L'INCIPIT SINFONICO DI DER TOD IN VENEDIG DI THOMAS MANN
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Gustav Aschenbach oder von Aschenbach, wie seit seinem fünfzigsten Geburtstag amtlich sein
Name lautete, hatte an einem Frühlingsnachmittag des Jahres 19..., das unserem Kontinent
monatelang eine so gefahrdrohende Miene zeigte, von seiner Wohnung in der
Prinz-Regentenstraße zu München aus, allein einen weiteren Spaziergang unternommen.
Uberreizt von der schwierigen und Gefährlichen, eben jetzt eine höchste Behutsamkeit,
Unsicht, Eindringlichkeit und Genauigkeit des Willens erfordernden Arbeit der
Vormittagsstunden, hatte der Schriftsteller dem Fortschwingen des produzierenden
Triebwerks in seinem Innern, jenem ¿motus animi continuus" worin nach Cicero das
Wesen der Beredsamkeit besteht, auch nach der Mittagsmahlzeit nicht Einhalt zu tun
vermocht und den entlastenden Schlummer nicht gefunden, der ihm, bei zunehmender
Abnutzbarkeit seiner Kräfte, einmal untertags so nötig war. So hatte er bald nach
dem Tee das Freie gesucht, in der Hoffnung, das Luft und Bewegung ihn wieder herstellen
und ihm zu einem ersprießlichen Abend verhelfen würden.
a) Una versione italiana
Gustav Aschenbach ovvero von Aschenbach, come il suo nome suonava ufficialmente dal dì che
aveva compiuto i cinquant'anni, in una mattina di primavera dell'anno 19¿, che per mesi
aveva mostrato al nostro continente solo la sua maschera di minaccia, era uscito dal suo
appartamento della Prinz-Regentstrasse a Monaco, per intraprendere una delle sue lunghe,
consuete passeggiate. Era solo. Il lavoro delle ore mattutine l'aveva appesantito con
l'insidiosa necessità di scomposizione e ridefinizione che suole irretire l'animo quando
analizza in profondità. Neppure dopo il pasto di mezzogiorno lo scrittore era riuscito a
contenere lo slancio dell'interno genio creatore, quel motus animi continuus cui
Cicerone fa risalire il nutrimento dell'eloquenza, né aveva colto il sonno riparatore che
giornalmente gli era indispensabile per ricostruire le forze che lentamente si andavano in
lui estinguendo. Per questo subito dopo il tè aveva cercato il ritorno agli spazi aperti:
sperava che l'aria e il sano movimento sarebbero valsi a ridargli pace e a preparare la
produttività della sera.
(n.b. Questa traduzione è il risultato di un laboratorio di traduzione da me condotto
insieme a Laura Lanni, Beniamino Siboni, Elvira Grassi, Cristina Corradetti, Emanuela
Piacentini e Valeria Lattanti. Alla loro sensibile collaborazione va il mio ringraziamento).
b) Il poeta passeggia solo
La massima rivoluzione letteraria di Thomas Mann fu l'introduzione nell'ambito del romanzo
delle tecniche proprie alla musica. Come Tonio Kröger è costruito sulla Forma-Sonata
classica, Morte a Venezia adotta il principio della Sinfonia. Questo primo capitolo è la
'esposizione': in esso tutti i temi che verranno successivamente sviluppati vengono esposti
sotto forma di richiami simbolici, accenni e 'voci nascoste'. Il procedimento avviene su
due livelli: allusivo e per 'rilievo nel macrotesto', intendendo per macrotesto l'ambienza
psicologica che un testo riesce a veicolare attraverso le sue sottolineature di senso. Al
primo livello, l'insistenza sul tema dell'età vista come passaggio di stato (quel 'von'
che sposta il personaggio umano nella dimensione della contemplazione narcisistica e della
tradizione dinastica, è un atto di morte) si sviluppa per contrasto col tema della primavera;
in questa situazione connotativa, si innesta, al secondo livello, quel "sein Name lautete"
che richiama lo strumento principale della discesa agli inferi: il suono.
Nel romanzo, la prima 'percezione' che Aschenbach ha di Tadzio avviene attraverso il suo
nome, pronunciato, in un richiamo, dalla madre. Inoltre, la musica assume sempre l'aspetto
grottesco di una maschera di morte, nel corso della narrazione: dalla canzone dialettale
intonata da quello strano musico girovago le cui sembianze truccate anticipano il belletto
con cui Aschenbach cercherà di rendersi grato al ragazzo, alla nenia russa che accompagna
l'ultimo sonno del protagonista, nel mentre, sdraiato sulla spiaggia, Tadzio lo invita a
seguirlo in mare.
