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LA CANZONE DI BARBABLÙ di Georg Trakl

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Mit Myrtenkranz und Schleier
Schmückten die Schwestern die Braut.
Am Abend kam der Freier,
Den sie noch nie geschaut.
Sie wussten nicht, wie er gekommen,
Die Mutter lächelte bang.
Es kreuzten sich die Frommen,
Als er die Braut umschlang.
Sie sahen ihn zum Tore schreiten,
Die Braut, die weinte sehr,
Und in das Dunkel reiten:
Und niemand sah sie mehr.
Wer sagt, dass ihr Licht erloschen war,
Als ich zur Feier löste ihr Haar?
Was klagt ihr mich an, ihr Glocken?
Möchtet lieber frohlocken!
Wer sagt, dass ihr stummer Mund verwest,
Als ich zur Nacht bei ihr gewest?
O schweige, schweige, du leise
Unendliche traurige Weise.
Wer sagt, dass offen stündt ein Grab,
Und dass ich im Blick was Böses hab'?
Wenn das mein Herze wüsste!
Erbarm dich, o Jesus Christe!
Ein Drach hat ein lustig Kindlein gefreit,
Sein Burg stand im Wald! Wo ist nur der Wald?
Hat zur Nacht sie gefreit, ihr Herze zerkrallt.
Hörst du wie Vöglein schreit?


UNA TRADUZIONE ITALIANA


Il velo, il mirto in capo alla sposa le sorelle donano.
A sera giunge il promesso; a lei di veder sua sembianza,
non fu finora concesso. Nessuno sa donde sia.
Inquieta sorride al suo giungere
la madre sua.
I devoti in segno di croce congiungere
voglion le braccia
se lui la sposa abbraccia.
La videro uscire appena di casa,
la sposa piangente di lacrime un groppo;
di notte poi, coi cavalli, al galoppo:
e chi più li vide laggiù?

Chi dice che l'occhio suo spento io colsi
quando per nozze le chiome disciolsi?
Di che m'accusate, campane? A gloria, invece,
esultate!
Chi dice a lei muta di putredine la bocca giacente
da quando la notte con lei mi giacqui?
Oh, taci, dunque taci, canzone leggera, ma triste,
triste infinitamente.
Chi dice che aperta una tomba si leva
che nello sguardo l'inferno mi svela?
Se solo il mio cuore,
lo conoscesse.
Se sicuro mi fosse. Pietà, Gesù Cristo!
di me, pietà.
Misericordia.

A favolosa fanciulla sposo fu un drago. Fiera si leva
in bosco sua torre.
Ma il suo bosco, dov'è? Di notte l'ha sposata; il
cuore le ha sbranato.

Lo senti, l'uccellino, come grida?



IL CONTESTO CULTURALE

Trakl iniziò precocemente una cospicua attività di drammaturgo, rappresentando nel 1906, nel teatro di Salisburgo, città natale, Totentag ("Giorno dei morti") e Fata Morgana, due atti unici, cui fa seguito, l'anno successivo, Don Juans Tod ( "La morte di Don Giovanni").
Lo scarso successo spinse Trakl a distruggere questi testi, di cui rimangono solo alcuni frammenti, tra cui spicca l'intera scena finale del Don Juans Tod, in due versioni differenti.
L'unica opera teatrale compiuta che ci rimane è quindi il Blaubart ("Barbablù"), Puppenspiel, dramma per burattini, secondo una tradizione assai illustre nella cultura germanica (basti pensare che il Faust cui si ispirò Goethe era un Puppenspiel del Sedicesimo secolo).
Il genere 'popolare' permette a Trakl di ridurre al minimo lo sviluppo scenico, determinando così una concentrazione dei valori drammatici nella densità visionaria del linguaggio, un delirio lucido che è di per sé scena, personaggio, dramma.
I frequenti ricorsi al simbolismo (la luna, le fiaccole, il battello ebbro, la croce) si uniscono ad un verso elementare, costruito per simmetrie, analogie radicali e rime baciate, un 'balbettio infantile' che dà all'opera una specie di perversità derivante dalla sfasatura tra ingenuità schilleriana dei mezzi espressivi e densità mistica (il sangue, la verginità violata) dei significati poetici.
Blaubart è un'opera espressionista, che vede Trakl impegnato in quella ricerca dei significati profondi delle tradizioni 'ingenue' che si può definire un'estensione della valenza romantica di cultura popolare, e, insieme, una degenerazione della poetica di Brentano, Tieck e Grimm. La sopravvivenza del mito di Barbablù nella tradizione danubiana è testimoniata dalla pressoché contemporanea opera di Bela Bartòk, Il castello di Barbablu; anche Arnold Schönberg, nella stesura dei suoi due atti unici, Erwartung ("Attesa") e Die glückliche Hand ("La mano felice") ebbe presente la lezione trakliana, ad indicare un influsso di Trakl più intenso in area musicale che nell'ambito letterario, fino al Blaubart e il Barrabas di Camillo Togni, negli anni Settanta.
La "Canzone di Barbablù", coi suoi echi gotici, è il luogo del dramma in cui la forma della ballata romantica, raccolta ed ordinata da Brentano e von Arnim nel Des Knaben Wunderhorn ("Il corno magico del fanciullo") prende dal suo stranito balbettare, nell'elementarità delle forme, un carattere più sulfureo e allucinato, proprio per l'assoluta, infantile strutturazione a filastrocca, specie di ninna-nanna espressionista (con le stesse ragioni Gustav Mahler scelse il Wunderhorn per un ciclo di Lieder.)


