidio e da Lucano
in quella sorta di 'gotico'ante-litteram che è la Farsalia, un poema dedicato
alla sconfitta di Pompeo entrato di slancio nel dramma elisabettiano grazie alla mediazione
delle tragedie di Seneca. Personaggi come Banco, all'opposto, esprimono quel dominio sugli
istinti attraverso il linguaggio che è la conquista della civiltà di corte, del mondo dei
Franchi, contro le Madri della cultura europea: il ceppo celtico. La confusione interiore
di Macbeth è la confusione stessa dell'Europa, ancora oggi sospesa su questo stretto ponte
tra ragione ed istinto.
Nel tradurre il linguaggio delle streghe, bisognerà mantenere quella 'glossolalia', quel
rimandarsi in cerchio le stesse formule, le magiche parole incantatrici, che fa assomigliare
il loro dialogare ad un sinistro gioco infantile. Sarà, allora, di aiuto entrare nel mondo
della poesia popolare tedesca fiorita nel Seicento attorno alla Guerra dei Trent'Anni,
dove il macabro e l'ingenuo si uniscono fino a venire redenti, entrambi, in quell'ironia
picaresca che fa dell'Avventuroso Simplicissimus di Grimmelhausen un romanzo unico
nel suo genere.
Un altro luogo canonico di questa fase di trapasso, questa paradossale sinestesia di sensi
e ragione è quel retablo de maese Pedro su cui Don Chisciotte assiste, nel microcosmo
dei burattini, ad una parodia della propria stessa vicenda. L'attenzione alle variazioni
cromatiche ed allo scenario, l'insistenza sul modo in cui la 'facies' dei burattini
connota la vicenda, riassunta e definita nella sua articolazione dalla voce narrante, secondo
le regole del periodare classico, presenta in un quadro sinottico tutte le modalità di
narrazione sinestetica alle cui sfaccettature abbiamo rivolto la nostra attenzione.
L'evoluzione della letteratura occidentale avviene nel segno di questo progressivo confluire
delle figure di senso in quelle di significato, della 'funzione conativa' in articolazione
esplicativa, fino alla reazione 'occulta' di Proust, che reinserisce la sinestesia all'interno
dei codici linguistici più elaborati di cui un narratore avesse mai fatto uso, oppure alla
regressione di Joyce, che svela, sotto le ramificazioni del discorso, quella strutturazione
sensoriale, 'mnemotecnica' che sta a fondamento della retorica classica.
Per un traduttore moderno, l'invito a vivere il testo col proprio corpo, scandendone il
flusso di libere associazioni sensoriali secondo dinamiche interne al proprio vissuto umano,
diventa, in questa ottica, anche una priorità metodologica.