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Tra tradizione e crisi: la trasgressione degli artefici. Neologismi, arcaismi,
forme gergali e caratterizzazione degli 'idioletti'. Definizione teorica per
livelli delle incompatibilità tra le lingue letterarie, e sua risoluzione nella prassi. |
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b) Il perduto nome della rosa
La letteratura che gioca sugli 'idioletti' porta alla sua massima espressione un dilemma sostenuto
tra Hegel: la letteratura 'di oggetti' contro quella 'di storie'. È infatti evidente che quando la narrazione si
articola secondo un'elencazione delle circostanze a discapito della loro continuità, a collassare non è tanto il
realismo, quanto il più elementare senso dell'Io. Per questo la letteratura del secolo appena trascorso, che alla
perdita dell'Io ha dedicato le proprie campiture più sostenute, è basata sulla mescolanza dei codici espressivi.
In fondo, le ragioni della morte odierna dell'umanesimo stanno nella parcellizzazione dei linguaggi a cui le
impossibili concordanze tra intenzione ed espressione hanno condannato il nostro vivere sociale. Eppure, bisogna
stare attenti a non incorrere nell'equivoco della verosimiglianza: quando Dante scrisse in volgare fiorentino
la Commedia, fece uso di un linguaggio dalle risonanze limitate, esclusivo ed in gran parte non ancora
definito semanticamente, tale da non presentare radicali differenze rispetto al bizzarro 'puntilismo'
burocratico-ingegneristico utilizzato da Gadda nel Pasticciaccio, oppure agli archetipi gaelici impiegati
da Yeats, in La Torre, come indicazioni di luoghi mitici; o ancora, infine, l'automatismo dei manuali di
conversazione in lingua straniera su cui sono costruiti i dialoghi della Cantatrice Calva di Ionesco. In
tutti questi casi, l'effetto parossistico nasce non da un tradimento della mimesi, ma da una sua esaltazione
puntigliosa.
Il patrimonio epico di ogni popolo ha caratteri peculiari. L'epopea scaldica comporta una insistenza
sull'aggettivazione che rappresenta l'esatto contrario della nuda matericità connessa al mondo classico.
Certe percezioni grottesche dell'immaginario mediovale gotico non sarebbero pensabili in ambito rinascimentale.
I 'grilli', figure germinate dalla terra per l'associazione tra loro di animali veri e fantastici, oppure la
fantasia con cui l'Arcimboldo associa tra loro vegetali e rampicante per costruire i suoi ritratti 'dal vero'
rappresentano una tendenza opposta al classicismo simmetrico, proprio delle utopie tra corte ed accademia, che
sostanziano di sé la ricerca di un centro intorno a cui si raccoglie la meditazione dei trattatisti cinquecenteschi.
Da qui l'esigenza, per il traduttore, di conoscere le arti figurative, la maniera dei pittori di scegliere un punto
di vista eccentrico, o di 'sfondare' lo spazio nelle sue molteplici derivazioni. È difficile tradurre Aragon senza
conoscere quelle strane efflorescenze vegetali ideate da Gaudì negli spazi pubblici della sua Barcellona, secondo una
poetica dell'antiumanesimo che è l'opposto di quella 'agglutinante' prescelta dal Palladio. Il critico austriaco
Sedlmayr ha definito il Moderno come quell'epoca in cui si è fatto della 'morte della luce' un valore, piuttosto
che un disvalore. In questo senso, Il tramonto della luna di Fredrich, in cui due uomini vengono ripresi di
spalle nell'atto di allontanarsi dal paesaggio, piuttosto che esserne protagonisti, viene a connotare più che ogni
altro testo letterario questo nostro discorso sul comico come parodia: espressione di ogni moderna 'perdita del
centro'.
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