LA POETICA SOTTESA

La catalessi per overdose di cocaina che, la notte tra il 3 e il 4 Novembre 1914, fa precipitare Georg Trakl dalla sua esistenza di contemplazione - lo sguardo obliquo che smeriglia la cose - alla morte, dal poeta vista come redenzione dalla poesia - la colpa dei nomi - ha eretto una stele nera tra la sua opera e la cultura italiana. La potente mediazione di Giaime Pintor, autore, nel 1948, di una raccolta di traduzioni trakliane pubblicata da Einaudi, ha fatto dello straniato panteista salisburghese una maschera di Wotan: il Viandante onnisciente che su tutto stende il velo nero della sua profezia, ma che nulla può fare per stornare la catastrofe, se non rallentarne il tempo; rendere i contorni della fine netti ed aguzzi, e pietosi per troppa esattezza. Così, l'arruolarsi volontario di Trakl sul fronte dell'Est - muore a Cracovia - ha fatto della sua poesia, in Italia, la testimonianza di una crisi politica e sociale, che la depressione, l'etilismo, la dipendenza dal Veronal - il farmaco della signorina Elsa di Schnitzler - hanno incorniciato nei mitici tratti della Finis Austriae: quella morte del sogno asburgico entro cui Trakl - nel ritratto datone da studiosi come Claudio Magris e Giuseppe Dolei - avrebbe la parte del Risvegliato, per la luce di uno sguardo all'indietro dove il presente si fa, attraverso la percezione - nel suo essere solo suono, luce e colore - tempo ciclico: il tempo del mito.
Questa visione esistenzialista ha mutilato il Trakl italiano del suo status di classico della decadenza, di testimone ultimo di un'epoca in cui tra mente e natura non esisteva ancora dissidio. Per Trakl, nel destino di ogni singolo individuo si ripete la sorte di tutta l'umanità, nel darsi di ogni dolore - in quanto visione - si riconferma il non-senso delle nascite, allacciate in immutabile catena di parole; ecco che la poesia, allora, diviene pura sensazione di una discontinuità, di una scissione tra l'evidenza dei lineamenti - accecanti, nella loro selvaggia fisicità - e la mancanza di uno sfondo su cui proiettare l'ombra dei corpi, che vengono per ciò condannati a vivere solo finché vengono percepiti. Allora il poeta, distruggendo il proprio Io, espia il male del tempo col perdere ogni suo connotato di uomo: divenendo il Sosia di ognuno, fa di se stesso la parete bianca su cui la luce degli altri sguardi, riflettendosi, possa sapere di esistere.
In questo senso - della poesia come suicidio dell'identità, della visione poetica come livella sui margini delle cose, all'insegna di un'esattezza della percezione quale sola può nascere da uno studio delle proporzioni - nell'esegesi italiana di Trakl si sono mossi, finora, soltanto Leone Traverso ed un compositore, Camillo Togni, che col suo Barbablù ha dimostrato come il suono possa scavare nei paradossi di Trakl più finemente di qualsiasi critica. Sospendendo i nessi significanti, spezzando la consequenzialità semantica del discorso, infatti, Togni ha asperso dal testo di Trakl ogni derivazione concettuale, riportandolo al suo carattere originario di faglia aperta nel mantello del cosmo, da cui piovono gocce di visioni che mai si elevano oltre la loro santificata sensazione di insignificanza. Il lutto della modernità, per il Trakl di Togni, è l'afasia del giudizio.
Allo stesso modo che in Hölderlin, per Trakl la poesia, nello stesso momento in cui celebra i suoi più alti esiti di raffinamento, negli strumenti espressivi, diventa ebefrenica regressione ad un universo totemico, dove le sensazioni sono le cose, dar nomi alle quali diventa possibile solo se in ogni istante il tempo della memoria viene annullato, e tutto ridiventa il tattile procedere al buio di un bimbo per la prima volta conscio di come le pareti della sua stanza non siano i confini della propria mente.
L'idea husserliana di epoché, del pensare come sospensione del significato, e quel suicidio del giudizio per autoavvelenamento che è il Dasein di Heidegger - l'essere nel tempo non è esistere, è darsi a dispetto del tempo - sono i ricoveri della storia in cui questo Wanderer cui la benda sull'occhio dona veggenza troverà rifugio. Sul piano della lingua, Trakl emana uno scintillio sinistro che nasce dal mostruoso rovesciamento della prospettiva idealistica che si celebra nel poeta; infatti, se per Goethe nella ghianda è insita la quercia, per Trakl la quercia è la morte della ghianda. L'averlo capito permette al traduttore di Trakl di sospendere i nessi significativi, impaginare ogni suono, ogni assonanza, nel reticolo degli ipertesti che corrono sotto ogni poesia, come da un caleidoscopio lo stesso raggio fa emanare cristalli di svariate visioni, senza che si possa in esse riconoscere la figura originaria.
La poesia di Trakl, insomma, non è testimonianza esistenziale, diario di bordo di un naufragio culturale, ma la fine di ogni Gestalt. Il poeta diventa al tempo stesso lo sciamano che dà nomi al sole e l'archeologo che dissecca i reperti, e li allinea sui contorni di un tempio ricostruito dalla sua immaginazione. Trakl potrebbe dire, come Kafka, "Io è un altro". Una simile rimessa in chiaro teorica si traduce nell'affiorare di nuovi reti poetiche sotterranee, quasi ogni testo fosse un cartone preparatorio da cui solo l'atto del leggere può trarre una prospettiva risolutrice, e che il gioco delle ombre metta, però, nel trascorrere del giorno, in perenne crisi. Poesie dove il suono, frangendosi, diventa eco e risonanza di luce, ne traggono un'evidenza allucinata, tanto più estrema in quanto non cerca di risolvere la schizofrenia trakliana tra la marmorea quiete della contemplazione e il delirio di insetti che corrono sotto le linee del marmo. Le scelte linguistiche del traduttore devono essere di una ricchezza assoluta, e procedere per una giustapposizione di estremi - un lessico intimistico alla Pascoli o alla Corrado Govoni impiantato sul traslucido azzurro funebre da stele antica di un Ceronetti traduttore biblico - che, spogliando Trakl di ogni autocompiacimento da profeta dell'angoscia, facciano dei suoi versi la Stele di Rosetta dell'alienazione metropolitana.
La città, illuministico luogo dei discorsi, diventa, qui, il luogo di stupri e sinistri riti di fecondazione.


