c. Soggettività ed oggettività nel linguaggio
letterario
Nel suo Tolstoj e Dostoevski, Mereskovski teorizza una differenza di
impostazione primaria tra i punti di vista. Esistono narratori che vivono la
scena dall'interno del protagonista, e narratori che descrivono emozioni e
stati d'animo visualizzandoli attraverso il modo di vestire, di
gesticolare e di esprimersi del personaggio. I due scrittori russi rappresentano
gli archetipi di queste due modalità, che il traduttore deve saper
distinguere, se non vuole alterare, confondere le differenti poetiche che queste
due 'tecniche' sottintendono. Per raccontare l'ultima notte di
un condannato a morte, posso entrare nella sua psiche, e narrare di come
soltanto ora comprenda ciò che gli era stato insegnato sul destino, e
sull'idea che la natura continui il suo corso nel tempo, indifferente agli
individui, magari rievocando la figura di un amico filosofo anarcoide che gli
abbia condizionato la vita ed il pensiero (una specie di suicida suggestionato
dalla filosofia niciana, o chissà che altro); oppure posso raccontare che
le ombre degli alberi sul muro della cella gli sembrano le mani del boia pronto
a ghermirlo. Nella prima ipotesi, prevale l'idea della narrazione come
codice 'culturale', tanto più valido quante più
relazioni è capace di stabilire col mondo delle idee formative un popolo
ed una civiltà; nella seconda la concezione della vita come mutevole,
inafferrabile nel suo significato ed irriducibile a sistema.
Si tratta di una questione sottesa a tutto il discorso letterario, per cui,
quando Melville, nel Moby Dick, racconta la caccia alla balena bianca,
non stia parlando di un cetaceo, ma del senso della vita. Oltre a Melville,
Conrad, Flaubert, Hemingway, Camus, sono tra i massimi esempi della scelta
'oggettiva', mentre Thomas Mann, Henry James e Sartre appartengono
al novero degli scrittori 'soggettivi';. In generale, la tradizione
anglosassone è più oggettiva, quella mitteleuropea non lo è
quasi mai (eccezioni luminose sono Döeblin e Schnitzler).
Si potrebbe razionalizzare questa distinzione anche come opposizione tra
'denotazione' e 'connotazione'. Nel primo caso, si
descrive; nel secondo, si commenta. L'aspetto interessante del problema,
per un traduttore, sta nella sua natura linguistica. Infatti, mentre una lingua
come l'Inglese tende per sua natura a denotare, alle lingue germaniche
risulta più naturale connotare, in quanto sono basate sui nessi
subordinanti, sulla riduzione delle distinzioni temporali a quelle spaziali, e
sull'articolazione 'gerarchica' del discorso,
all'interno delle singole strutture espressive.
L'Inglese è un idioma nato dai contatti quotidiani tra popoli
transumanti, necessitati dalle mille incombenze quotidiane a trovare una
modalità di comunicazione per le mille esigenze della vita. Dunque, si
tratta di un 'idioletto' a predominio giuridico e commerciale. Il
Tedesco, viceversa, è nato d'un sol getto dal genio di Lutero,
impegnato, durante la sua forzata clausura al castello di Warburg, per sfuggire
alla condanna pontificia, a tradurre la Bibbia. Ecco perché la sua
struttura è logica, analitica, e come fusa in un'unica campata.
Quanto al Francese e l'Italiano, sono la somma di vari idioletti
settoriali: la lingua delle corti, della curia, della nobiltà, degli
artigiani, degli artisti cosmopoliti: ecco perché la loro
sistematizzazione è avvenuta ad opera di accademie preposte allo scopo,
che hanno loro assicurato un aspetto 'monumentale', a prezzo,
però, di una scarsa duttilità espressiva.
Il problema della traduzione letteraria passa soprattutto per queste
distinzioni di merito.