Dopo il tempo ed il suono, il terzo rilievo, nel macrotesto, con marcatura 'morte', è il
tema della 'maschera', che qui si incrocia con la 'sineddoche strutturale' tempo-morte,
al primo livello. La primavera, in quell'anno, mostrò a lungo a tutti "gefahdrohende Miene".
La parola tedesca "Miene" indica anche le immagini votive nelle edicole, o certi pupazzetti
infantili che rappresentano gli spiriti delle foreste. La regressione all'infanzia, la
perdita dell'Io dentro la risorgenza del Puer Eternus, tanto a lungo denegato
dall'ostinazione nel dovere, risuona come un armonico, dentro ai livelli di macrotesti che
siamo venuti fino ad ora rilevando.
A questo punto, è chiaro che la sineddoche continuerà a connotare questa esposizione per
tutto il suo percorso. Il tema forte: l'orgoglio di casta, ed il tema debole, il tempo,
continuano a combinarsi tra loro, ed a cercare un'impossibile sintesi. 'Wohnung', la
'abitazione' del poeta, posta in una via dagli accenti pomposi e guglielmini,
Prinz-Regentenstrasse, collide con il tema dello 'Spaziergang', la 'passaggiata' destinata
ad essere senza ritorno. Il punto di translazione dal primo al secondo livello, quello dove i
simboli diventano spazio scenico, è qui rappresentato da "allein einer weiteren": il tempo
degli affetti, qui, facendosi ciclico, entra in contraddizione col tempo rettilineo: la
marcia solenne e fidente dei Padri. Inevitabile il tono sinistro, sardonico, che queste
poche parole, infine, assumono. Sarà dunque non un arbitrio, ma un atto di ricomposizione
del senso, staccare quell''allein', e farne una proposizione separata: "Era solo".
c) Il poeta si muove senza volontà
Nel secondo periodo del romanzo, fa la sua comparsa un secondo modello manniano, dopo quello
dello strutturalismo musicale: Schopenhauer. In realtà, nel gioco allusivo precedente, il
filosofo di Danzica si era già fatto annunciare nel motivo della 'Miene', che poteva
significare anche la 'rappresentazione di una figura'. Ne Il mondo come volontà e
rappresentazione, Schopenhauer intende la realtà come puro gioco di figure dipinte,
realizzate e mosse a bacchetta dalla Natura intesa come Volontà, pulsione oscura
all'esistenza. Il luogo dell'anima in cui la Volontà si accampa con più forza è l'erotismo.
Nella radice tedesca 'reien' si confondono l'idea di purezza e quella di follia.
Aschenbach è "appesantito" dalle lunghe ore di lavoro, ma le risonanze di questa parola,
in Tedesco, comportano un'allusione all'intrico vegetale di una foresta vergine. La natura
si prende la sua vendetta sulla imbrigliata volontà dell'artista, ed il percorso semantico
a sua volta 'appesantito' con cui Mann giunge a definire il "Willen" di Aschenbach
rappresenta un caso esemplare di coincidenza tra fonema e semantema: tra modulazione della
voce e controtesto retorico. Data la maniera totale in cui la coincidenza delle due
dimensioni viene, qui, realizzata da Mann, appare chiaro che questo primo periodo del
romanzo fu anche l'ultima sua parte a venire scritta.