NOTE TECNICHE

Nella "Canzone di Barbablù" abbiamo mantenuto la rima e la ritmica originale, per sottolineare l'allucinata pregnanza di questa ninna-nanna infantile, strumento di seduzione infernale dell'innocente Elisabetta.
Una traduzione di questo Volkslied deve tener conto di tutti gli aspetti del testo che siamo venuti via via definendo, facendo coincidere il più possibile, nei caratteri della nostra lingua, densità semantica e intensità lirica; infatti il magma freddo, ma incandescente interiormente, che sostanzia questa parodia, risulta quant'altri mai costruito sui caratteri 'concettosi' della lingua tedesca.
Si tratta quindi di sciogliere un nodo e riannodarne le fila con altro percorso. Di qui alcune scelte, come:
a) Lo scioglimento quasi costante del nesso soggetto-participio. Infatti, tale sequenza grammaticale è dovuta alla necessità dell'assonanza tematica tipica del lessico tedesco, venendo meno la quale, in lingua italiana, per impossibilità di restare fedeli al significato del testo, vien meno anche la validità di una struttura 'incatenata'.
b) L'uso di alcuni latinismi, nel tentativo di rendere le molteplicità semantiche dei radicali tedeschi.
c) lo spostamento in altra parte di alcune sezioni sintattiche del periodo, la loro iterazione e completamento reciproco, il mutamento di coordinate in subordinate. Così si è fatto in tutti i casi in cui il tentativo di mantenere il ritmo del verso tedesco porterebbe la traduzione italiana a significati troppo ellittici;
d) La risoluzione delle parole composte, del resto inevitabile, è avvenuta contemporaneamente alla creazione per compensazione di nessi aggettivali pregnanti.


 



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