c) Ma idiomatico vuol dire automatico?
Naturalmente, è nei modi di dire idiomatici che il 'collasso dei translati' sortisce
il suo effetto più demenziale; così, se per un inglese è normale dire, quando diluvia, che "piove a cani e
gatti", una traduzione letterale di questa espressione darà l'impressione ad un lettore italiano che la
carlinga dell'aereo che trasporta in tournée un grande circo internazionale si sia aperta in volo.
Il linguaggio non è solo un modo per descrivere il mondo esterno, ma è anche il continuo rimescolamento
tra loro dei confini entro i quali il senso stabilisce la gerarchia delle cose. C'è una bella differenza
tra il rendere The waste Land, il capolavoro di Eliot, come "La terra desolata" e la "La terra
devastata": nel primo caso, il connotato esistenzialista dell'esistere umano al mondo in quanto coscienza
diventa quasi un motto; nel secondo, il traduttore trans-umano scopre in Eliot uno dei padri del "popolo
di Seattle". Dopo di che, si resterebbe delusi al dover constatare la totale assenza, nel poema, di una
prospettiva ecologista.
Altro campo, altro esempio: nell'alta fedeltà, vige un regime autocratico, dove il suono si accampa da
padrone, ed impone il suo pesante tributo ai timpani dei suoi poveri sudditi. Se non ci credete, chiedete
ad un traduttore trans-umano che vuol dire "reach and power of tone"; leggerete che "l'estensione del
potere del suono" non ha limiti di campo. Non vi resterà che tentare un'emigrazione, vale a dire -
secondo quello stesso traduttore - un "landscape", in territori vergini. Non chiedetegli, però, di
pianificarvi il viaggio: scoprireste che, traducendo "landscape" in Italiano, la vostra fuga finirà nelle
"terre di fuori"; dal che si deduce che, per i traduttori automatici, la terra è ancora piatta.
Il fatto è che ogni traduzione, in quanto definizione dei limiti entro cui il senso di un testo ha
valore, è un'indagine sull'immaginario del popolo che la tenta. Ma un traduttore automatico, che
immaginario può avere? Per lui, la differenzia tra "fantasy" ed "immagination" corrisponde a quella tra
"fantasma" e "immaginario"; infatti, come tutti sanno, i fantasmi non appartengono alla dimensione
dell'onirico, ma a quella del più obiettivo realismo. Inoltre, ogni traduzione è un atto di innesto
culturale; per dirla con Steiner: "Nessun dato comportamentale può rendere conto, totalmente o in modo
privo di equivoci, della totalità degli atti discorsivi o delle regole che li determinano, in qualsiasi
sistema linguistico". Ed ecco il nocciolo del problema: un traduttore automatico non pecca per carenza
di intenzione normativa, ma per eccesso. In effetti, esso vuol dare ragione degli atti discorsivi
nella loro totalità. Inevitabile che il "pick-up" diventi, per lui, "ciò che punge da sopra": una
traduzione che andrebbe bene solo se i brani in vinile messi sul giradischi fossero Il Volo del
calabrone o L'uccello di fuoco. Se poi l'esecuzione è particolarmente buona, meriterà di
certo una "standing ovation", vale a dire una "ovazione dritta sui propri piedi"; e già vediamo il
grande pianista, colpito sulle scarpe di vernice da un'ovazione tonda di acciaio massiccio, venire
ricoverato d'urgenza in ortopedia.
Il corollario della nostra tesi è piuttosto inquietante: il traduttore automatico è l'esito ultimo di
una civiltà che ha paura del vuoto, e dunque di ogni interpretazione; una civiltà divenuta sempre di più
"il regno della quantità", e dove i segni non sono mai simboli, rimandi ad un altrove, ma titoli
immediatamente esigibili sul mercato del significato. In campo storico, il fenomeno può dare adito ad
esiti di revisionismo quanto mai ambigui. "Maria la Sanguinaria", "Bloody Mary", è uno dei criminali di
guerra peggiori della storia moderna; ridurla a "Maria l'insanguinata" rischia di fare apparire le sue
nequizie come il frutto di dolori mestruali che certo avranno anche avuto il loro peso, ma.
Del resto, i significati figurativi sono uno dei damnati loci, per un traduttore automatico. Tutti
sanno che Beethoven era sordo; riusciva a comporre lo stesso grazie al suo formidabile 'orecchio
interiore'; vale a dire, la possibilità di udire la musica dentro di sé. Realizzando un effetto di
"feed back" (vale a dire, prendendo il cibo all'incontrario) se trasponiamo la locuzione in Inglese e
poi, di nuovo, dall'Inglese all'Italiano, otteniamo un "orecchio intimo" che presuppone due possibili
interpretazioni: o il migliore amico di Beethoven era stato gravemente mutilato nella guerra contro
Napoleone, e non ne era restato che un orecchio, oppure, le orecchie, Beethoven le aveva in quelle
regioni anatomiche dove non batte mai il sole.
Sempre più vertiginosamente, poi, ci assale il non-senso dell'universo traduttivo trans-umano se
combiniamo traslato, metafora e connotazione figurale: nell'Armonia, si definisce "reach tone" una
nota 'sfuggita' all'ordine dell'accordo, e la dissonanza si risolve sull'accordo successivo; ora:
se un traduttore automatico mi rende l'espressione con "nota in fuga", l'Armonia cessa di essere la
massima espressione antropologica della gravitazione universale, per diventare il regno della follia.
La Fuga, infatti, è l'unica forma musicale nella quale non possono mai comparire "reach tone"!