c) La tradizione 'plastica'
Un'altra distinzione importante tra le culture linguistiche nazionali
passa per il concetto di 'canone'. Esistono culture persuase di come
una 'teologia dei modelli' sia formante l'identità
linguistica nazionale, e culture che fanno della trasgressione al canone
l'elemento poetico normativo. La sistematizzazione di questo fenomeno non
è semplice. Prendiamo come esempio il modello francese, dove Boileau
fissa le regole del Bello, e Racine erige, con le sue tragedie, una vera
'liturgia' di come la lingua debba rimanere impermeabile alle
perturbazioni del sentimento. La conseguenza inevitabile è quel
proliferare di movimenti sovversivi dell'ordine, di scuole della
trasgressione, che ha segnato l'evoluzione della letteratura francese: da
de Sade a Lautrémont, da Nerval a Baudelaire; e poi Mallarmé,
Breton, ecc. Ma la trasgressione è tale se applicata ad una norma, che il
traduttore deve conoscere, se vuole evitare di sovrapporre le proprie pulsioni
creative a quella mimesi attoriale che l'operazione del tradurre sottende.
Così, a chi voglia tradurre Verlaine risulta indispensabile conoscere i
Parnassiani, per avere coscienza di quali siano i codici che il poeta mette tra
parentesi, attuando la propria rivoluzione estetica. Allo stesso modo, un
traduttore di Jean Paul deve possedere appieno il gergo dei notai, dei teologi e
degli uomini di legge, bersagli fissi dell'amara ironia dello scrittore
tedesco dal nome polemicamente francese. Per Heine, il riferimento è al
Volkslied, quelle canzoni per litanie assonanti che connotano la Germania
pietistica dei paesi renani. Il modello da rovesciare, qui, sarà Il
Corno Magico del Fanciullo: la ricognizione di Brentano e von Arnim nella
poesia di ispirazione popolare.
Stesso problema per il teatro: la tradizione del Masque elisabettiano
comporta una fusione tra musica e parola che ha per conseguenza
l'adozione, nella prosodia, di metri e ritmi al limite del gioco di parole
e del nonsense. In Germania, invece, prevale il Puppenspiel: il
teatro dei burattini, dominatore, fin dall'epoca barocca, della scena; per
conseguenza, il contesto linguistico è all'insegna di uno
sperimentalismo che comporta la sperimentazioni degli idioletti più vari,
spesso con funzioni caricaturali. Lessing tenterà di porre ordine a
questa situazione, ma l'Urfaust di Goethe dimostra come
l'approccio al dramma fosse, per uno scrittore tedesco, il riabbeverarsi
alle fonti intatte della natura, con la sua allegra anarchia linguistica. In
Francia, al contrario, il teatro è curiale, accademico, con una
connotazione linguistica incentrata sul rispetto delle schermaglie, le
proposizioni ed il linguaggio per elisioni della conversazione galante: tutto
quel rituale della parola come status-symbol ed insieme strumento di
consenso che viene parodiata da Moliére nel Bourgeois Gentilhomme.
Le problematiche relative alle differenze tra le tradizioni nazionali
investono il problema dei codici in una dimensione globale. Perfino i segni di
interpunzione non sono soggetti alla medesima regola. Chi si accinge a tradurre
Nietzsche entra in contatto con tutta una lingua 'non scritta', una
proliferazione di indicazioni diasegetiche che vanno dal trattino doppio alla
parola isolata tra due punti, oppure come lasciata vibrare tra due serie di
puntini di sospensione... Un altro esempio: l
le traduzioni di Kafka spesso operano una risoluzione delle frasi brevi ed
icastiche dell'originale in un periodare fluido e 'neolatino',
magari adducendo il motivo che il Tedesco del praghese Kafka non era una lingua
viva, ma un coacervo di substrati libreschi; il che è vero, ma in Kafka
esprime quel dominio della storia della lingua, quella capacità di
piegare le altisonanze del linguaggio 'sublime' ad esiti
caricaturali per troppa luce che costituisce il retrogusto demoniaco della sua
prosa. La punteggiatura di Kafka, con le sue virgole apposte ad interrompere la
continuità prosodica, i suoi punti e virgola che non introducono
meditazioni, ma lasciano sospese descrizioni inerti di luoghi chiusi, sono
quello che per un pittore sono i colori, per un musicista le pause: veicolano la
selva mirabile delle connotazioni, molto più importanti delle
denotazioni, se è vero che la letteratura è arte del non detto.
Ora: siccome il Tedesco ha avuto origine dalla traduzione della Bibbia
realizzata da Lutero mentre, nel castello di Warburg, cercava di non farsi
mettere sul rogo, è chiaro che questo procedere kafkiano per elisioni
sentenziose serve, per usare un'espressione di Lutero, a "dipingere
il diavolo sul muro"... Anche Hemingway, ne Il Vecchio e il
Mare, gioca con lo stile sospeso fuori dal tempo delle sentenze bibliche,
operando cesure e scansioni che fanno della punteggiatura un gioco cromatico di
canne d'organo. Il livello della connotazione, però, è del
tutto diverso; in questo caso, abbiamo a che fare con un'Etica calvinista
del sacrificio, del contatto tra le mani e la dura materia che sia viatico alla
grazia, ed insieme un'Estetica del mare come madre che raccoglie le
lacrime e le redime dalla loro insignificanza, del tutto opposti a quella sfida
gnostica contro il Dio-Padre che Kafka intende.
Insomma: ogni pagina letteraria è una partitura, denotata secondo le
convenzioni del linguaggio nazionale. L'operazione del trasporre i segni
autoreferenziali da un sistema linguistico all'altro è
l'esegesi, premessa ed insieme conseguenza di ogni interpretazione. Nel
prossimo capitolo, analizzeremo il modo opposto in cui le lingue inclusive e
quelle esclusive si comportano nei confronti delle fecondazioni culturali
straniere. Ovvero, di ciò che Spengler chiamerebbe la differente
qualità di 'cultura' e
'civilizzazione'.