a) Un'affermazione icastica e le sue conseguenze
"Ciò che diventa oggetto dell'indagine, ed in qual misura essa si estenda nell'infinità
delle connessioni causali, è determinato soltanto dalle idee di valore che dirigono il ricercatore e la sua
epoca": questa proposizione di Max Weber si situa al centro dell'agire traduttivo. Nella sua nuda icasticità,
veicola due corollari:
a) Ciò che sta al di fuori dei valori di una cultura, non può venire rappresentato entro i codici della
stessa.
b) La traduzione tende ad essere una confermazione delle idee ricevute, non una loro messa in discussione.
Sarà opportuno, allora, che il traduttore letterario affianchi alle parole di Weber quelle di Boris Pasternak:
"Il limite della cultura lo cela in sé un Savonarola domato; un Savonarola indomito lo distrugge".
Quell'atto trasgressivo rispetto alle aspettative del lettore che sta alla base di ogni opera letteraria
rischia, nel passaggio da una lingua ad un'altra, di venire normalizzato. L'unica maniera per evitarlo è
scindere i due processi attivi nella coscienza del traduttore, rendendosi consapevoli della loro differente
natura. Infatti, mentre l'interpretazione di un testo è un atto di esplicitazione delle sue potenzialità che
pertiene ad un universo privato, la sua 'ricodificazione' in un testo 'altro' è un atto pubblico;
'drammaturgico', in quanto esige che ciò che è venuto allo scoperto nel primo processo ritorni ad essere
codice segreto, linguaggio immaginativo sotteso a quello verbale. Prendiamo come modello uno scrittore in
cui le connotazioni 'sommerse' sono norma testuale: Henry James.
In Ritratto di Signora, l'azione comincia all'ora del tè ("nelle circostanze adatte, la cerimonia
del tè è uno dei momenti più piacevoli.") con una connotazione di garbo stilizzato la cui convenzionalità di
accenti può facilmente, in traduzione, diventare noiosa oleografia. Tuttavia, la caratterizzazione fortemente
ironica di James risalta dal suo definire 'a ceremony' ciò che è soltanto una stinta usanza. E infatti, lo
scrittore si affretta - con quell'arte della litote che è sua virtù somma - a precisare che, per godere di
quel rito consolatorio, occorre vi siano le "circostanze adatte". Ora: l'essere inopportuna, alienata,
rispetto all'ambiente esterno, è proprio ciò che costa ad Isabel Archer quella continua sottomissione la
cui infelicità la condurrà fin quasi alla follia. Chi, in traduzione, sottolineasse in apertura "la cerimonia
del tè", ponendolo prima di "nelle circostanze adatte", rischierebbe di far evaporare l'infuso sarcastico
distillato da James con rara malizia.
Una prima norma in linea con la 'teoria dei valori' è: non sciogliere mai la litote.
La traduzione ideale è quella che lascia ai lettori la possibilità di non capire subito. Di perdersi in
quei 'controtesti' senza uscire dai quali l'atto traduttivo è, di fatto, impossibile.
Il caso opposto a quello di James si presenta all'inizio di Il Falò delle Vanità, di William
Thackeray: "While the present century was in its teens, and on one sunshiny morning in June, there drove
up to the great iron gate of Miss Pinkerton's academy for young ladies, on Chicswick Mall, a large family
coach.": qui, la ridondanza ha preso il posto della litote. L'inciso temporale iniziale descrive lo
scorrere 'secolare' del tempo, dentro cui si inserisce lo spazio della 'academy' per ragazze: il luogo
della civilizzazione. Non per caso, viene sottolineata "the great iron gate": l'accesso massiccio alla
scuola, quasi fosse un masso eretto dall'uomo contro l'incedere del tempo. Infine, "a large family coach"
esprime, col suo movimento entro i confini della civiltà, la disgregazione futura della famiglia Sedley a
causa di quel 'falso movimento' a cui la civiltà costringe il flusso della storia. Se un traduttore opera,
per chiarezza, uno spostamento sull'asse sintattico, la ridondanza diventa semplice pittura d'ambiente.
L'intera vicenda del romanzo - ci vuole dire lo scrittore - viene osservata nella cornice di un intero
secolo: quel "while" iniziale sopporta, da solo, la complessa visione poetica di Thackeray.
Una seconda norma è: non considerare la ridondanza sempre come un artificio retorico. Talvolta, è una
visione poetica.