I quattro appositivi di "Willens" sviluppano un potere coercitivo crescente: si tratta di
terminologie care alla biologia ed alla glottologia. L'origine delle forme, in natura e
nel linguaggio: di null'altro tratta l'incipit di Morte a Venezia. Anche
il linguaggio è 'volontà', dunque, perché è strategia di dominio, strumento per appagare
un'esigenza di possesso fisico e psichico. Il superomismo paradossale di Mann rivela, a
questo punto, da quale fonte derivi la percezione di un tempo circolare che tutto questo
passaggio veicola: il Nietzsche di Aurora. Si noti che, sull'asse del tempo, siamo
passati dalla 'primavera' fluviale, di pioggia, incontrollabile, ad una misura del tempo
umano che si fa anche disciplina interiore: "Arbeit der Vormittagstunden", quasi a rimarcare
un'impossibile presunzione umana all'immortalità. La lotta tra mente e natura, esito ultimo
dell'Idealismo tedesco, risalta in quel "Triebwerks" che conferisce alla citazione
ciceroniana un alone ironico, di pomposità ed orpello, capace di rifrangersi sul 'von'
iniziale, e dargli un retrogusto beffardo. L'opposizione tra "Wesen" e "Willen" ne risulta
ancora più enfatizzata. Da una parte, i simulacri della ragione, dall'altra, ancora le
pulsioni: è su questa scena che l'abiezione di Aschenbach va ad incominciare, sulle tracce
di un piccolo sentiero per cui si incammina, smarrendo le strade marmoree della capitale
bavarese.
Il traduttore scinderà l'ampio periodo di Mann in due proposizioni. L'Italiano, infatti,
non possiede quella 'polisemia' ambivalente che è tipica del periodare tedesco, dove
causali, temporali e concessive, come in Latino, vengono rese nello stesso tempo ed allo
stesso modo.
d) Il poeta cammina nella luce?
L'ascesa lirica di quest'ultima parte dell'incipit è una gazzarra di rovesciamenti
tematici. Nella parola "Abnutzbarkeit" è insita l'idea di una rigenerazione germinale, da
cui "Kraft" emerge con una sfumatura ancora più netta di pulsionalità, quasi si trattasse di
una 'Miene' di 'Willens'. A questo punto, si annuncia il vasto tema sinfonico in cui
tutti questi annunci confluiscono: "das Freie gesucht", con quella germinazione di "Luft"
da "Hoffnung" che segna l'irruzione della natura, con la sua ingannevole promessa di
redenzione dall'essere: una redenzione che assume l'aspetto della libertà, ma che pretende
l'estinzione dell'individuo. In "Abend" tutto si capovolge: siamo in presenza di una
polisemia ottenuta a forza di sineddoche, ed operante su entrambi i livelli del 'macrotesto'
che abbiamo inizialmente visto come caratteristici di questa Ouverture.
La sera di Aschenbach è anche la fine del Logos: la presunzione occidentale, sortita sulle
ceneri della civiltà classica, di contenere le manifestazioni naturali dentro la 'ragione'
normativa del linguaggio. L'illusione del progresso, che il tempo sia una passeggiata,
coincide con lo smarrimento del senso, e quindi la riemersione delle Madri: le divinità
distruttive di Anima. Alla metà del romanzo, il Classicismo ciceroniano verrà rovesciato:
Aschenbach sognerà un rito dionisiaco il cui Psicopompo, la vittima sacrificale, per guida
delle anime, è proprio Tadzio.
Nella forma sinfonica, il tema iniziale viene, alla metà dello sviluppo, rovesciato per poi,
ridotto alle sue cellule generative, innervare di sé il 'tema femminile', e farsi, con
quello, un unico corpo. Lo 'sviluppo' è desiderio, nel tema 'forte', di immortale
congiunzione col tema 'debole'; alla stessa maniera, la forza creativa di Aschenbach
desidera la morbida, adolescenziale svagatezza di Tadzio. Infine, il modo in cui le
cellule del tema forte si irradiano nel corpo del tema debole ha qualcosa del 'rein':
il principio dapprima caotico e che poi il tempo riduce ad ordine con cui gli innesti
vegetali operati dal caso danno, infine, vita alle piante. Simile "Krafte" naturale dà
vita, mediante "Arbeit", ad "Eindringlichkeit", per poi, "überreizt" dalla sua stessa
proliferazione, lasciare campo libero ad altre forme vitali.
Morte a Venezia - ci dice questo incipit - non è un poema sulla pederastia, o
sulla sterilità; ma una variazione sul tema niciano della morte di Socrate. Su come la
dialettica socratica, con la sua ricerca del Logos, abbia distrutto la civiltà dionisiaca
dei riti, quella oscura simbiosi tra mente e natura che forse, senza lo strapotere della
Dialettica, avrebbe consentito alla cultura occidentale di sopravvivere a se stessa.
Morte a Venezia è uno studio sull'Apocalisse del moderno. La discesa di Aschenbach
"in seinem Innern" - che ora ci si rivela come vera 'dominante' sottesa al testo - è la
discesa di noi tutti.
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